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*Ranieri Razzante, oltre ad essere docente di Legislazione Antiriciclaggio all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è presidente di AIRA, l’Associazione Italiana dei Responsabili Antiriciclaggio. AIRA è un’associazione indipendente, non politica e senza fini di lucro. Il suo compito è quello di diffondere la cultura della lotta al riciclaggio di denaro sporco. Maggiori informazioni su: www.airant.it. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Sembra dunque essere giunta al termine la secolare carriera degli assegni. A decretarne la definitiva, o quasi, uscita di scena è stato il “Payments Council”, autorità inglese che si occupa dello studio dei sistemi di pagamento. Da quanto traspare dalle pagine pubblicate dal sito di questa importante autorità, nell’arco dei prossimi otto anni gli assegni dovranno sgomberare il campo. Le motivazioni di una tale decisione sembrano doversi ritrovare principalmente nell’obsolescenza di questo sistema di pagamento, e quindi nella sua ormai superata praticità.

Si tratta di una decisione a ben vedere sofferta e ragionata, frutto di una serie di consultazioni durate per diversi mesi (18 in tutto) e che hanno condotto a una tale decisione. A quanto pare, gli assegni bancari non sono più il sistema di pagamento preferito dai sudditi della Regina: lo dimostrano i dati diffusi dal governo inglese che fotografano una situazione di perenne discesa.

Dal 1990, anno di maggior picco di utilizzo di assegni, quando furono staccati 11 milioni di pezzi, oggi le cifre sono crollate fino a raggiungere i “soli” 3,8 milioni di pezzi. Nel 2009, anno del trecentocinquantesimo compleanno dell’assegno, il 54 % degli adulti pari a 26 milioni di individui, hanno compilato degli assegni, mentre il 48 % ne ha ricevuto almeno uno. Sembra dunque che l’assegno debba estinguersi per cause naturali: nel biennio 2007 – 2008 alcune major hanno finito a interrompere l’uso di assegni: Tesco, Marks and Spencer, tanto per citare alcuni nomi, già non accettano più assegni alle loro casse, ripiegando sulla più pratica carta di credito ed insieme a loro molti altri esercizi di varie dimensioni. Sembra così delinearsi una naturale propensione all’estinzione da parte dell’assegno, non più in grado di soddisfare le più comuni esigenze di strumento di credito.

Ma anche qui qualcosa ci porta ad una riflessione ulteriore. Se infatti osserviamo meglio i numeri, constatiamo con facilità che le motivazioni sono come sempre in questi casi legati principalmente alla matematica. Le banche non considerano più conveniente l’utilizzo e la messa in circolazione degli assegni. Ciò è dato da una motivazione estremamente pratica: i costi delle transazioni. Se per i clienti gli assegni non hanno un costo, per le banche emittenti questi costano circa una sterlina per assegno, quasi quattro volte il costo di una transazione mediante carta di credito. Si tratta dunque di un interesse a convenienza quasi pilotata, nelle quali la fanno da padrone le ragioni delle banche. Se consideriamo poi che negli ultimi anni la legislazione inglese in tema di assegni ha conosciuto dei mutamenti, il quadro appare ancora più delineato. In passato le banche potevano trovare ragione di convenienza nell’uso dell’assegno dal fatto che una transazione poteva durare da pochi giorni a diverse settimane, prima di avere l’effettivo trasferimento di denaro da una ad altra parte. In questo modo era facile investire e guadagnare sugli interessi di un capitale immobilizzato che comunque garantiva accesso a fondi non utilizzabili (almeno per il momento) del cliente. Le nuove regole introdotte nel 2007 conducono ad una velocizzazione delle operazioni, non permettendo più alle banche di trattenere per troppo tempo il denaro oggetto di transazione. Di conseguenza, è facile intuire la sconvenienza che una situazione del genere possa arrecare agli istituti di credito, non più propensi a garantire l’uso di questo titolo di credito, incentivando in cambio l’uso elettronico della moneta.

