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Gabriele Gravina si racconta. L’intervista al presidente Figc

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Gabriele Gravina, dalla promozione in B con il Castel di Sangro alla vittoria dell’Europeo con la Nazionale Italiana 25 anni dopo. Il presidente della FIGC si racconta

A cura di Leopoldo Gasbarro e Margherita Calabi

Lo sport è una delle espressioni culturali più visibili di un paese e uno sport sano come vuole Gabriele Gravina, presidente della FIGC, è un bellissimo biglietto da visita e la dimostrazione di quello che l’Italia sa e può fare. Lo sport è il porta bandiera di alcune scelte, che diventano poi le scelte di tutta la nazione e l’Italia ha sempre dimostrato di essere un paese che sa reagire alle difficoltà. In questa intervista, Gabriele Gravina festeggia insieme a Wall Street Italia la grande vittoria degli Azzurri agli Europei.

Gabriele Gravina allo stadio Dacia Arena di Udine 

La vittoria dell’Italia agli Europei. Cosa ha provato? Cosa può significare?
“È stato un momento di grande sublimazione, esaltazione, la coronazione di un grande lavoro di squadra, di un progetto straordinario. Negli anni, tanti amici hanno avuto modo di collaborare con me, con noi. È questa la squadra che completa quella che scende in campo e vince le partite. Si può fare. Non esistono ricette magiche. Esiste l’applicazione. Esiste l’alzarsi ogni giorno per fare al meglio il proprio lavoro. Il nostro è un modello che si può replicare. In un paese afflitto da tante tensioni e tante preoccupazioni, quando si parla di un colore, l’azzurro, siamo tutti uniti per raggiungere i migliori risultati”.

Lei ha sempre saputo scegliere gli uomini di cui circondarsi, dai calciatori ai suoi collaboratori. Venticinque anni fa insieme a lei sulla panchina del Castel di Sangro c’era un signore arrivato in un freddo mese di novembre da Catania…
“Osvaldo Jaconi è stato l’artefice di un percorso straordinario. Tanti aneddoti ci legano. Non lo voglio giudicare come tecnico, per lui parlano i risultati. È un uomo eccezionale, è stato davvero un padre per quei ragazzi. Jaconi ha sempre puntato moltissimo sui valori umani ed è su quei valori, che sono anche il collante della società e della cittadina in cui questa squadra è cresciuta, che sono stati costruiti tutti i successi che hanno contraddistinto quel periodo straordinario di 25 anni fa”.

Gli ultimi preparativi del campo allo stadio di Wembley 

Sono passati 25 anni…
“Walt Disney una volta disse che “Se lo puoi sognare allora lo puoi fare”. Io dico che la ricetta del successo la si può declinare in maniera differente: se ti impegni e fai, allora sarai sicuramente in grado di continuare a sognare limiti e progetti sempre più grandi. La differenza tra questi due approcci sembra sottilissima e invece rappresentano due visioni completamente differenti del mondo che viviamo, anzi che noi costruiamo. Non ho immaginato lo straordinario percorso sportivo, sociale ed economico che siamo stati capaci di realizzare, sarei troppo presuntuoso, mi arrogherei capacità, anche tecniche, che non ho. Ma facendo ogni giorno la mia parte con determinazione, costanza, applicazione, con la voglia di far bene, ecco che poi il sogno in qualche modo si materializza. Ma non ti fermi a quel sogno. Così, anche se ti sembra di aver toccato il cielo con un dito – e noi lo abbiamo fatto realmente -, non vedi l’ora di ripartire: è così che scopri che ci sono altri cieli e altre dita con cui toccarli”.

