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Lavoro: una riforma sbagliata

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Il contenuto di questo articolo, pubblicato da ADAPT University Press – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Roma – Nel marzo di questo anno, in occasione della celebrazione del decennale della scomparsa di Marco Biagi, un autorevole esponente del Governo, il Ministro Cancellieri, aveva proposto di intitolare proprio al professore bolognese l’imminente riforma del lavoro. Sono passati solo tre mesi da questa proposta. Eppure le sensazioni negative di allora, con i tratti caratterizzanti della riforma solo vagamente anticipati dal Ministro Fornero, non solo non sono state fugate, ma vengono anzi ora confermate da un testo di legge, quello approvato dal Senato lo scorso 31 maggio 2012, che, se confermato anche dalla Camera, finirà con il cancellare buona parte del pensiero riformatore di Marco Biagi.

A venire meno saranno non solo interi pezzi della legge Biagi ma anche, e soprattutto, quella visione culturale e valoriale del lavoro che la sosteneva e cioè l’idea di un arretramento dello Stato e del formalismo giuridico e burocratico a favore della contrattazione collettiva e della bilateralità, in una ottica di sussidiarietà e prossimità, con la contestuale affermazione del valore positivo della flessibilità in un Paese come il nostro allora come ora fortemente segnato dalla piaga del lavoro nero e dove ancora troppi sono i giovani e le donne, soprattutto del Mezzogiorno, esclusi dal mercato del lavoro. Senza peraltro sottovalutare i costi della riforma che, come abbiamo cercato di dimostrare in un apposito commento, sembrano valutati in modo approssimativo e sin troppo ottimistico lasciando intravedere all’orizzonte – nell’assenza di adeguate strumentazioni di valutazione ex ante dell’impatto delle leggi sul mercato del lavoro – un probabile nuovo caso “esodati” che certo non giova all’immagine del Paese e alla autorevolezza di un governo di tecnici che dovrebbe condurre il cambiamento non a colpi di fiducia e di alchimie parlamentari, ma sulla forza dei fatti e delle buone idee.

Rimane insomma confermato il giudizio fortemente critico sulla riforma Monti-Fornero che avevamo consegnato ai lettori con la pubblicazione del precedente volume ADAPT University Press e di cui si può trovare una sintesi nelle schede di valutazione che racchiudono in poche pagine un intenso lavoro di studio svolto dai ricercatori di ADAPT e del Centro Studi Marco Biagi. Il dibattito parlamentare e il lavoro al Senato non hanno fornito il contributo sperato e anche le poche idee contenute nell’impianto originario della riforma vengono ora spiazzate da modifiche estemporanee frutto più della improvvisazione – se non di debiti di riconoscenza – che di una attenta opera di analisi della realtà del mercato del lavoro e di ascolto delle parti sociali.

IL REPORT INTEGRALE

Finalità della legge e sistema di valutazione e monitoraggio

L’elenco di finalità è certamente positivo e condivisibile, anche se si registra una notevole discordanza rispetto alla strumentazione normativa messa in campo negli articoli successivi. Positiva è la messa in campo di un sistema di valutazione e monitoraggio che, tuttavia, avrebbe dovuto riguardare prioritariamente i possibili effetti della riforma in discussione sul mercato del lavoro.

Rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni

La riforma, una volta ancora, separa la regolazione del lavoro pubblico dal lavoro privato bloccando ulteriormente il non facile processo di armonizzazione dei due settori.

Contratti a tempo determinato

Eccessivo irrigidimento nell’utilizzo del contratto a termine. Eccessiva liberalizzazione della prima assunzione a termine, anche in assenza di esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Limitazione dell’uso dei contratti stagionali. Invasione rispetto alle competenze della contrattazione collettiva specie di prossimità. Erronea equiparazione tra contratto a termine e somministrazione.

Contratto di inserimento

Si elimina l’unico contratto finalizzato all’inserimento del mercato del lavoro dei gruppi svantaggiati. Apprendistato e incentivi economici all’occupazione copriranno solo in parte il campo di applicazione precedentemente presidiato dal contratto di inserimento.

