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Private banking, perché essere evoluti nella consulenza conviene

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di Benedetta Gandolfi

In Italia è molto diffuso il servizio di consulenza base. Lo spazio da riempire è quindi grande per un mercato dove la ricchezza è più diffusa e dove sta guadagnando spazio la quota di azioni nei portafogli. Cosa attendersi in futuro
Il mercato italiano del private banking, il quarto più ampio in Europa, ricalca il modello industriale italiano basato sulle aziende a dimensione familiare. A differenza dei Paesi più industrializzati la ricchezza è quindi più diffusa e meno concentrata. Nel Belpaese i clienti con un patrimonio finanziario superiore a 1 milione di dollari detengono infatti solo il 20% della ricchezza finanziaria, che ammonta a circa 900 miliardi di dollari sui 4,5 trilioni complessivi. Il restante 80% della ricchezza è distribuito sul resto della popolazione.
Il fenomeno della polarizzazione della ricchezza è quindi meno marcato rispetto all’Europa e al resto mondo, con un trend di crescita più lento delle fasce Uhnwi, Upper Hnwi e Lower Hnwi che finirà per consolidarsi nel corso dei prossimi cinque anni. E c’è spazio per fare più consulenza, in primis perché lo chiede l’Europa. A oggi, del resto, in Italia solo il servizio di consulenza base è molto diffuso a scapito di quelli a maggior valore aggiunto.
Il maggior ostacolo alla loro diffusione? È legato alla bassa propensione del cliente private a pagare per ricevere il servizio. Ma con l’arrivo della Mifid2 gli operatori hanno predisposto nuovi modelli di consulenza evoluta a pagamento. Sarà questa la direzione da prendere. I dati emergono dalla prima edizione dell’osservatorio Il private banking nel mondo, realizzato da Aipb e da The Boston Consulting Group, che è stato presentato in occasione del XIII Forum del private banking che si è svolto a Milano lo scorso 9 novembre.
Dalla ricerca emerge inoltre che i patrimoni da 1 a 10 milioni di dollari sono destinati a crescere dal 12% del 2012 al 15% del 2016 mentre quelli fino a 1 milione sono destinati a scendere dall’80% al 76%. È un fatto quindi, che la concentrazione della ricchezza sia appannaggio dei segmenti di clientela più alta la cui intensità in Italia è inferiore che in altre nazioni.
In altre parole la ricchezza si concentra anche nel nostro Paese nelle fasce più alte ma in maniera più lenta e graduale. Quanto al livello di penetrazione dei servizi di private banking, l’Europa è, tra i mercati maturi, la regione che l’ha più alto e l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di penetrazione, pari all’86%.

In futuro più azioni in portafoglio
A mano a mano che il portafoglio dei clienti diventa più ricco, l’allocazione degli investimenti tende a evolvere e divenire più sofisticata, con un peso crescente della parte azionaria. Questo fenomeno è strutturale ma è meno marcato in Italia. Nel mondo, infatti, la porzione di ricchezza investita in azioni è aumentata dal 39% nel 2011 al 43% nel 2016. Più bilanciato invece l’asset mix in Italia, dove la quota di azioni è passata dal 27% al 33%.
L’allocazione di portafoglio dei clienti italiani risulta così oggi equamente ripartita tra azioni (33%), bond (32%) e depositi (35%). Anche per il nostro Paese è comunque prevista, nei prossimi cinque anni, una crescita del peso delle azioni nell’asset allocation, andando ad allinearsi a quello degli altri principali Paesi europei. Ma il processo di spostamento dall’obbligazionario all’azionario sarà piuttosto lento, soprattutto in Italia. Per Carlo Giausa, responsabile del private banking di Fineco “negli ultimi anni, scanditi dall’epoca a tassi zero e dalla volatilità dei mercati, abbiamo osservato un cambio di passo nell’educazione della clientela. Questo si è accompagnato a più consapevolezza verso la necessità di una corretta gestione del patrimonio e della diversificazione di portafoglio. Questo trend continuerà. Noi siamo fiduciosi”.
Secondo Alberto Biolzi, responsabile direzione wealth management di Cassa Lombarda “l’Italia è un paese di risparmiatori attenti ai rischi e per questo motivo storicamente più esposti al mercato obbligazionario che non a quello azionario. Il risparmiatore italiano ha sempre avuto un particolare interesse per la rendita più che per la crescita del proprio capitale. In contesti normali, peraltro, questa rendita assumeva dimensioni interessanti in un mercato come il nostro in cui i tassi di inflazione, e quindi anche i tassi di interesse, si caratterizzavano per essere mediamente superiori a quelli degli altri Paesi sviluppati. Nel corso degli ultimi anni, il calo dei tassi e degli spread di credito ha determinato una naturale tendenza verso una maggior diversificazione verso altre asset class. È un processo destinato a proseguire, sebbene a un ritmo a nostro avviso decrescente in virtù dei maggiori rischi che un contesto di discesa dei ritorni attesi su tutte le asset class presenta”.
Infine secondo la ricerca Aipb, una maggiore qualificazione del servizio di consulenza potrà favorire l’inserimento in portafoglio anche di prodotti funzionali alla diversificazione come il ricorso a prodotti alternativi (hedge fund, private equity e fondi real estate). L’Italia, infatti, parte da una quota di 0,2% in investimenti alternativi rispetto al 3-4% di altri mercati
sviluppati.

