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Hong Kong: multinazionali anti democrazia

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HONG KONG (WSI) – Quattro colossi del capitalismo occidentale si stanno opponendo con tutte le forze alla spinta democratica che da mesi sta scuotendo Hong Kong, la città-stato territorio speciale che fa capo alla Cina. Lo hanno fatto in un modo alquanto inusuale, acquistando sulle pagine dei giornali locali un controverso annuncio firmato congiuntamente.

Le 4 Big della revisione contabile EY (Ernst & Young), KPMG, Deloitte e PwC (PricewaterhouseCoopers), si “oppongono” al movimento democratico nato per l’introduzione a HK del suffragio universale e di libere elezioni (il che ovviamente fa infuriare Pechino) avvisando che i loro clienti – ovvero le maggiori multinazionali globali – potrebbero lasciare la città se gli attivisti porteranno avanti la loro protesta creando problemi e disagi alle attività cittadine.

Gli interessi di business vengono prima dell’importanza della transizione di un paese che aspira alla democrazia? Honk Kong gode di una semi-libertà decisionale, politica e di mercato, rispetto alla terra madre Cina e vorrebbe prendersi per intero la propria autonomia.

Con una dichiarazione congiunta nelle tre lingue utilizzate a Hong Kong le 4 Big dicono che il movimento per la riforma elettorale nell’ex colonia britannica “pone una minaccia allo stato di diritto del territorio”.

[ARTICLEIMAGE] Gli attivisti del gruppo pro-democrazia hanno mobilitato nei giorni scorsi oltre 10.000 persone in strada, bloccando il traffico nel distretto economico centrale. L’iniziativa fa parte di una campagna tesa a premere sul governo, sebbene quando e come questa mobilitazione dovrebbe andare avanti con le prossime manifestazioni è ancora in discussione.

Nell’annuncio i 4 colossi avvertono che le proteste potrebbero far fermare le contrattazioni alla borsa di Hong Kong, bloccare le banche e tutto il quartiere finanziario compresi i servizi professionali (quelli di interesse delle società di revisione) causando “inestimabili danni all’economia”.

“Temiamo che le società multinazionali possano considerare l’abbandono delle loro sedi regionali di Hong Kong o addirittura decidere di lasciare la città – si legge nell’annuncio – questo potrebbe avere un impatto di lungo termine sullo status di Hong Kong come centro finanziario globale”.

Scritto anche in cinese tradizionale, l’annuncio chiaramente è indirizzato alla popolazione locale e chiede comunque “negoziazione e dialogo” per risolvere la situazione politica.

Hong Kong è in una fase politica cruciale e continuerà ad esserlo nel tentativo eventuale di implementazione del suffragio universale, una promessa contenuta nell’accordo tra Pechino e Gran Bretagna, nel passaggio alla Cina nel 1997. Le tensioni sono aumentate questo mese dopo che in un sondaggio non ufficiale si chiedeva ai residenti di Hong Kong se avessero gradito una riforma del sistema elettorale. I voti sono stati già più di 750 mila e questo ha provocato la furia di Pechino.