Apprendistato

L’apprendistato diventa almeno sulla carta il principale canale di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. La durata minima di sei mesi rende maggiormente effettivo il percorso formativo; il legislatore opportunamente esclude dalla durata minima i contratti stagionali. La percentuale di stabilizzazione di apprendisti non è in linea con la filosofia dell’istituto, ma le percentuali indicate sono ben al di sotto delle soglie indicate dalla contrattazione collettiva e, dunque, non dovrebbero ingenerare particolari problemi.

Negativo il fatto che non si riconosca l’apprendistato in somministrazione per missioni a termine. L’estensione a 5 anni della durata del contratto di apprendistato di mestiere per i profili caratterizzanti la figura dell’artigiano non è affatto chiara.

Lavoro a tempo parziale

I limiti nell’utilizzo delle clausole elastiche e flessibili nel contrato a tempo parziale penalizzerà ulteriormente le imprese già diffidenti verso l’uso di questo importante strumento contrattuale ancora poco utilizzato rispetto alla realtà del nord Europa.

Lavoro intermittente

É positiva la reintroduzione del requisito soggettivo “esclusivo”, cioè della possibilità di assumere in ogni caso lavoratori con meno di 24 anni (prestazioni da svolgersi entro il compimento dei 25 anni) o più di 55 anni (anche pensionati), ma se si guarda l’ambito di applicazione oggettivo dell’istituto rispetto alla disposizione oggi vigente, questa viene sensibilmente compressa con forte rischio di aumento del lavoro sommerso. Inoltre, è fuorviante l’eliminazione del riferimento testuale ai “pensionati”.

Lavoro a progetto

La nuova definizione di progetto, il salario minimo, l’eliminazione del concetto di “programma o fase di esso”, e la paventata ipotesi di aumento dell’aliquota contributiva consentiranno di assimilare sempre di più il collaboratore ad un lavoratore subordinato, senza tuttavia gran parte delle tutele previste per quest’ultimo. Sarà purtroppo molto probabile l’incremento di rapporti di lavoro “simulati” o, ancor peggio, del lavoro nero.

Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo

Eccessiva rigidità delle presunzioni introdotte con scarsa attenzione per il lavoro genuinamente autonomo e forte rischio di aumento del lavoro sommerso.

Associazione in partecipazione con apporto di lavoro

La riforma porterà alla implicita abrogazione dell’istituto in considerazione e del limite numerico troppo stringente, in base al quale gli associati per una medesima attività lavorativa non potranno essere superiori a tre. Molto probabile l’incremento di lavoro nero.

Lavoro accessorio

L’imposizione del limite di 5.000 euro per la totalità delle prestazioni annue, unito al limite di 2.000 euro per le prestazioni rese per ciascun committente, imprenditore commerciale o professionista, frenerà indubbiamente il ricorso all’istituto, specialmente nei confronti dei più giovani che potevano trovare nello stesso un valido inquadramento delle attività lavorative saltuarie realizzate. La stessa problematica emergerà rispetto al lavoro agricolo poiché gli abusi, già elevati, non potranno che aumentare. Molto probabile l’incremento di lavoro nero.

Tirocini formativi

È positivo l’intento di limitare gli abusi nell’uso dei tirocini formativi
e di orientamento. È sbagliato pensare di limitare gli abusi nel’uso dei tirocini prevedendo una mini-retribuzione, che infatti finirà per legittimare
l’abuso oggi esistenti. La norma non definisce puntuali criteri per la messa a punto di efficaci linee guida di contrasto agli abusi.

