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Piumini per tutte le stagioni

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Claudio Marenzi ha rilanciato l’azienda di famiglia proiettandola in una dimensione internazionale

A cura di Margherita Calabi e Benedetta Gandolfi

Per il 2019, l’etichetta dei capispalla di lusso Herno punta a una strategia di consolidamento del marchio, di crescita internazionale e di innovazione nello stile e nei tessuti. Fresca di una presenza riuscitissima a Pitti, la società guidata da Claudio Marenzi, presidente e amministratore delegato, ha l’headquarter nella splendida cornice del Lago Maggiore, a Lesa, nella valle del fiume Erno.

È lì che è germogliata un’idea imprenditoriale nel 1948 per volere di Giuseppe Marenzi che, con la moglie Alessandra Diana, ha rilevato un antico opificio vicino al torrente. È cominciata così la loro manifattura, chiamata Herno.


Il passaggio finale nella finitura di un capo

Il rilancio. Sono gli anni 2000 quando Herno passa nelle mani del figlio Claudio Marenzi. L’impresa è sana, nota e ben radicata nella cultura del saper fare. Ma nel mondo tutto sta mutando e a lui spetta il compito di andare incontro alle trasformazioni. Lo fa con una visione dirompente: riparte dal passato, da quell’età dell’oro in cui la visibilità del marchio era centrale nel mondo della moda e applica canoni nuovi. Così, nel biennio 20052006 parte il rilancio.

“Ho cominciato snellendo l’organizzazione per essere più dinamici, ho motivato i giovani, puntato sulla forza vendita, l’ho formata internamente e in esclusiva. Ho scommesso su un ufficio stile capace di fare uscire le collezioni dal classicismo senza perdere la qualità della squisita manifattura e del gusto unico, segni distintivi dell’azienda e dell’italianità”, commenta Marenzi.

In uno stabilimento ripensato come cantiere creativo, dove coesistono tradizione e contemporaneità, i capispalla diventano più informali per rispondere alle nuove esigenze di un pubblico che sta cambiando.

Dall’esperienza sartoriale, nata con la confezione dei cappotti, si mutuano forme e tessuti, si ragiona sulle performance per contrapposizioni: capi impermeabili ma traspiranti, piumini leggeri ma caldi, lussuosi nelle linee ma con una tenuta sportiva. Il segreto per rinnovarsi? “Avere motivazione, credere in se stessi, non lasciarsi abbattere. E avere sempre un pizzico di incoscienza”.

Aggiunge: “prima che Herno diventasse Herno, mio padre lavorava in un’azienda che costruiva aeroplani, dove veniva utilizzato in grande quantità l’olio di ricino. Lo stesso utilizzato per realizzare impermeabili. Fu così che dalla meccanica passò al tessile. Poi è arrivata la voglia di mettersi in proprio”.

La sua azienda passa dagli impermeabili alla lana e cresce in Italia, Europa, Asia e Giappone. Nel 1989 inizia la fase dei marchi terzi. Ed ecco che, negli anni 2000, “dopo aver perso molti clienti, abbiamo deciso di focalizzare la strategia sul nostro marchio. Allora l’azienda fatturava 7 milioni di euro e c’erano 50 persone. Adesso abbiamo 250 persone interne e, se consideriamo gli indotti di Sicilia (dove vi è la fabbrica, ndr) e Romania (dove il marchio lavora attraverso una partnership, ndr), si arriva a 5500 persone”, precisa.

La svolta

La grande capacità di Marenzi è stata quella di aver preso le fibre tipiche dell’active sport e di averle trasferite nel mondo dei tessuti urbani, in alcuni casi abbinandoli a stoffe preziose, dando una scossa al concetto di lusso. Il cambio strategico ha fatto decollare il fatturato e spinto al 70% le esportazioni all’estero. Forte di anni di storia manifatturiera, oggi il marchio studia tessuti sempre più performanti e processi produttivi rivoluzionari con macchinari per la termo-nastratura e le cuciture a ultrasuoni. “Ricerca e innovazione contano talmente tanto che le si dà per scontate. La differenza tra noi e gli altri marchi è che noi facciamo tutto questo internamente”, sottolinea l’imprenditore.


La sede dell’azienda a Lesa, sul Lago Maggiore

Nuove aperture. Dopo l’opening di Milano in via Montenapoleone 3, a gennaio Herno è approdata a Parigi al 259 di rue Saint Honoré, mentre ci sono altre location in via di definizione. “L’obiettivo è completare la geografia dei monomarca in modo coerente con l’immagine e il posizionamento del marchio. Stiamo valutando alcune piazze partendo dall’Europa.