Non tutti però hanno ben digerito la decisione e critiche a vari livelli sono state mosse da più parti. Solo per citare alcune voci del coro, la National Pensioners Convention ha accusato il governo di non aver previsto uno strumento alternativo da garantire a categorie come quella dei pensionati, difficilmente avvezzi all’uso della rete, affinché situazioni di incertezza e costi ulteriori possano gravare su tali categorie; l’organizzazione dei consumatori Which? ha posto l’accento sulla mancanza di alternative, considerando il pagamento elettronico ancora non all’altezza delle funzioni svolte dagli assegni. Anche la politica si è mossa in tal senso ed una mozione con una raccolta di centinaia di firme è stata consegnata al Parlamento affinché riveda la decisione.

Da parte sua, il Payment Council ha difeso quanto deciso affermando che in realtà questo è solo il primo passo di un graduale processo di dismissione che si completerà, qualora ve ne sarà la necessità, solo nel 2018, lasciando dunque ampio arco di tempo a queste categorie per adeguarsi ai successivi cambiamenti.

Risulta, infatti, dal rapporto pubblicato che già nel 2011 vi sarà una prima analisi del processo per stabilire il livello di progressione,e solo nel 2016 verrà presa la decisione definitiva al riguardo. In realtà quello dell’estinzione dell’assegno è un fenomeno già conosciuto nei confini della comunità europea. Già nel recente passato alcuni paesi, soprattutto del nord Europa (Olanda, Svezia, Islanda) hanno provveduto alla progressiva eliminazione dell’assegno e sostituzione con altri sistemi di pagamenti. A questo si aggiunga una motivazione ambientalista: sempre secondo le statistiche pubblicate dal Payment Council, ogni anno vengono abbattuti 45.000 alberi per produrre i famosi libretti degli assegni, creando pesanti ripercussioni ecologiche.

E’ lecito supporre che questo sia l’innesco di un meccanismo che a breve potrebbe essere esportato anche in altri Stati e perché no, esteso all’intera comunità. Se pensiamo che in Italia l’introduzione della recente della normativa antiriciclaggio, datata novembre 2007 e successivi emendamenti, ha profondamente modificato la disciplina degli assegni, apportando se vogliamo, degli aggravi all’uso dello stesso (basta citare l’obbligo di apposizione della clausola di non trasferibilità dell’assegno per importi superiori a determinate cifre, nello specifico 12.500 E), non è difficile immaginare che potrebbe essere un fenomeno di interesse per il nostro Paese. Se poi consideriamo l’elevato livello di trans nazionalità del mercato bancario e del commercio in generale, l’argomento si fa ancora più interessante.

Secondo quanto dichiarato dalla Banca d’Italia hanno pesato anche le nuove regole sulla circolazione dei titoli per il rafforzamento del contrasto antiriciclaggio. Sono solo 64 pro capite i pagamenti effettuati nel 2008 con strumenti diversi dal contante (lontanissimo dalla media di 161 per l’area euro): l’emissione di assegni è stata solo di 6,4 a persona, contro 17,7 bonifici, 15,1 addebiti automatici preautorizzati, 24,5 operazioni di pagamento. A questo punto però, sarà necessario davvero fornire degli strumenti alternativi all’uso del contante e a quello della moneta elettronica, certamente da un lato lo strumento di più immediata fruibilità, ma incapace di dare quelle dovute risposte che invece l’assegno nella sua secolare attività era in grado di fornire.

Un esempio su tutti è l’uso che ne fanno le piccole e medie imprese che utilizzano l’assegno come strumento di credito atipico attraverso la postdatazione. Togliere lo strumento dell’assegno può risultare gravoso per le tasche degli esercenti attività commerciali che dovranno in tal modo rinunciare a quelle boccate di ossigeno concesse dalla postdatazione.

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