
Anche se il dibattito politico ha sempre evocato questo dubbio, il fatto che la globalizzazione aggravasse le diseguaglianze sociali è stato un tema ripetutamente smentito dagli economisti in passato, perlomeno da quelli mainstream. In questi ultimi anni, però, le evidenze a favore dei vantaggi diffusi della globalizzazione hanno registrato voci scettiche anche dal mondo accademico ortodosso, per quanto il sostegno al processo in sé verso l’integrazione economica di solito non finisca in discussione.
Un blog americano hanno raccolto una serie di recenti articoli ed interventi a sostegno di una visione meno rosea degli effetti a lungo termine della globalizzazione. Ne riproponiamo alcuni.
“Anche se la globalizzazione ha assottigliato le diseguaglianze fra i Paesi, ha aggravato le disparità di reddito all’interno di essi”, scrivono la partner della McKinsey, Susan Lund, e l’ex presidente del Consiglio economico del presidente Usa, Laura Tyson (Project Syndacate 8/2/2017).
“Evidenze recenti per gli Stati Uniti suggeriscono che i costi per coloro che sono esposti alla competizione delle importazioni dalla Cina sono molto più alti di quanto pensato in precedenza”, (Banca mondiale 6/10/2016).
“Correzioni nei mercati del lavoro sono lente, con salari e tassi di partecipazione alla forza lavoro che restano depressi, e tassi di disoccupazione che rimangono elevati per almeno un intero decennio dopo che lo choc commerciale [dato dall’ingresso della] Cina comincia”, David H. Autor, David Dorn, Gordon H. Hanson sul National bureau of economic research, 1/2016, ripreso dal Financial Times.
Persino L’Economist, noto per le sue idee e linea editoriale liberiste, ha accennato ai fallimenti del modello della globalizzazione, che con Trump e la Brexit potrebbe essere ridimensionata. Interessanti, infine le considerazioni contenute in un articolo del Washington Post, datato 2015, nel quale si riferivano i timori delle stesse aziende, un tempo decise a cavalcare una strategia globale forte delle nuove opportunità:
“Eppure, nonostante tutta questa attività e l’entusiasmo, quasi nessuno dei ritorni promessi dalla globalizzazione si sono materializzati, e quello che è stato fino a poco tempo fa un argomento tabù all’interno delle multinazionali – ‘dovremmo riconsiderare, persino frenare, la nostra strategia globale di crescita?’ – è diventata una discussione urgente, seppure ancora soffocata. […] Poiché i costi del lavoro aumentano in luoghi come la Cina, la Thailandia, il Brasile e il Sudafrica, le aziende stanno trovando che la produzione di prodotti, ad esempio negli Stati Uniti, destinati ai mercati nordamericani è molto più economicamente efficiente. I guadagni sono ancora più significativi quando viene presa in considerazione la produttività dei paesi emergenti“.