Società

Strategie di borsa post-elettorali

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news
*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

Milano – Nelle società occidentali, attente ai diritti civili e sempre più multietniche, le polizie affrontano ogni giorno il problema esplosivo del profiling. Poiché è poco pratico indagare sempre a 360 gradi, restringere il campo dei sospetti di un reato sulla base della nazionalità, del colore della pelle, del genere e dell’età è una forte tentazione. Nella fila davanti al metal detector di un aeroporto sottoporre alla stessa indagine minuziosa una tranquilla signora bianca ottantenne in sedia a rotelle o un giovane inquieto con una barba incolta e la pelle olivastra viene considerato da alcuni poco efficiente.
La maggior parte delle volte probabilmente è così, ma il profiling presta il fianco ad abusi di ogni tipo e alimenta tensioni nelle nostre società, già di loro piuttosto nervose. D’altra parte, i terroristi islamici, per fare un esempio, hanno imparato velocemente ad aggirare il profiling utilizzando occidentali convertiti, con gli occhi azzurri e l’aria rassicurante.

Fatte queste premesse, se il possesso di azioni quotate in borsa fosse improvvisamente dichiarato penalmente rilevante in un qualsiasi paese europeo o negli Stati Uniti, sarebbe statisticamente pratico, dovendo organizzare una retata di azionisti e istituire posti di blocco per catturarli, fermare e perquisire soprattutto soggetti bianchi, maschi e non
Particolarmente giovani.

Bianco, maschio e senior è il profilo del tipico elettore di Romney che ieri, come il Michael Douglas bloccato nel traffico su una Interstate di Los Angeles e frustrato da una normalissima vita a gratificazioni zero, ha avuto il suo giorno di ordinaria follia.

Due ore di coda in piedi per votare, la lunga serata davanti alla televisione per vedere risultati sempre più deludenti. Il sonno agitato, il risveglio nella stanchezza. La prospettiva ormai quasi certa di un aumento dell’imposta sui capital gain dal 15 al 20-25 per cento, con un altro 3.8 per finanziare la riforma sanitaria di Obama. L’imposta sui dividendi (che pesa ancora di più su quelle azioni ad alto rendimento, telecom e utilities, che per mesi il suo broker gli ha fatto comprare) destinata a passare dal 15 al 20-25, ma forse anche molto di più, addirittura all’aliquota marginale. Che verrà a sua volta alzata e alla quale andrà aggiunto l’onnipresente 3.8 per l’Obamacare.

Il pensiero corre a quelle azioni ereditate dalla zia vent’anni fa. Da allora si sono apprezzate molto, anche se per gran parte è solo inflazione. Bisogna correre a venderle. Non importa se stanno perdendo il 3 per cento rispetto al giorno prima, conviene lo stesso liberarsene. Meglio disfarsi anche dei bancari, ora che la Warren ha vinto in Massachusetts e si prepara a portare in Senato tutto il suo zelo di nemica di Wall Street. Anche l’energia va venduta in fretta, prima che le miniere di carbone vengano chiuse, il fracking sul gas naturale cominci a essere oggetto di controversie legali infinite e una
carbon tax colpisca tutto il settore.

Per non parlare, naturalmente, del fiscal cliff, di cui si discuterà per mesi e su cui c’è una combinazione di soluzioni possibili praticamente infinita e un’incertezza, di conseguenza, totale. I signori politici dovranno stabilire se fare decidere tutto al Congresso uscente o a quello nuovo che si insedierà in gennaio. Dovranno scegliere se sistemare tutto in un paio di settimane oppure rinviare il problema di sei mesi, oppure aspettare la notte del 31 dicembre, oppure avventurarsi nell’anno nuovo a tasse già salite e poi farle ridiscendere retroattivamente. Dovranno mettersi d’accordo se alzare le tasse di un dollaro per ogni tre dollari di tagli di spesa (l’idea che circolava l’anno scorso) oppure, adesso che ha rivinto Obama, accontentarsi (i repubblicani) di un dollaro di tagli per ogni dollaro di nuove tasse. Dovranno stabilire se approfittarne per dare una sistemata a tutta la legislazione sulle tasse e semplificare il codice fiscale (passato dalle 400 pagine del 1913 alle 74mila di oggi) o se fare solo qualche ritocco. Nel dubbio, meglio vendere.