Licenziamenti Individuali

Positiva è la scelta di favorire l’utilizzo di ADR per l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo assoggettato alla nuova tutela dell’art. 18 S.L.. La procedura è deformalizzata ed ispirata a celerità. La nuova formulazione appare aver corretto i difetti emersi con il precedente articolato: in particolare, si sono scongiurate, grazie al nuovo ultimo comma, possibili pratiche dilatorie da parte del lavoratore. Infatti, l’eventuale malattia insorta nel corso della procedura non ha effetti sospensivi, poiché il licenziamento ha effetto dalla data di avvio del procedimento di conciliazione avanti la Direzione territoriale del lavoro. Apprezzabile, all’opposto, che siano stati riconosciuti gli effetti sospensivi delle norme in tema di tutela della maternità e paternità e di infortuni.

Tutele in caso di licenziamento illegittimo (modifiche all’art. 18 S.L.)

Vengono introdotte significative modifiche all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, lasciando immutato il relativo campo di applicazione. Le sanzioni vengono differenziate a seconda che si abbia a che fare con:

1. un licenziamento discriminatorio o orale;
2. un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo
soggettivo;
3. un licenziamento inefficace per violazioni formali;
4. un licenziamento per motivo oggettivo.
Nel caso 1), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, si avrà la piena applicazione della tutela reale (convertibile in 15 mensilità) e del risarcimento del danno medio tempore maturato.

Nel caso 2) vengono distinte due sotto-ipotesi: 2.1) la prima ricorre nel caso sia insussistente il fatto contestato o laddove quest’ultimo rientri tra la le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni di cui al CCNL o al codice disciplinare aziendale; 2.2) la seconda è data da tutte le “altre ipotesi” in cui venga accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa. Le differenze in termini di tutela sono significative: infatti, solo nel primo sotto-caso sarà applicabile la reintegra e riconosciuto il risarcimento del danno medio tempore maturato pari ad un massimo di 12 mensilità; la seconda sotto-ipotesi è, invece, tutelata da un risarcimento economico compreso tra 12 e 24 mensilità e con conferma dell’intervenuta risoluzione del rapporto. Appare difficile distinguere tra le ipotesi 2.1) e 2.2) e viene ampliato il margine di discrezionalità del giudice nella valutazione dei fatti, con conseguente rischio di contrasti interpretativi.

Nel caso 3), caratterizzato da violazioni esclusivamente formali (quali l’omessa comunicazione della motivazione o il mancato rispetto della procedura garantistica di cui all’art. 7 Statuto dei Lavoratori), viene applicata unicamente una sanzione economica (tra 6 e 12 mensilità), fermi restando gli effetti dell’intervenuto licenziamento.

Infine, nell’ipotesi 4), vengono applicate le tutele previste per il caso 2.2. nei casi più gravi (ad esempio: violazione delle tutele sulla malattia o manifesta infondatezza dei motivi addotti) o le garanzie dell’ipotesi 3. ove venga accertata l’infondatezza del motivo addotto. Viene codificata la regola dell’aliunde perceptum, estendendo una disciplina simile a quella dell’art. 32 della L. 183/2010 in caso di reintegra per le ipotesi 2) e 3).

Modifiche all’art. 30 della L. 183/2010

In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente. L’inosservanza da parte del giudice di tali limiti di sindacato costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto, rilevante ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.

Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi

La novità consente una più agevole gestione delle formalità di comunicazione del recesso ai singoli lavoratori ed agli enti, separando cronologicamente le due attività, oggi da effettuare “contestualmente”, con forte rischio di illegittimità del recesso per semplice violazione formale. Per attenuare gli effetti di violazioni formali nell’ambito di una procedura complessa quale quella di mobilità, si è prevista la sanabilità degli stessi ove la procedura si sia conclusa con un accordo sindacale. La norma mira, infine, ad adeguare l’art. 5 della L. 223/1991 al nuovo testo dell’art. 18 della L. 300/1970, risentendone dei medesimi difetti.

Rito speciale per le controversie in tema di licenziamenti

Introducendo un rito speciale relativo ai soli licenziamenti assoggettati all’art. 18. S.L. si crea un problema di scelta del rito. In contrasto con la volontà di creare un rito estremamente celere si ricomprende nell’ambito di applicazione la trattazione di questioni attinenti la qualificazione del rapporto che richiedono un’ampia attività istruttoria. Sulla tutela urgente manca ogni espresso riferimento alla perentorietà dei termini processuali, tipico strumento per assicurare una funzione acceleratoria, come manca una disciplina per consentire la conversione del rito, mentre appare complessa l’applicazione delle regole sulla connessione.

