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La disfatta dei fondi: solo il 7% degli azionari Usa batte il benchmark

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La gestione attiva ha fallito su molti fronti. Specialmente nei mercati azionari, dove solo un’esigua minoranza di gestori si è dimostrata in grado di superare gli indici di riferimento. Secondo l’ultimo report pubblicato da S&P Dow Jones Indices, l’84,6% dei fondi azionari americani specializzati sulle blue chip ha sottoperformato l’S&P500 su un orizzonte di 10 anni, al netto delle commissioni. Spicca negativamente la performance ottenuta su una finestra di tre anni: meno di 7 fondi attivi su 100 hanno battuto il benchmark.

I risultati conseguiti in altre aree dell’investimento azionario, del resto, non sono molto più incoraggianti. Nella categoria dei fondi globali, ad esempio, solo un quinto ha reso più dell’indice di riferimento su orizzonti di tre, cinque e dieci anni. Anche il 75% dei prodotti europei ha fatto fiasco a tre e cinque anni, mentre le cose vanno un po’ meglio per quelli che investono sulle società globali a bassa capitalizzazione: nell’arco degli ultimi 60 mesi, il 62% dei gestori si è dimostrato in grado di catturare valore. La percentuale scende a un terzo, però se si raddoppia l’orizzonte di riferimento.

E nel reddito fisso? Qui la performance dei gestori varia in modo significativo in funzione del campo da gioco, cioè nei diversi segmenti del comparto obbligazionario e in base alla finestra temporale presa in esame. Un esempio eclatante riguarda i fondi specializzati sul debito emergente denominato in dollari. Se nell’ultimo anno, il 55% dei gestori ha guadagnato più dell’indice Barclays Emerging markets Usd aggregate, nel considerare il ritorno a cinque anni la percentuale dei money manager di successo precipita al 10%. Vale la pena sottolineare come la gestione attiva si riveli statisticamente meno gratificante a mano a mano che si allunga l’orizzonte di riferimento. Su 10 anni, nessun fondo obbligazionario high yield è riuscito a tenere testa al benchmark. È il 10% dei fondi governativi globali, il 27% dei fondi obbligazionari diversificati.

Non stupisce allora che una quota crescente dei flussi si stia progressivamente indirizzando a favore degli strumenti passivi, come gli exchange traded fund, che mirano esplicitamente a replicare la performance dell’indice sottostante, a fronte di costi nettamente inferiori: in ordine di grandezza, le commissioni di gestione applicate sugli etf sono un quarto di quelle che gravano mediamente sui fondi attivi. Senza contare eventuali spese di ingresso, uscita e performance, destinate a erodere un’ulteriore quota di guadagno (assenti, al contrario, negli exchange traded fund). Secondo Moody’s Investors Service, etf e fondi indice valgono già il 28,5% degli asset in gestione negli Usa e supereranno la metà delle masse nell’arco dei prossimi quattro/sette anni. A livello globale, la penetrazione dei prodotti passivi è inferiore, nell’ordine del 5-15%. Ma secondo Moody’s, l’adozione dei replicanti in Unione Europea e Asia seguirà una dinamica simile a quella in atto negli States.