Non è stato solo calcio…
“Siamo stati antesignani in tutto. Castel di Sangro è stata una delle prime realtà a costruire uno stadio da 9.000 spettatori e ad avere il tutto esaurito in diverse occasioni. Attorno a questo stadio, grazie anche alle amministrazioni locali che si sono succedute in questi 25 anni, sono stati costruiti altri impianti all’avanguardia che hanno trasformato pian piano Castel di Sangro in una sorta di ‘epicentro sportivo’ a cui guardano in tanti, alcuni con ammirazione, altri con la voglia di emulare, altri ancora con invidia. Ma è facendo ed edificando pietra dopo pietra che si costruisce la cattedrale, sia nello sport che nella vita”.

Come ha vissuto il lockdown, quel periodo buio che sembrava avesse cancellato anche il calcio?
“Mentre tutti festeggiavano la Pasqua ero alle prese con migliaia di telefonate per difendere il nostro mondo. Volevo fare in modo che tutto potesse ripartire al più presto. È stato un momento difficile. Devo ringraziare i miei stretti collaboratori che mi hanno supportato e dato forza. Devo ringraziare alcuni presidenti di società che capivano di cosa stavamo parlando.
È stato un momento di grande determinazione e di rispetto. Rispetto perché dovevamo conciliare la difesa della salute degli italiani, degli stessi giocatori e di tutti gli staff e addetti, ma al tempo stesso eravamo determinati a portare avanti le nostre idee. Se non fossimo ripartiti in fretta il calcio rischiava di implodere su se stesso”.

Da sinistra, l’allenatore Roberto Mancini, il presidente della FIGC Gabriele Gravina e il capitano della Nazionale Giorgio Chiellini con il trofeo Henri Delaunay dopo la vittoria di Euro 2020

È partito da Castel di Sangro, un piccolo centro che ora sembra essere diventato l’ombelico del mondo, ma che prima dell’epopea della sua squadra in pochissimi conoscevano. Come ci si sente quando si arriva a determinati risultati?
“Chi mi conosce sa che tengo sempre un profilo basso, ho sempre votato la mia vita al sacrificio e al lavoro. Non mi sono mai montato la testa, non ho mai avuto ambizioni smodate. La mia unica forma di soddisfazione è sempre stata quella di centrare gli obiettivi che mi sono posto. Questo è il mio modo di agire: sogno, custodisco i miei sogni e non permetto a nessuno di infrangerli. Il sogno per cui abbiamo lavorato in questi anni ci ha portato a essere campioni d’Europa”.

Gabriele Gravina, è ancora facile sognare oggi?
“Assolutamente sì, il sogno è una prerogativa importante di noi uomini, sicuramente è una linfa per la vita. Sognare è un must. Giocate e divertitevi: lo abbiamo detto tante volte ai nostri ragazzi durante i ritiri e per questo abbiamo cercato di eliminare ogni tensione all’interno dello spogliatoio. Negli ultimi tempi abbiamo anche esagerato un po’ con la musica durante gli allenamenti. I ragazzi, però, si sono divertiti. Tutto questo dimostra che quel sogno si poteva realizzare. Lo abbiamo fatto davvero tutti insieme”.

Ha voluto nello staff della Nazionale Gianluca Vialli. Sappiamo tutti la storia di questo straordinario atleta, senza doverla raccontare. Gli abbracci tra lui e Roberto Mancini sono stati uno dei simboli più belli della vittoria dell’Italia. Quanto è stato importante il fatto che lui fosse lì con voi?
“Ho inseguito Gianluca per tanto tempo, sapevo che stava combattendo una battaglia importante. Mi è sembrato giusto regalargli un motivo di vita in più e circondarlo dell’affetto dei ragazzi. Sapevo che poteva dare moltissimo alla nostra Nazionale. Aveva qualche timore, così l’ho invitato a Roma per presentarlo al gruppo. Oggi è uno dei nostri punti di riferimento e una testimonianza reale di quelli che sono i valori non solo dello sport, ma anche della vita”.