Nel giudizio di opposizione non è consentita alcuna modificazione dell’oggetto, non si comprende, pertanto, come possa essere ipotizzabile la chiamata di un terzo a fronte di un giudizio che si è cristallizzato con le domande svolte nelle prime difese. Il giudizio avanti la corte di appello in modo inopportuno viene denominato “reclamo”. I termini previsti per la fissazione delle udienze di discussione nei giudizi di impugnazione (60 giorni per l’appello e 6 mesi per la cassazione) sono meramente ordinatori e la loro violazione priva
di sanzione.

Il riservare particolari giornate d’udienza alla trattazione del nuovo rito è privo di sanzioni reali e di difficile applicazione, ad organico immutato. La norma transitoria non consente alcuna effettiva riorganizzazione degli uffici giudiziari.

ASPI (Assicurazione sociale per l’impiego)

L’ASPI va a sostituire i seguenti istituti:
– Indennità di mobilità;
– Indennità di disoccupazione non agricola ordinaria;
– Indennità di disoccupazione con requisiti ridotti;
– Indennità di disoccupazione speciale edile (nelle tre
varianti).

L’ambito di applicazione della nuova forma di sostegno viene esteso agli apprendisti e ai soci lavoratori di cooperativa che abbiano stabilito, in ragione del rapporto associativo, un rapporto di lavoro in forma subordinata. Restano esclusi dalla nuova assicurazione i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. I requisiti di accesso sono sostanzialmente identici a quelli dell’attuale indennità di disoccupazione ordinaria:
– almeno due anni di assicurazione;
– un anno di contribuzione nell’ultimo biennio;
– perdita involontaria del posto di lavoro.

Sono esclusi i lavoratori che abbiano dato le dimissioni o che abbiano risolto consensualmente il rapporto di lavoro. E’, però, ammesso al trattamento dell’ASPI il lavoratore che sia arrivato ad una risoluzione consensuale del rapporto nell’ambito del procedimento obbligatorio di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 7 della L. 604/1966. L’importo lordo riconosciuto è quello di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 427, oggi pari ad un massimo di € 1.119, 32 (per le retribuzioni superiori ad Euro 2.014,77) e ad un minimo di Euro 931,28. Tale somma viene ridotta del 15% dopo i primi sei mesi e di un ulteriore 15% dopo i primi dodici mesi (quindi nel solo caso del lavoratore over 55).

La durata è differenziata a secondo dell’età del lavoratore:
– se il lavoratore ha meno di 55 anni spetta per 12 mesi;
– se il lavoratore ha più di 55 anni la copertura è assicurata
per 18 mesi.

Per tutta la durata dell’Aspi viene riconosciuta la contribuzione
figurativa in misura pari alla media delle retribuzioni imponibili a
fini previdenziali degli ultimi due anni. Manca un chiaro riferimento alla applicabilità dell’ASPI a favore dei lavoratori dimessisi per giusta causa. In caso di risoluzione consensuale nell’ambito della nuova procedura di conciliazione obbligatoria, non è indicata una soglia limite all’indennità percepita a titolo transattivo, oltre la quale non si gode dell’ASPI. Manca un preciso raccordo tra la nuova disciplina e tutti i provvedimenti normativi ancora in vigore che fanno riferimento agli istituti ora abrogati (indennità di mobilità, indennità di disoccupazione, …)

Tutele della nuova occupazione

La norma interviene al fine di agevolare comportamenti virtuosi e
di responsabilizzazione dei lavoratori che beneficiano di
prestazioni di sostegno del reddito, favorendo lo svolgimento di
attività di lavoro di breve periodo (entro i sei mesi) o di lavoro
autonomo. Il lavoratore se accetta tale offerte o se svolge attività di lavoro
autonomo non perde l’ASPI, che viene sospesa.
Questa riprende ad essere versata alla cessazione di tale attività.

