Società

GIP: “Genio degli intoppi preliminari”

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Questa era la traduzione dell’acronimo GIP, da parte di un vecchio Procuratore della Repubblica con il quale ho lavorato per alcuni anni in terra di Calabria verso la fine degli Anni 80. L’ho pure raccomandato per entrare in Magistratura, era solito ripetere e adesso, a stento riesco a farmi ricevere, io che ho il doppio dei suoi anni.

Il Giudice delle indagini preliminari, introdotto nel nostro Codice di Procedura Penale nel 1989 in occasione della “Riforma Vassalli” ogni tanto si fa sentire, non tanto per la qualità delle sue sentenze ma per la “bizzarria e stravaganza”.

In netto contrasto con quanto detto qualche mesetto prima dalla Procura della Repubblica di Milano, oggi, il GIP dello stesso Tribunale ha detto una cosa opposta: “Non esiste il diritto a una morte dignitosa”, disponendo subito l’imputazione per Marco CAPPATO che ha accompagnato il Dj Fabiano ANTONIANI a morire decorosamente in territorio svizzero per mettere fine ad atroci sofferenze. Secondo la Procura, il processo non doveva neanche nascere perché il parlamentare radicale aveva aiutato il Dj FABO ad esercitare un proprio diritto.

Normalmente, anche e soprattutto in uno Stato di diritto, oltre all’Ordinamento giuridico e alla giurisprudenza che ne deriva, esiste anche la consuetudine ed il buon senso di una comunità, un diritto basato su regole non scritte: per il nostro “genio” non è così e quindi si è condannati a soffrire, a prescindere, non esistendo un “diritto ad una morte dignitosa”.

Malgrado il senso di umanità profondo contenuto nei nostri principi costituzionali o la pronuncia, in qualche caso, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nulla si può in assenza di un quadro normativo preciso.

Insomma il nostro CAPPATO, secondo il Giudice di Milano non ha compiuto un atto umanitario ma al contrario deve andare a giudizio per “Istigazione o aiuto al suicidio – Art.580 Codice penale: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni.”

Non è ammesso alcun aiuto e in questi casi, eventuali aspiranti al suicidio anche in condizioni di estremo disagio psicofisico, lo devono fare da soli, è troppo pericoloso anche solo pensare di aiutarli.

Neanche le esperienze drammatiche di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro possono aiutarci nella scelta, arrivando addirittura a dire che anche la “legge sul fine vita”, in discussione nelle Aule del Parlamento non sposterebbe in alcun modo questa lettura, lasciando inalterata la responsabilità per chi decidesse di aiutare qualcuno a cessar di soffrire.

Anche qui, emerge la responsabilità della Politica che scientemente non risponde ai propri doveri laddove, in modo pavido, non interviene nel timore di perdere consensi, lasciando il tutto nelle mani dei nostri infiniti “geni & genialità”.

Il diritto alla morte dignitosa non esiste!