Che effetto le fa essere stato rieletto in un momento tanto complicato ed essere diventato il portabandiera del calcio italiano?
“Questa è stata una grande dimostrazione di stima dal mondo del calcio, una riconferma importante, un premio al grande lavoro e alla determinazione che abbiamo avuto nel fare ripartire il campionato. Questa determinazione è stata apprezzata anche a livello internazionale: entrare nel comitato esecutivo dell’UEFA con 53 voti su 55 nazioni [un record nella storia UEFA, n.d.r.] è stato un importante riconoscimento non solo alla mia persona, ma anche al calcio italiano”.

I giocatori e lo staff dell’Italia posano per una foto di squadra a Coverciano

Ci sono calciatori che lei ha guidato, sia nel Castel di Sangro che nella Nazionale, nati in ruoli che poi non hanno ricoperto: attaccanti che facevano i difensori, difensori che facevano gli attaccanti e vincevano i campionati…
“L’anno in cui il Lanciano è fallito [stagione 1991-1992, n.d.r.] aveva la coppia di attaccanti più forti in serie C: Pietro Fusco e Tonino Martino. Il nostro allenatore di allora, Osvaldo Jaconi, chiese questi due attaccanti per il Castel di Sangro. Dopo un po’ ci ritrovammo Fusco terzino destro e Martino terzino sinistro. A un anno di distanza, durante la partita di Serie A Empoli-Inter, è stato incredibile vedere Fusco che marcava Ronaldo. I ruoli? Ognuno deve trovare il suo, nella vita come nel calcio, ma se c’è qualcuno che ci aiuta dall’esterno tutto diventa più semplice. Gli uomini giusti ai posti giusti. È questa la ricetta per vincere”.

Stiamo vivendo un momento di grossa impasse dal punto di vista politico, sanitario e culturale. Avendo visitato tanti luoghi diversi, soprattutto per i campionati d’Europa, qual è la sua percezione?
“Sono ottimista per natura, dobbiamo sicuramente accelerare la campagna dei vaccini, per noi è fondamentale uscire quanto prima in sicurezza da questa pandemia. Vedo ottimismo in giro, la gente ha voglia di tornare alla normalità, ci è mancata per troppo tempo. Ce la faremo, come abbiamo sempre fatto. Vinceremo ancora una volta”.

Il prossimo obiettivo saranno i Mondiali. Dopo di che, come si dice nel calcio, potrà appendere le scarpette al chiodo ma, conoscendola, è più probabile che si inventerà un campionato interstellare…
“Continuerò a correre come faccio tutti i giorni, non riesco a fermarmi. Ho l’esigenza di mettermi in discussione, di impegnarmi sempre di più. Voglio continuare a realizzare tutto quello che è possibile sapendo che nella nostra vita siamo e rappresentiamo tutto quello che abbiamo fatto, costruito, amato e donato”.

Gabriele Gravina, se le dico eroe cosa le viene in mente?
“Etimologicamente eroe vuole dire uomo forte, di valore. A questo aggiungerei anche la parola paziente. Gli eroi dei nostri tempi non devono essere forti a tutti i costi, oggi ci vuole pazienza, bisogna fare un passo dopo l’altro, centrando l’obiettivo, sapendo che il tempo lavora a nostro favore. Lo dobbiamo fare con coerenza, ma soprattutto con rispetto. Qualcuno mi considera un eroe? Non lo sono: sono una persona che ama lavorare. Sono come i frati che vanno a zappare nell’orto, sono sempre lì con loro. Devo tutto questo a due ragazzi straordinari, i miei figli. Sarebbe stato impensabile vivere con dedizione la mia esperienza nazionale e internazionale senza di loro [accanto a Gabriele Gravina ci sono i due figli Francesco, consigliere e direttore tecnico, e Leonardo, consigliere e responsabile commerciale, che hanno consentito al gruppo di diversificare ulteriormente l’attività aziendale. Il Gruppo Gravina fonda le sue radici nella terra d’Abruzzo operando in diversi settori: edilizia civile e industriale, restauro e ristrutturazioni, demolizioni, impianti, opere infrastrutturali, energia e ambiente, n.d.r.]. Stanno dimostrando di essere più bravi del papà”.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di settembre del magazine Wall Street Italia