Mini – Aspi

La Mini – ASPI assicura un minimo di tutela a favore dei lavoratori che possano far valere almeno (recte: solo) 13 settimane di contribuzione negli ultimi dodici mesi. La Mini-ASPI è di importo pari all’ASPI, ma è liquidata per un periodo massimo pari alla metà delle settimane di contribuzione dell’ultimo biennio.

Contribuzione per il finanziamento

La contribuzione dell’ASPI avviene sostanzialmente attraverso
– lo 0,01% delle retribuzioni dei dipendenti soggetti all’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 1,4% della retribuzione dei lavoratori non a tempo indeterminato;
– Un versamento pari al 50% del trattamento mensile dell’ASPI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni, moltiplicato per tre volte in caso di mancato accordo sindacale nell’ambito delle procedure di licenziamento collettivo.

Quest’ultima contribuzione non è dovuta (limitatamente al periodo 2013-2015) per le ipotesi di cambi di appalto seguiti dall’assorbimento presso il nuovo appaltatore o da licenziamento nel settore edile per avvenuta chiusura del cantiere. La norma comporta un incremento del costo del lavoro.

Decadenza

Correttamente viene prevista la decadenza dal trattamento di sostegno al reddito a fronte:
– della perdita dello stato di disoccupazione (salvo il caso della sospensione dell’ASPI);
– avvio di attività di lavoro in forma autonoma;
– raggiungimento dei requisiti pensionistici i lavoratori rifiutino di partecipare ad un corso di formazione o riqualificazione ovvero non lo frequentino con regolarità.
Parimenti, la decadenza interviene ove il lavoratore rifiuti di partecipare a iniziative di politiche attive proposte dai centri per l’impiego o non vi partecipino regolarmente. Analogamente decadono dai trattamenti coloro che non accettino un’offerta di lavoro con inquadramento in un livello retributivo con una riduzione non superiore al 20% rispetto all’importo lordo dell’indennità cui hanno diritto.

Indennità una tantum per i collaboratori coordinati e continuativi disoccupati

Viene opportunamente confermata la tutela attualmente prevista a favore dei co.co.pro. a condizioni tassativamente previste. L’importo massimo, liquidato in un’unica soluzione, è pari al 5% del minimale annuo di reddito di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate l’anno precedente e quelle non coperte da contribuzione.

Revoca di prestazioni di sostegno al reddito e di trattamenti previdenziali in caso di condanna per reati di tipo terroristico e mafioso e per il reato di strage

La norma introduce una specifica ipotesi di revoca di ogni trattamento previdenziale e/o di sostegno al reddito se il lavoratore è condannato per i reati di: associazione terroristica; attentato per finalità terroristiche o di eversione; sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione; associazione di stampo mafioso; scambio elettorale; strage; delitti commessi per agevolare le associazioni di stampo accessoria alla condanna. La norma tuttavia non è chiara e appare priva di contenuto pratico con riguardo all’ASPI e ai trattamenti di natura temporanea, atteso che la sanzione accessoria diventa eseguibile solo col passaggio in giudicato della sentenza.

Non è chiaro se il dovere di segnalazione del PM, riguardo all’illecito percepimento di una indennità, sia applicabile solo nelle ipotesi di indagini relative ai reati espressamente elencati o se, all’opposto, sia applicabile ad ogni indagine penale. A fronte della revoca non è chiaro chi debba esercitare l’azione di restituzione degli eventuali trattamenti fino a quel momento percepiti.

Istituzione dei fondi di solidarietà bilaterali

Viene creato, attraverso accordi e contratti collettivi che devono costituire fondi di solidarietà bilaterali, un sistema volto ad assicurare forme di sostegno al reddito nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per le cause già previste per la Cassa integrazione guadagni (CIG) o per la CIGS, nei settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale straordinaria.

