Società

Stampa: ristrutturazioni coi soldi dei contribuenti

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Roma – L’editoria italiana è in crisi, si sa, giornali e settimanali annaspano. È tanto vero che dal 2009, quando l’allora ministro Sacconi varò una legge ad hoc per consentire ai giornali di liberarsi con i soldi pubblici dei cronisti più anziani e meglio pagati, sono circa una cinquantina le aziende che hanno chiesto e ottenuto il cosiddetto “stato di crisi”. Dentro quella lista ci sono tutti i grandi quotidiani e le agenzie di stampa: il Corriere della Sera, la Repubblica, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, Avvenire, l’Ansa e via elencando in tre anni hanno mandato in prepensionamento centinaia di lavoratori e messo in cassa integrazione o sotto contratto di solidarietà altre migliaia.

I criteri per ottenere lo stato di crisi, d’altronde, sono abbastanza “elastici”: grazie al metodo Sacconi, non serve nemmeno che il giornale sia davvero in perdita, bastano anche solo le previsioni negative per il futuro. Tanto poi l’applicazione dei piani industriali – teoricamente obbligatoria per accedere ai fondi dello Stato – non la controlla nessuno. Ad alcuni, per dire, lo stato di crisi è piaciuto talmente tanto – il Sole, ad esempio, l’Ansa e altri – che hanno bissato: ne hanno fatti due di fila col beneplacito del ministero del Lavoro, che garantisce che le ristrutturazioni industriali le paghino i contribuenti.

L’ultimo ad ottenere la seconda sovvenzione consecutiva è stato, incredibilmente, uno dei più liquidi imprenditori italiani. Si tratta di Francesco Gaetano Caltagirone, che ha già alleggerito le redazioni di tutti i suoi quotidiani di oltre 120 unità finora e adesso si appresta a far fuori da Il Mattino altri 12 giornalisti (dopo i 25 del primo stato di crisi): il provvedimento, approvato dai tecnici ministeriali, è alla firma di Elsa Fornero, ma nel frattempo nelle redazioni del quotidiano campano qualcuno è già in cassa integrazione.

Rimane inevasa la domanda – per restare sul gruppo del costruttore e finanziere romano – sul perché lo Stato debba sobbarcarsi la riduzione del personale di un’azienda editoriale che dal 2000 al 2007 ha macinato 277 milioni di euro di utili, è poi stata in perdita per due anni e l’anno scorso è tornata in attivo per 3,5 milioni.

Per di più, come ha raccontato Vittorio Malagutti su questo giornale un anno e mezzo fa, Caltagirone mentre prendeva soldi pubblici per prepensionare i suoi giornalisti, ha usato la cassa del gruppo editoriale per scalare Generali: il sindacato ne aveva ben donde, insomma, quando parlava di “presunta crisi del Messaggero”.

Ora, come detto, il Welfare si appresta a concedergli aiuti per Il Mattino e a buon punto è pure la trattativa per il secondo stato di crisi del quotidiano romano di Caltagirone. Nel frattempo, però, è accaduto un fatto imbarazzante quanto inopportuno, che rischia di bloccare l’oliata macchina delle sovvenzioni pubbliche all’editoria.

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