Più consulenza evoluta per i clienti
Con masse in gestione pari a 800 miliardi di euro il settore del pb italiano ha raggiunto un peso rilevante e di qualità nell’ambito della più generale industria del risparmio. Ma come si sta evolvendo il servizio ai clienti? Secondo Biolzi “il contesto dei mercati finanziari, molto più complesso rispetto al passato, ha fornito una grande spinta al servizio di consulenza e questo ha indotto la clientela a ricercare forme più evolute di gestione del risparmio. Il ruolo del banker è divenuto centrale anche grazie a tale complessità. Considerando un’evoluzione non certo in chiave di semplificazione del quadro economico e dei mercati finanziari è lecito attendersi che il ruolo degli specialisti del settore diventi ancor più importante. Peraltro, il potenziale di crescita si legherà maggiormente alla capacità di fornire soluzioni sempre più articolate ed efficienti anche attraverso investimenti in formazione e tecnologia. La consulenza evoluta diventa, quindi, il principale driver di questo sviluppo. Il mercato italiano è competitivo in virtù di una progressiva crescita del settore anche con l’ingresso di diversi player internazionali. La maggiore marginalità rispetto ad altre aree geografiche è spesso funzione di una maggiore efficienza di costo e non semplicemente di una maggior redditività degli asset gestiti. “È pur vero, peraltro, che gli investimenti finalizzati a fornire una consulenza di nuova generazione potrebbero comprimere nel breve tale marginalità al prezzo di una maggior futura percezione della qualità dei servizi resi”, conclude Biolzi.
Ma la strada è quella di una maggiore consulenza evoluta, nonostante il mercato italiano del pb sia già maturo. Della stessa opinione anche Giausa secondo il quale “il mondo del private banking è di fronte a un’importante svolta, risultato di due cambiamenti strutturali. Da un lato l’introduzione di Mifid2, che impone standard più rigorosi soprattutto sul fronte della trasparenza; dall’altro la tecnologia che sta rivoluzionando la relazione con i clienti. Puntiamo quindi su un servizio di consulenza a parcella ispirato alla massima trasparenza sulle politiche di remunerazione e di costo. Quanto all’elemento tecnologico, Fineco ha elaborato il modello di cyborg advisory al servizio del pb”.

I numeri attesi per la crescita
La consulenza evoluta è già nel Dna del private banking a livello internazionale. In Nord America ed Europa il servizio di consulenza a pagamento e delle gestioni patrimoniali è molto diffuso. In Italia, invece, è largamente diffuso il servizio di consulenza base, a cui è riconducibile il 50% delle masse in gestione presso le strutture private. Lo spazio per crescere in questa direzione non manca. Ad oggi solo il 12% delle masse italiane è gestito con un modello di consulenza evoluta, a fronte del 19% a livello globale. Ed è atteso che possa aumentare fino al 27%, con la crescita di consapevolezza dei clienti sul valore del servizio. Del resto, il patrimonio del cliente italiano non è solo finanziario ma è composto anche da una quota consistente di immobili e da un patrimonio aziendale da intercettare attraverso un servizio di wealth advisory dedicato. E gli operatori più attenti si stanno muovendo in questa direzione. “Attraverso 275 banker e una struttura interna di advisory, Fineco offre una gamma di servizi che va oltre la consulenza in tema di pianificazione finanziaria, e soprattutto per i clienti imprenditori riguardano anche l’ambito corporate, la pianificazione previdenziale, fiscale e successoria” conclude Giausa.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di dicembre del mensile Wall Street Italia