L’istituzione dei fondi è obbligatoria per le imprese che occupano mediamente più di quindici dipendenti. I fondi possono avere anche ulteriori finalità:
i. assicurare ai lavoratori una tutela in caso di cessazione dal rapporto di lavoro, integrativa rispetto all’assicurazione sociale per l’impiego (come ad esempio il GSR presso il FASI per i dirigenti industriali);
ii. prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni (come ad esempio il Fondo solidarietà del settore creditizio);
iii. contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o comunitari.

I fondi possono essere costituiti anche nell’ambito di settori già coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale per le finalità sopraelencate. Negativa è la non applicazione al di sotto dei 15 dipendenti. Negativa è la visione pubblicistica e burocratica della bilateralità.

Fondi di solidarietà bilaterali: modello alternativo

Viene fatta salva la possibilità di utilizzare, per le finalità che precedono, i Fondi interprofessionali, previo loro adeguamento. In tale caso, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, dovranno essere adottate le necessarie modifiche volte a far sì che il fondo possano assicurare una tutela reddituale al lavoratore, sia in costanza di rapporto, che in caso di riduzione o sospensione dell’attività produttiva. La norma opportunamente amplia le possibilità di intervento dei fondi interprofessionali, assicurando così una più ampia possibilità di utilizzo delle risorse ogni anno accantonate.

Fondo di solidarietà residuale per l’integrazione salariale

Opportunamente, viene previsto un potere di intervento da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nei casi in cui non siano stipulati, entro il 31 marzo 2013, contratti o accordi collettivi volti a prevedere la attivazione dei fondi di solidarietà.

Prestazioni

La norma mira a generalizzare quelle esperienze positive maturate nel settore del credito (fondo esuberi) o per i dirigenti del settore industria (sostegno al reddito – GSR). Infatti, i fondi possono:
– assicurare prestazioni integrative rispetto all’ASPI;
– versare assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni;
– contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea.

Modifiche alla disciplina del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa

La norma interviene ad adeguare la disciplina della sospensione dei mutui per la prima casa ove il mutuatario abbia perso involontariamente il posto di lavoro, precisando che la sospensione non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria e che deve avvenire senza richiesta di garanzie aggiuntive. Criticabile il fatto che la sospensione non sia riconosciuta ove il licenziamento sia per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, poiché non appare corretto che la semplice qualificazione del licenziamento data unilateralmente dal datore di lavoro possa impedire l’accesso ad una misura di aiuto per la famiglia del lavoratore.

Intervento a favore dei lavoratori anziani

Si introduce un sistema volto a sostenere processi di esodo dei lavoratori cosiddetti anziani, tramite appositi accordi tra datori di lavoro (che impiegano mediamente più di 15 dipendenti) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale.
Condizione necessaria è che i lavoratori nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto raggiungano i requisiti minimi per il pensionamento. In tali casi il datore di lavoro deve versare un importo pari alla pensione che spetterebbe a legislazione vigente e la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento dei lavoratori interessati. Il costo appare, quindi, molto elevato, salva l’utilizzabilità dei costituendi fondi di solidarietà bilaterali. Da verificare la compatibilità della norma con le regole in tema di contrasto alle discriminazioni per ragione d’età.

Incentivi all’occupazione e per i lavoratori anziani e le donne nelle aree svantaggiate

La norma mira a compensare l’abrogazione del contratto di inserimento e di procrastinare quella agevolazione prevista sino al 31 dicembre 2012 dalla Finanziaria 2010, ai commi 134 e 135. In relazione ad assunzioni effettuate a decorrere dal 1º gennaio 2013, con contratto di lavoro dipendente, a tempo determinato (anche in somministrazione), che riguardino lavoratori di età non inferiore a 50 anni, disoccupati da oltre 12 mesi, viene riconosciuta la riduzione del 50% dei contributi a carico del datore di lavoro, per una durata di 12 mesi. Nell’ipotesi in cui l’iniziale contratto di assunzione sia trasformato a tempo indeterminato, la riduzione si prolunga fino a 18 mesi successivi alla data di assunzione. Analogamente la decontribuzione spetta per 18 mesi quando l’assunzione sia effettuata fin dall’inizio a tempo indeterminato.

