Società

Giovanni Falcone, un ricordo personale

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Nel 25° anniversario della strage di Capaci, dove persero la vita il magistrato antimafia Giovanni FALCONE, sua moglie Francesca MORVILLO e tre agenti della scorta, Vito SCHIFANI, Rocco DICILLO, Antonio MONTINARO, voglio rammentare con voi un ricordo personale.

Il magistrato che per primo comprese l’unitarietà verticistica del fenomeno mafioso e che, grazie a questo, sotto la guida di Antonino CAPONNETTO – in sostituzione di Rocco CHINNICI, trucidato con un autobomba pochi giorni prima dalla stessa organizzazione mafiosa – si ritenne indispensabile la costituzione di un gruppo di magistrati. Nel dicembre 1983, venne costituito il pool antimafia: Giovanni FALCONE, Paolo BORSELLINO, Leonardo GUARNOTTA, Giuseppe DI LELLO.

Con l’indagine sul costruttore edile Rosario SPATOLA, vennero riscontrate le prime intuizioni investigative, dove l’enorme flusso di denaro, frutto di appalti truccati, traffico di droga ed estorsioni sul territorio, veniva per la prima volta riscontrato con indagini bancarie mirate, anche attraverso bonifici disposti oltre oceano, ovvero “da e per” gli Stati Uniti.

I quarantacinque giorni di interrogatorio fatto a Tommaso BUSCETTA – don Masino –  dell’estate 1984, rappresentarono l’ossatura dell’impianto accusatorio di quello che diventò poi il maxiprocesso alla mafia siciliana, le cui condanne nel giudizio di merito pronunciate nell’aula bunker di Palermo per oltre quattrocento ergastoli, furono poi confermate in Cassazione nel gennaio 1992.

In quella occasione, don Masino lo avvisò: «Non credo che lo Stato italiano abbia veramente intenzione di combattere la mafia. L’avverto, dottor Falcone, dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non se lo dimentichi: il conto che ha aperto con Cosa Nostra non si chiuderà mai».

Parole profetiche!

Il capolavoro giudiziario che ha consegnato alla storia Giovanni Falcone, come un valoroso magistrato ed autentico servitore dello Stato, fu il maxi processo: rappresentò il suggello della sua strategia contro “Cosa Nostra”.

Ricordo personale

Nel settembre del 1991, in vista dell’assegnazione al Comando della Sezione Investigativa sul crimine organizzato della Guardia di finanza in terra di Calabria (S.I.C.O.),  mi trovavo a Roma presso la Scuola di Polizia Tributaria a frequentare un Corso apposito di tre mesi sulle “Tecniche di contrasto al crimine organizzato”.

In quella occasione, conobbi il compianto ed illustre magistrato che venne a parlarci di “tecniche investigative e flussi finanziari della criminalità organizzata”. Il modo di porsi, la facilità di dialogo, il racconto ex post della più grande indagine sul fenomeno mafioso, l’aspetto che meglio ricordo in termini emotivi a raccontarlo oggi è stata la << capacità di fare squadra e di saper coinvolgere i collaboratori della polizia giudiziaria nell’azione investigativa>>.

Ogni grande manager, si distingue per la capacità di motivare i collaboratori, riuscendo ad ottenere il massimo da ognuno, sapendo tradurne le attitudini personali nell’ottica di un obiettivo comune da perseguire.

FALCONE, era un magistrato che se era diventato il terrore per la criminalità organizzata da vivo, per il suo intuito e pragmatismo investigativo, divenne famoso per la gente comune solo dopo morto.

Poco avvezzo alle trasmissioni televisive, parlava solo con le sentenze e quindi conosciuto e soprattutto temuto dalla mafia e dagli addetti ai lavori.

Infatti, ricordo bene quando in più occasioni – quando lasciavo i pantaloni in lavanderia o per un rammendo in  altro contesto – dovevo dire come mi chiamassi: Giovanni FALCONE dicevo e mi sentivo rispondere: “E io sono Silvio BERLUSCONI”.

Insistendo, aggiungevo: “Guardi che mi chiamavo così anche prima e che sono diventato famoso, ahimè senza volerlo, solo dopo i noti fatti derivanti dalla strage di Capaci”.

Ricordo questo aneddoto solo per dire che fino al 22 maggio del 1992, chiamarsi Giovanni FALCONE era un fatto assolutamente normale.

Voglio concludere questo breve ricordo personale con una bellissima frase detta dal grandissimo magistrato, rivolgendosi alla sua città, Palermo : “A questa città vorrei dire,  gli  uomini  passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.”

Testimonianza senza tempo!

 

 
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