Pensare che la prima reazione europea al voto americano era stata quasi entusiastica. L’idea di una Fed obamizzata a perdita d’occhio, di una Yellen, colomba destinata a succedere a Bernanke nel 2014, e di un Quantitative easing abbondante e perpetuo, un centinaio di miliardi al mese di acquisti di Treasuries e la scomparsa per questa via del problema del disavanzo pubblico (totalmente finanziato dalla banca centrale) avevano eccitato gli animi. Con una pioggia di dollari di questa portata (cui vanno aggiunti euro, sterline e yen) si può scegliere a caso qualsiasi cosa con la certezza che salirà.
È sempre interessante come le cose appaiano spesso diverse se viste da vicino o da lontano. Ne sappiamo qualcosa noi italiani, quando sentiamo gli stranieri che ci vedono sempre molto bene o molto male (e più sono lontani più semplificano) e non si rendono minimamente conto delle contraddizioni che noi invece vediamo benissimo.

Di solito, nell’analisi, tanto i vicini quanto i lontani hanno le loro buone ragioni. Nel caso dell’America postelettorale gli osservatori lontani vedono ottimisticamente la foresta, la big picture, e avranno ragione nel medio termine. Gli americani vedono i singoli alberi e hanno ragione a vedere grigio per le prossime settimane.

Grigio, dunque, non nero. L’insuccesso repubblicano è tale rispetto ad alcune aspettative dell’ultima ora, ma prima della convention di Tampa di fine agosto gli strateghi del partito avrebbero messo la firma per il risultato ottenuto. La Camera dei Rappresentanti resta saldamente repubblicana e limiterà fortemente la libertà d’azione di Obama. I repubblicani hanno semmai difficoltà strategiche e una perdita di momentum, ma non si sono certo ridotti al lumicino. Le imposte su dividendi e capital gain difficilmente andranno sopra il 25 per cento. Il fracking non verrà troppo ostacolato perché crea molti posti di lavoro e i sindacati, nel cuore di Obama, contano più degli ecologisti. Le banche continueranno a essere punzecchiate in tutti i modi, multate metodicamente e regolate sempre più minuziosamente, ma non verranno attaccate frontalmente e la Fed continuerà ad offrire loro un ambiente favorevole. Quanto al fiscal cliff, tra le tante strade possibili una verosimile potrebbe essere questa. Nei prossimi giorni Obama annuncia di volere affrontare il problema con i repubblicani e li convoca alla Casa Bianca. I mercati, di intonazione debole lungo tutto il percorso del fiscal cliff, hanno un primo, ma breve, recupero. Le trattative proseguono per tutto novembre e dicembre.

Il mercato è in ansia, ma non precipita perché la discussione alla Casa Bianca è ad ampio respiro, è il cosiddetto grand bargain, un grande accordo che cerca di riprendere il discorso della Simpson-Bowles, la commissione bipartisan che nel 2010 aveva tracciato le linee guida per una sistemazione strategica della politica fiscale.

Un tale lavoro è destinato a prolungarsi per tutto il 2013 e forse anche oltre, ma a fine dicembre, come segnale di buona volontà e pegno reciproco, repubblicani e democratici si accordano su un piccolo anticipo di riforma, suggellato da un aumento concordato del debt ceiling (il tetto sull’indebitamento che nell’agosto 2011 generò una conflittualità durissima). La piccola riforma consiste in un contenuto aumento di imposte oltre una certa soglia (più alta dei 250mila dollari di reddito della proposta di Obama), in una riduzione di deduzioni e detrazioni e in qualche taglio su sanità e difesa.

Questo percorso non sarà facile e lineare. I democratici dovranno superare la tentazione di stravincere e i repubblicani quella di arroccarsi in difesa. I primi segnali sono incoraggianti, ma lungo il percorso ci saranno certamente momenti di crisi, che i mercati accompagneranno con una discesa dei corsi. Wall Street sarà l’occhiuto sismografo della trattativa. Al di là del fiscal cliff ci sono l’economia globale, la crisi europea e il mistero cinese. Per quanto ovviamente importanti, questi tre temi, nelle prossime settimane, non saranno protagonisti.

L’economia è in rallentamento in Europa (Germania inclusa) e in Giappone ma è in modesta accelerazione nel resto del mondo. In Europa si discute su come dare altri soldi alla Grecia senza farlo vedere. In generale in tutta Eurolandia ci si trascina avanti faticosamente, ma con l’espressa volontà di governi e Bce di tenere in piedi l’essenziale. La Cina offrirà nei prossimi mesi qualcosa di buono, ma senza fuochi d’artificio nel breve termine. Le prossime settimane non saranno molto divertenti per le borse e non mancherà qualche momento in cui tutto sembrerà buio. I mercati, sacrificandosi, daranno però ai politici lo stimolo per lavorare seriamente. Se la strada sarà quella che abbiamo provato a delineare, il primo trimestre del 2013 ci regalerà un recupero importante e un riavvicinamento ai massimi di metà ottobre. Nel frattempo nessun problema per i corporate bond. Treasuries lunghi forti. Oro laterale. Dollaro tonico.

Copyright © Il Rosso e il Nero, settimanale di strategia di Kairos Partners SGR. All rights reserved