Investimenti

La fine annunciata dei prodotti finanziari

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NEW YORK (WSI) – La rivoluzione tecnologica del Web 2.0 e il boom dell’uso di dispositivi portatili non sta risparmiando nemmeno l’industria della gestione del risparmio.

È in atto una ridefinizione della relazione con i clienti, degli investimenti e della distribuzione delle fortune. Basti pensare che Pepsi spende ormai in attività pubblicitarie su Facebook o YouTube la stessa cifra che esborsa nei media tradizionali.

L’investitore e il risparmiatore non si fidano più del risparmio gestito e dei fondi comuni tradizionali, come è emerso durante la tavola rotonda organizzata a Londra sul tema.

Massimo Tosato, vice presidente del CdA del gruppo Schroders, colosso dell’asset management con 354 miliardi di euro in gestione, fa notare che ormai i risparmiatori passano un quarto del loro tempo sui dispositivi portatili e sui social media.

Ben 2 miliardi di persone effettuano le loro transazioni sugli smartphone ed è probabile che i loro investimenti avvengano tramite l’utilizzo di nuove App, sistemi tecnologici all’avanguardia e programmi simili. La domanda da farsi allora è: l’investitore medio continuerà a pagare le società di gestione del risparmio e affidarsi ai fondi comuni di investimento?

“I risparmiatori non vogliono più sentire parlare di fondi di investimento e prodotti finanziari. Vogliono soluzioni ai loro problemi. Sono finiti i tempi in cui un cliente sceglieva un fondo a tema o su un determinato paese”, sostiene Peter Harrison, responsabile investimenti di Schroders.

La perdita di fiducia nei confronti dei fondi di investimento e degli istituti di intermediazione finanziaria in generale, è dovuta anche alla performance deludente degli stessi. L’investitore, secondo David Oakley, oponionsta del Financial Times, non è disposto a mettere i suoi soldi in un fondo se sa che un quinto di essi offre un reddito inferiore all’indice.

In un contesto del genere, la corsa verso i prodotti indicizzati come i fondi comuni ETF, a buon mercato e semplici, sembra dunque una scelta logica dettata dal buon senso. Il fenomeno in atto deriva anche dal fatto che le commissioni bancarie sono spesso opache nel mondo della finanza e delle Sgr.

Nella giungla di prodotti finanziari a disposizione, l’investitore si sente spesso spaesato. “Ha bisogno del consiglio di un professionista, ma non è pronto a pagare il costo elevato delle commissioni, come mostrano gli ultimi studi di mercato”, précisa Sheila Nicoll, responsabile degli aspetti politici della banca britannica.

È in questo quadro incerto e in continuo cambiamento che Credit Suisse ha ad esempio introdotto un sistema di tariffe che dà un prezzo fisso ai consigli forniti agli investitori. Una strategia audace che potrebbe però portare i suoi frutti.

Si tratta a tutti gli effetti di una nuova filosofia, non solo di un cambiamento nelle tariffe della gestione dei patrimoni. Con la sua offerta, la banca spera che la maggiore trasparenza, nella misura in cui il prezzo di ogni servizio verrà reso pubblico, si tradurrà in un’attività più sostenuta dei fondi di gestione.

Rimane ancora da dimostrare, tuttavia, se e quando i clienti risponderanno positivamente alla sua offerta.

Fonte: Le Temps

(DaC)