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L’industria del wealth management si trova oggi di fronte a un cambiamento strutturale che sta ridisegnando le dinamiche della ricchezza globale: l’ascesa dell’investitrice femminile. A fronte di una crescente quota di patrimonio controllato dalle donne, molti operatori non sembrano ancora pronti a cogliere pienamente l’opportunità rappresentata da questo segmento in espansione. Lo dice un’analisi di McKinsey, che ha condotto un’indagine su oltre 13.000 investitori negli Stati Uniti e in Europa, di cui quasi la metà donne con un ruolo decisionale nella gestione finanziaria della famiglia. Il team ha inoltre intervistato diversi wealth manager americani ed europei per comprendere meglio le difficoltà nel conquistare e fidelizzare la clientela femminile.
Una quota crescente di ricchezza al femminile
Qualche numero prima di tutto. Secondo l’analisi di McKinsey, le donne controllano oggi circa un terzo degli asset finanziari retail negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Questa quota è destinata a salire tra il 40% e il 45% entro il 2030. Tra il 2018 e il 2023, la ricchezza finanziaria globale è cresciuta del 43%, ma quella detenuta da donne è aumentata del 51%, raggiungendo la cifra di 60 mila miliardi di dollari a livello globale, pari a circa il 34% degli asset under management (AUM).
Alla base di questa evoluzione vi è un intreccio di tendenze sociali, economiche, demografiche e culturali. Il calo dei tassi di matrimonio e l’aumento delle separazioni legali portano un numero crescente di donne a gestire autonomamente il proprio patrimonio. Sul fronte economico, l’aumento dei redditi femminili, alimentato da un più ampio accesso a istruzione e impieghi qualificati, ha contribuito all’accumulazione di ricchezza personale.
Inoltre, la maggiore longevità femminile e l’età media più bassa rispetto ai coniugi maschi rendono le donne, in molti casi, eredi principali del patrimonio familiare. Infine, si assiste a un netto cambiamento culturale: cresce la fiducia delle donne nella propria capacità di prendere decisioni finanziarie e di investire per il lungo periodo.
Il divario nell’uso della consulenza finanziaria
Nonostante questa crescita, le donne tendono a fare minore uso della consulenza finanziaria: il 53% degli asset da loro detenuti è attualmente non gestito professionalmente, contro il 45% degli uomini. Questo divario rappresenta una potenziale occasione di mercato da 10 mila miliardi di dollari entro il 2030, a patto che gli operatori sappiano adattare prodotti, servizi e strategie di marketing alle esigenze specifiche di questo pubblico.
Obiettivi diversi
Nonostante questa crescente centralità – mette in evidenza la ricerca – il settore del wealth management non sembra ancora aver interiorizzato la specificità delle preferenze femminili in ambito finanziario. Le donne mostrano obiettivi diversi rispetto agli uomini: mirano più frequentemente alla sicurezza nel lungo periodo, alla copertura delle spese sanitarie e alla conservazione dello stile di vita, piuttosto che alla massimizzazione dei rendimenti.
Inoltre, tendono ad avere un approccio più prudente verso il rischio e attribuiscono grande valore alla consulenza personalizzata, in particolare a quella in presenza.
A livello comportamentale, le donne si dimostrano sempre più attente ai costi dei servizi finanziari. In Europa, il 30% si dichiara insoddisfatta della qualità dei servizi ricevuti e il 37% afferma di voler cambiare banca nel prossimo futuro. In particolare, le giovani donne sotto i 35 anni sono quelle più propense a confrontare attivamente le offerte e a cambiare provider. Negli Stati Uniti, il 56% delle donne tra i 25 e i 34 anni si dice intenzionata a cambiare istituto di riferimento nei prossimi anni, contro il 19% delle over 65.
I limiti dell’industria
Le interviste condotte da McKinsey con wealth manager statunitensi ed europei hanno messo in luce tre criticità strutturali che impediscono al settore di intercettare il pieno potenziale della clientela femminile. In primo luogo, vi è un’insufficiente diversità all’interno dei team di consulenza: solo il 23% degli advisor negli Stati Uniti e circa il 18-20% in Europa sono donne.
In secondo luogo, permane un riflesso culturale che vede l’uomo come interlocutore principale nelle coppie eterosessuali, rendendo più fragile il rapporto con la cliente donna in caso di divorzio o decesso del coniuge. Infine, si registra una scarsa capacità di coinvolgere le giovani donne sin dalle prime fasi del loro percorso patrimoniale, lasciando scoperta una fascia chiave per la fidelizzazione di lungo periodo.
Cosa fare per superare il gap
Colmare questo gap richiede un cambio di paradigma, secondo la società di consulenza, che mette nero su bianco alcune strategie. Prima fra tutte, le aziende devono costruire team inclusivi, attrarre talenti femminili nel ruolo di advisor e promuovere una cultura interna più sensibile alle differenze di genere. Ma non basta. Occorre anche formare i consulenti esistenti affinché sappiano avviare conversazioni significative con le donne su temi complessi come la pianificazione successoria e la gestione degli investimenti, trattandole come partner paritari, e non come interlocutrici secondarie.
Un ulteriore passaggio strategico riguarda il modo in cui vengono gestiti i conti cointestati: serve un approccio orientato alla famiglia, che riconosca il ruolo decisionale di entrambi i membri della coppia e che coinvolga progressivamente anche la generazione successiva. Le relazioni multigenerazionali sono destinate a diventare un vantaggio competitivo per i player capaci di consolidarle nel tempo.
Infine, per intercettare il potenziale delle investitrici femminili, è necessario superare la segmentazione tradizionale e adottare modelli di analisi comportamentale più sofisticati.
McKinsey ha identificato sei archetipi ricorrenti tra le donne investitrici, tra cui spiccano le “giovani investitrici coinvolte”, una categoria in rapida crescita sia in Europa che negli Stati Uniti. Queste clienti tendono a essere attente ai costi, privilegiano i servizi digitali e cercano esperienze personalizzate. Comprendere i loro valori e preferenze consente di disegnare modelli di ingaggio più efficaci, supportati da contenuti mirati e distribuiti attraverso canali a loro familiari, come i social media e le piattaforme digitali.
In definitiva, il mercato femminile rappresenta una delle più grandi opportunità del wealth management nel prossimo decennio. Le istituzioni che sapranno adattarsi a questa trasformazione, investendo nella comprensione profonda delle esigenze delle donne lungo l’intero ciclo di vita patrimoniale, si posizioneranno per raccogliere i frutti di un potenziale stimato in oltre 10 mila miliardi di dollari. Al contrario, chi continuerà a ignorare il cambiamento rischia di vedere il “nuovo volto della ricchezza” voltarsi altrove.