Non è facile sentirsi a proprio agio tornando ad acquistare nel bel mezzo di una crisi ma, per coloro che si sono posizionati in modo molto conservativo precedentemente, il mercato offre una serie di opportunità. Negli ultimi 20-30 anni si sono sviluppati alcuni importanti squilibri nell’economia globale, causati dalla volontà delle banche centrali di evitare o attenuare le recessioni.
Già nell’era di Greenspan abbiamo visto che, non appena l’economia ha rallentato, la Fed ha iniziato a tagliare i tassi. Le imprese, le famiglie e i Paesi hanno iniziato a prendere in prestito. Tagli dei tassi troppo attivi hanno spinto i tassi al ribasso e hanno creato un superciclo del debito.
Poi è iniziato il secondo fenomeno, il carry trade. Ciò significa che gli investitori europei e giapponesi, a fronte di rendimenti più bassi nei rispettivi paesi, hanno iniziato a investire in asset a più alto rendimento e a crescita più rapida. La realtà è, ovviamente, molto più complessa di questa ma, per semplificare, alla fine abbiamo tutti acquistato azioni statunitensi e abbiamo permesso alle aziende statunitensi di finanziare il riacquisto di azioni – e tutti erano contenti. Questo fino all’anno scorso, quando l’S&P ha raggiunto 30 volte gli utili.
La conseguenza di tutto questo è stata che è diventato più vantaggioso investire in attività finanziarie che prendere in prestito e costruire un nuovo impianto di produzione o essere creativi e innovativi. Di conseguenza, il rapporto tra investimenti e PIL è ora ai minimi storici, registrati l’ultima volta ai tempi della Seconda guerra mondiale. Ci troviamo in un gigantesco superciclo del debito, con investimenti troppo contenuti, troppi pochi default e nessuna innovazione rivoluzionaria.
Il problema di questa economia alimentata dalla repressione dei tassi, dal QE e dai riacquisti di azioni – un’economia che non prevede investimenti – è che non può continuare all’infinito. Il fattore scatenante può essere qualsiasi cosa. Potrebbe essere una guerra, una recessione, un virus. In questo caso è stato il coronavirus, ma l’attuale sell-off non riguarda solo il virus.
Si tratta piuttosto di questi grandi squilibri che hanno fatto sì, per esempio, che gli Stati Uniti si trovassero in una posizione di investimento netto pari a meno una volta il PIL. Ciò significa che gli Stati Uniti, su base netta, devono agli stranieri una somma pari a una volta il valore del proprio PIL. E ora è arrivato il panico e il PIL si ridurrà.
Siamo nel bel mezzo di una recessione, che crediamo sarà profonda. La fiducia è venuta meno e l’intero ciclo minaccia di invertire la rotta. Significa che gli investitori asiatici stanno vendendo gli asset statunitensi, i privati non torneranno nel mercato monetario uscendo dalle azioni e dal credito, e così via, mentre l’intero ciclo si sgonfia. Avevamo detto quanto continuare con il QE e gonfiare ulteriormente questa bolla fosse pericoloso, ma è esattamente quello che è successo. Il coronavirus è la sabbia gettata nel motore; il motore si inceppa e si scatena il panico.
Due settimane fa la Fed ha operato un taglio del tasso di emergenza di 50 punti base. A questo ha fatto seguito una cattiva comunicazione da parte della BCE. E poi gli sviluppi completamente inaspettati con l’OPEC, che hanno portato al crollo del prezzo del petrolio. Tre gravi incidenti in un paio di giorni. E proprio quando pensavamo di aver visto tutto, la Fed ha tagliato di altri 100 punti base, cosa che nessuno si aspettava. I mercati hanno perso completamente la fiducia a quel punto, le vendite sono iniziate e la liquidità è scomparsa.
La buona notizia è che la vera risposta a questa situazione è la politica fiscale. Rispetto al 2008, questa volta i politici hanno capito molto più velocemente che si tratta di una situazione precaria. Soprattutto perché sono le aziende, le PMI e i loro elettori a soffrire. Nel 2008 erano le banche e Wall Street – che avevano già fatto un sacco di soldi – a dover essere salvati, una scelta impopolare. In questo momento, si vede una reazione molto più rapida e sembra che gli stimoli fiscali stiano arrivando.
La seconda notizia positiva è la velocità del sell-off. Nei mercati azionari, ad esempio, abbiamo registrato in un mese un ribasso che aveva richiesto quasi un anno durante la crisi del 2008. Questo è di per sé un fattore positivo.
Siamo già in recessione, ma non è questo il punto più importante. I mercati azionari e del credito sono relativamente poco correlati ai cambiamenti del PIL; si può facilmente veder coincidere una crescita negativa del PIL con un movimento positivo del mercato, che tende a guardare avanti.
La nostra opinione è che una ripresa a V sia possibile nei prossimi mesi, poiché crediamo che riusciremo a contenere questo virus. La supply chain globale che si è completamente arrestata si riprenderà. Gli impianti di produzione in Cina sono già tornati ai livelli di produzione del 60-80%.
Il virus si sta sviluppando con un certo ritardo in Europa e Stati Uniti e ci vorranno un paio di settimane per riprendersi, ma è probabile che la contrazione del Pil si inverta nei prossimi mesi. Dopodiché, diciamo nella seconda metà dell’anno, ci aspettiamo le ricadute – ed è allora che i danni reali saranno visibili.
I livelli del debito sovrano saranno aumentati, diventerà evidente che siamo nel bel mezzo di un ciclo di default, che gran parte del settore dell’energia sarà in default, e che – a meno che non vengano salvate – le compagnie aeree saranno in default, e così via. Ma questi sono tutti fattori visibili a posteriori. Se si aspettasse l’inizio del ciclo di default o i pacchetti di salvataggio, sarebbe già troppo tardi. Ricordate che il mercato guarda avanti.
In una recessione come questa, le azioni dovrebbero scendere del 30-40%. Ci siamo quasi. Gli spread dell’high yield USA sono ora a 850. La regola generale è iniziare a comprare quando gli spread sono tra 800 e 1000. Quindi, questi sono segnali positivi. Le valutazioni ora sono positive, i tecnici stanno diventando positivi grazie al sostegno politico, e i fondamentali sono foschi.