Principi generali concernenti gli incentivi alle assunzioni

La norma mira a chiarire le modalità di applicazione degli incentivi (di carattere contributivo, talvolta economico ed anche contrattuale) previste per le assunzioni di lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi o di lavoratori in mobilità.

Tutela della maternità e paternità e contrasto del fenomeno delle dimissioni in bianco

Viene rafforzato il regime di tutela. Viene introdotta la convalida per le dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino, che diviene condizione sospensiva della risoluzione del rapporto di lavoro.

Parimenti la risoluzione consensuale del rapporto deve essere convalidata. In tutti i casi la convalida è condizione sospensiva dell’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale. La convalida deve essere effettuata presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali. Le procedure di convalida risultano poco chiare e gravose da un punto di vista burocratico.

Modifiche in tema di responsabilità solidale negli appalti

Sembra che sia riconosciuta alla contrattazione nazionale la possibilità di “certificare” i requisiti indispensabili per la genuinità dell’appalto e le modalità con cui verificare il possesso di tali requisiti. Non è chiaro quale sia l’effetto di una tale verifica, se cioè la stessa sia opponibile agli organi ispettivi o se, all’opposto, dia luogo ad una sorta di presunzione di genuinità, iuris tantum.

Valutazione di sintesi della riforma 33

Apprendimento permanente e certificazione delle competenze

La certificazione delle forme di apprendimento è meramente descrittiva ed accademica, con evidenti mancanze. – Molti dubbi emergono sulla fattibilità della creazione di una dorsale informativa unica sugli apprendimenti e di reti territoriali tra i servizi di istruzione, formazione e lavoro. Positivo il tentativo di creare un sistema, omogeneo a livello nazionale, di individuazione e validazione degli apprendimenti non formali ed informali, gestito dalle Regioni. Negativa l’ipotesi di far pagare ai cittadini ed ai lavoratori, e forse anche alle imprese, i costi dell’istituzione del sistema di individuazione e validazione delle competenze. Le qualificazioni e le competenze certificabili e spendibili nel mondo del lavoro dovrebbero essere quelle previste dal mondo reale e cioè dai sistemi di classificazione e inquadramento del personale, opportunamente modernizzati, e non inutili declaratorie definite a tavolino dall’attore pubblico che, oltre a essere lontane dalla realtà, diventano presto obsolete.

Delega al Governo in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché per la definizione la definizione di misure per la democrazia economica

Viene prevista una delega al Governo per intervenire entro 9 mesi dall’entrata in vigore della Riforma, tramite uno o più decreti, sulla partecipazione agli utili ed al capitale, per favorire il coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa. Perplessità si pongono nel caso in cui il datore di lavoro non sia iscritto ad una associazione di categoria. Vi sono interrogativi rispetto alle forme e modalità della partecipazione dei lavoratori e sulla costituzione degli organismi al di fuori delle grandi imprese e quindi nella maggior parte delle PMI presenti nel nostro Paese.

Copertura finanziaria della riforma

Emerge un rischio tangibile di sottostima dei costi della riforma, nonché l’impossibilità di comprendere con chiarezza il loro impatto sui cittadini. I tagli lineari affidati al Ministro dell’Economia e delle Finanze non sembrano affatto garantire una gestione finanziaria equilibrata, improntata alla equità sociale e ai servizi di welfare al cittadino, lavoratore e imprenditore. La riforma sarà finanziata riducendo non solo le spese improduttive, ma attingendo anche alle disponibilità economiche e finanziarie delle imprese. Drastiche appaiono le riduzioni delle spese di funzionamento di Inps e Inail (già colpiti nell’ultimo anno da tagli considerevoli), che imporranno un intervento di riassetto organizzativo con una conseguente diminuzione della presenza territoriale dei due istituti, con inevitabili conseguenze sui lavoratori che da essi ricevono assistenza e tutele.

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