Oggi il mercato principale è il Giappone (Herno già nel 1968 apriva una boutique a Osaka), ormai raggiunto dagli Stati Uniti, un mercato che è cresciuto moltissimo negli ultimi cinque anni. Abbiamo aperto un monobrand a New York dove, a breve, inaugureremo una nostra sede con uno showroom. Il terzo mercato è la Germania e l’area europea”.

L’evoluzione di un menswear 4.0. All’ultima edizione di Pitti, Herno ha presentato un’evoluzione della collezione Laminar (con uno stand dedicato). “Abbiamo ampliato la gamma di tessuti, naturali, tecnici membranati, termosaldati. È piaciuto tutto. È stato il primo obiettivo che ci aspettavamo da Pitti e la collezione ha avuto successo. Si sa, la manifestazione vive gli alti e i bassi fisiologici dovuti alla congiuntura.

Ma i buyer che contano vengono ancora tutti”, commenta il presidente. “Abbiamo portato l’innovazione nel territorio dell’abbigliamento sartoriale, applicando la nostra tecnologia ai tessuti della tradizione: lane e flanelle, check e pied-de-poule si uniscono a speciali membrane e si combinano con trattamenti water resistant e windproof”, specifica.

Herno intanto non perde di vista l’impegno nei confronti dell’ambiente con l’iniziativa Pef-Product environmental footprint che consente di mappare, insieme al produttore di filato e tessuti, l’impatto ambientale della produzione di un capo. L’azienda ha prodotto il primo capo certificato in Europa Made Green in Italy.

Tutte le strutture della sede di Lesa sono state mimetizzate nel verde e grazie a un investimento sul fotovoltaico, la sede è completamente autonoma sul fabbisogno energetico. “È un investimento neutro dato che, al suo compimento, si arriva al break even. Lo si fa dunque per una questione culturale e per una dose di sano egoismo. Abito in una delle più belle zone del mondo e non voglio rovinarla”, sorride.

Un capo della collezione uomo primavera-estate 2019

Il cliente tipo. Herno vende circa 300 mila piumini l’anno. “Il nostro consumatore è una persona con una capacità di spesa importante, ma che è autonomo dal punto di vista del gusto. Non ha bisogno di frame o di lifestyle”,
racconta. “Una decina di anni fa ho capito che non era solo più il sartoriale a essere di tendenza, ma che cominciava a farsi strada il concetto della performance grazie ai nuovi 40enni, così come i 70enni, che avevano una vita più dinamica. Noi abbiamo quindi optato per il lusso tecnologico”. Marenzi, negli anni, ha aggiunto cariche su cariche, istituzionali e operative: è presidente di Confindustria Moda, presidente di Pitti Immagine e consigliere del Centro di Firenze per la Moda Italiana. “Mi sono impegnato perché ho un forte senso del dovere nei confronti del mio settore. Non ho diminuito il mio impegno in azienda, ma ho cominciato a delegare. Questo ha fatto crescere i miei collaboratori”, aggiunge.

Passioni e futuro

Marenzi è appassionato di arte contemporanea, di cui è un collezionista, e di sport. “La mia passione è lo sport in generale. In particolare lo sci e l’alpinismo. Ho giocato a pallavolo per 20 anni. Inoltre, ho sempre amato l’arte contemporanea. Non sono mai stato tentato di fare l’artista, ma ho sempre voluto frequentare i giovani artisti.

A Miart abbiamo istituito il premio Herno, ora alla 5° edizione. È un premio che si dà alla galleria con il miglior layout espositivo. E qui risiede il collegamento con la moda: i capi non risaltano se non sono esposti bene. Lo stesso dicasi per l’arte contemporanea. È molto importante il contesto”.

I prossimi lustri. “Abbiamo intenzione di festeggiare altri 70 anni e, meglio ancora, arrivare ai 100. Questa è una data importante e abbiamo voluto enfatizzarla perché vuole dire esperienza. Voglio solo riuscire a trasferire il valore della nostra esperienza manifatturiera.

Ma ora basta parole. Andiamo avanti. Ho l’entusiasmo di un bambino”, dice l’imprenditore che guarda al futuro. La sua azienda, che ha chiuso il 2018 con un fatturato intorno ai 108 milioni di euro e un Ebitda pari al 14%, nel 2019 stima una crescita del giro d’affari del 10%.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di febbraio del magazine Wall Street Italia.