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E’ NATA LA DIFESA EUROPEA

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Tuonò tuonò e alla fine cominciò a cadere una pioggerella leggera.
Dopo
almeno cinque anni di chiacchiere, voti, auspici e quant’altro,
finalmente
mercoledì 1° marzo 2000 ha visto la luce il braccio armato dell’Unione
Europea, cioè la struttura militare. Uno dei pilastri sui quali poggia
qualunque Stato dacché esistono gli Stati.

Riuniti a Sintra (Portogallo) i quindici ministri della Difesa europei
hanno deciso che entro la fine dell’anno dovrà essere pronta e
operativa la
”Forza di reazione rapida” dell’UE: 50-60 mila uomini capaci di
proiettarsi, con un preallarme di sessanta giorni, in qualunque angolo
di
mondo.

Detto così, viene subito alle labbra una obiezione: che struttura
difensiva è quella che si attrezza per operazioni fuori dai confini
dell’Unione? Sembra piuttosto una organizzazione offensiva! Senonché
negli
ultimi anni, lontano dall’attenzione dell’opinione pubblica e coltivato
nella ristretta cerchia degli specialisti, il concetto di difesa è
radicalmente cambiato.

Oggi si parla quasi esclusivamente di
”operazioni
per il mantenimento della pace” per le quali necessitano truppe armate
alla leggera, addestrate a fronteggiare più la guerriglia che la guerra
ma
sopratutto in grado di arrivare rapidamente a mò di pompieri sui
luoghi
dove si manifesta un focolaio capace di incendiare una intera area del
mondo.

Alla luce di quanto si è visto negli ultimi dieci anni non si
può
negare che questa sia la strada giusta, se l’Unione vuole essere
presente
con un proprio strumento militare nelle aree di crisi e non lasciare il
monopolio degli interventi di salvaguardia al grande fratello
americano.

Studi e proiezioni, per giunta, dicono che nei primi decenni del
prossimo secolo il Terzo mondo esploderà mentre per converso l’Europa
considera definitivamente tramontata la minaccia di un attacco
dall’Est,
cioè dalla Russia.

Le decisioni prese a Sintra hanno ribaltato d’un sol colpo un quadro
che
sembrava stabilizzato in questi termini: l’Europa politica cresce,
l’Europa
militare non ha ragione di esistere. Perché c’è la Nato, con una
esperienza
di mezzo secolo, Stati maggiori e procedure affiatate, nella quale
tutti i
Paesi dell’Unione sono presenti e hanno voce in capitolo.

Sostenitori
di
questa tesi in seno all’Unione sono sempre stati gli inglesi,
fieramente
contrastati dai francesi per i quali quello Stato tutto nuovo chiamato
Europa, senza uno strumento militare adeguato rimane uno Stato a metà.

E
infatti sono stati proprio i francesi i primi a designare il loro Stato
maggiore a Bruxelles con un generale di divisione e cinque ufficiali
superiori. Insieme con gli ufficiali inviati dagli altri membri
dell’Unione
formeranno lo Stato maggiore delle Forze armate europee.

Il capo
militare è
da designare, quello politico esiste già ed è lo spagnolo Xavier
Solana,
ex Segretario generale della Nato e oggi responsabile della ‘Politica
estera e di sicurezza comune’ (Pesc), in pratica il ministro della
Difesa
dell’Unione.

E’ stato proprio Solana a indicare le tappe da percorrere a passo di
carica nei prossimi dieci mesi. Primo: ogni membro dell’Unione dovrà
mettere a disposizione dello Stato maggiore generale le unità che
questi
richiederà; in caso di impiego non saranno più sotto comando nazionale,
come avvenuto fin’ora nelle operazioni multinazionali, ma dipenderanno
direttamente dal comando militare dell’Unione.

Secondo, e ben più
importante, il bilancio militare. Dalla caduta del muro di Berlino in
poi,
tutti i Paesi europei hanno ridotto (in qualche caso drasticamente) i
fondi
per le forze armate fino ad attestarsi su una media dello 0,3-0,4 per
cento
del Prodotto interno lordo (nei momenti più freddi della guerra fredda
la
Nato chiedeva almeno il 2 per cento).
Solana ha già detto chiaramente
che
bisogna arrivare almeno allo 0,7 per cento.

C’è una ragione per una richiesta che al momento sembra esorbitante.
L’armamento europeo è quanto di più eterogeneo si può immaginare,
avendo
ogni membro dell’Unione il suo arsenale. Cosa capace di mandare al
manicomio qualunque esperto di logistica. Se in termini di truppe
veloci e
armate alla leggere l’Europa è piuttosto agguerrita, manca però
(esclusa
l’Inghilterra) di navi capaci di trasportare a grande distanza forze
consistenti.

E quanto ad aerei neppure a parlarne. Esisteva un progetto
comunitario per un grande aereo da trasporto truppe e materiali intorno
al
quale i tecnici (e i ragionieri) hanno lavorato anni senza concludere
niente per mancanza di una reale volontà politica. Ma senza un aereo di
quel genere non si va da nessuna parte.

Ma all’Europa manca sopratutto uno degli strumenti essenziali alle
operazioni militari moderne: il satellite da osservazione. Per la
verità
uno ne esiste e trasmette alla stazione di Torrejon, in Spagna, ma è un
pezzo da museo, funziona solo di giorno e col bel tempo. Serve a poco.

Uniformare nei limiti del possibile l’armamento, progettare e
costruire
quello che manca e che serve, richiederà un impegno finanziario
imponente
che non è stato ancora quantificato. Ma è sicuro che a partire dal
prossimo
anno, quando si tratterà di impostare il Bilancio dell’Unione, i
passaggi
caldi non saranno più, come è stato da sempre, quelli in cui si
discutono
le quote del latte e il sostegno ai produttori di olive.