Economia

Cina: maxi cartolarizzazione dei crediti deteriorati. E in Italia?

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Non è solo l’Italia ad avere grossi problemi di smaltimento di crediti deteriorati: fatte le debite proporzioni, anche il sistema bancario della Cina sta prendendo le misure per fronteggiare un debito complessivo pari al 230% del Pil. Il processo di dismissione dei non-performing loans è analogo a quello che verrà messo in campo da noi: la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza sotto forma di Asset-backed securities, da vendere, possibilmente, agli investitori internazionali. Le stime ufficiali parlano di 1,27 milioni di miliardi di yuan di di crediti problematici (pari a 194 miliardi di dollari), ma gli analisti stimano che le cifre reali siano molto più elevate. Secondo i media cinesi, l’autorità ha accordato il collocamento della prima tranche da 50 miliardi yuan di prodotti aventi non-performing loans cinesi come sottostante.
Gli investitori stranieri saranno attratti da simili prodotti finanziari? Probabilmente no, visto che nessuna agenzia di rating tradizionale avrà voce in capitolo per verificarne la qualità. Sprovvisti di riferimenti di tipo internazionale è assai difficile che il rischio legato ai crediti deteriorati possa abbandonare la Cina come le autorità statali auspicherebbero.
Secondo Sabita Prakash, head of investor relations presso la società di gestione risparmio Adn Capital, che muove asset per 1,2 miliardi di dollari, “essere in grado di confrontare i rating domestici con gli standard internazionali sarebbe il minimo atteso dagli investitori internazionali prima di manifestare interesse” verso questi Abs.
In queste condizioni il risultato più probabile è che i crediti, così impacchettati, saranno destinati a rimanere in pancia al sistema finanziario cinese, rimescolato fra diverse banche e assicurazioni; esattamente come già avviene per le Asset-backed securities basate sui crediti ordinari. “Qualsiasi cartolarizzazione venga fatta su crediti deteriorati e non”, afferma al Ft Patricia Cheng, analista bancaria presso Clsa a Hong Kong, “finirà con l’essere comprata dalle banche stesse”.
Fonte: Financial Times