Società

Italia: più crescita, meno austerity. Ma dove si troveranno i soldi?

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ROMA (WSI) – Enrico Letta, uno dei più giovani presidenti del Consiglio della storia repubblicana, ha presentato alla Camera un programma di governo molto ambizioso, che richiederebbe senz’altro una intera legislatura per essere attuato, ma sul quale ha sfidato il Parlamento: se entro 18 mesi le Camere non avranno imboccato la strada giusta per le riforme istituzionali e per la legge elettorale, l’esecutivo si dimetterà.

Perché, ha spiegato Letta, i cittadini non possono più essere presi in giro. Grande coraggio e spirito di servizio ha dimostrato il nuovo premier, che, come ha detto all’inizio del suo discorso, ha voluto «parlare il linguaggio della verità». Bene, seguendo questo filo assolutamente condivisibile, va detto che Letta così come sfida il Parlamento va sfidato sul suo programma.

Il premier ha promesso la crescita dell’economia senza rinunciare al rigore dei conti pubblici. Già oggi sarà a Berlino e poi a Bruxelles e quindi a Parigi, per convincere Angela Merkel e l’Europa – «il nostro comune futuro» – che «di solo risanamento si muore».

Poi, rientrato a Roma, dovrà passare ai fatti. È sterminato l’elenco dei provvedimenti messi in cantiere. Letta vuole ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese senza aumentare l’indebitamento.

Il presidente del Consiglio annuncia meno tasse sul lavoro stabile e sui giovani assunti; la riforma complessiva dell’Imu, sospendendo intanto il pagamento di giugno; l’annullamento del previsto rincaro dell’Iva dal 21 al 22%; più fondi a sostegno delle imprese e dei mutui; il rafforzamento dell’apprendistato; il sostegno ai bassi salari; ammortizzatori sociali per i precari; un piano pluriennale per la ricerca; la riforma della burocrazia all’insegna della semplicità; lotta all’evasione fiscale senza svalutare il ruolo di Equitalia; il rifinanziamento della cassa in deroga; la soluzione del problema esodati; una riforma «radicale» del Welfare; modifiche alla riforma della previdenza per consentire un accesso anticipato di 3-4 anni al pensionamento con una penalizzazione proporzionale.

A sorpresa annuncia anche la cancellazione dello stipendio da ministri per quelli che sono anche parlamentari e chiede l’eliminazione dei rimborsi elettorali.

Un programma il più lontano possibile da quello di un governo balneare o a termine. Un elenco di impegni colossali. Sostenuto, come ha confidato lo stesso Letta ai suoi collaboratori, da un po’ della sana incoscienza di una generazione, quella degli anni Sessanta, che ha la sua storica occasione nel momento più difficile del Dopoguerra.

Incoscienza guidata da una fede nell’Europa politica, orizzonte della generazione Erasmus e unico futuro possibile per la crescita del Paese. Sulla carta ci sarebbero i numeri per realizzare «il nostro sogno», come lo ha definito Letta. Il governo ha una maggioranza amplissima.

Ma il linguaggio della verità, il non voler prendere più in giro i cittadini, impone di chiedere: dove prenderà Letta i soldi per fare tutto quello che vuole?

Il premier non lo ha detto, ma ha garantito che non farà debiti, come «un buon padre di famiglia». A mettere tutto in fila, forse non bastano 30 miliardi. Per Letta quindi è indispensabile ottenere nuovi margini di manovra da Bruxelles: più tempo per rientrare col deficit sotto il 3%, come è stato concesso alla Spagna, o più probabilmente la golden rule per scomputare dal disavanzo gli investimenti e una maggiore considerazione del ciclo avverso ai fini del pareggio strutturale.

Ma l’allentamento del vincolo esterno, ammesso che ci sia, non basterà. Determinante è la scommessa sul ritorno della fiducia presso famiglie e imprese, come motore della crescita.

Ci sarà poi un processo di privatizzazioni e dismissioni da riprendere, sapendo però che il momento non è favorevole (dove stanno tutti questi compratori?), un Welfare da ridisegnare, preservandone l’universalismo ha detto il premier, ma riorientandolo su chi ha effettivamente bisogno. Significa combattere abusi e sprechi. La riforma dell’Isee per evitare che le prestazioni assistenziali vadano ai finti poveri è pronta. E su questa scia molte risorse potrebbero arrivare da una seria lotta all’evasione fiscale.

Letta ha promesso: non pagheranno più «i soliti noti». Vogliamo crederci. Ma la fiducia dei cittadini non può più essere tradita, ha scandito lo stesso premier. E quindi, ci permettiamo di fare una postilla al suo discorso: se non riuscirà a realizzare il suo programma, Letta lo capirà molto prima che passino 18 mesi. In quel caso tutto potrà fare, meno che galleggiare.

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