ROMA (WSI) – Gli attentati di Bruxelles sono la dimostrazione del fallimento delle operazioni dell’intelligence europea. Inoltre, militarizzare aeroporti e altri centri ad alto rischio attentati come è stato proposto da alcuni funzionari, non serve a nulla. Sono i due concetti principali espressi dagli analisti dell’ISPI e da un ex ricercatore dello stesso istituto, l’esperto di geopolitica del Sole 24 Ore Alberto Negri.
“Lo “sciame” di attentati terroristici a Bruxelles è la dimostrazione del fallimento dell’intelligence del Belgio ma anche di quella dell’Europa, colpita e affondata nella capitale dell’Unione e sede della Nato”, si legge nell’incipit dell’articolo pubblicato da Negri sul quotidiano finanziario. “Dopo tanti vertici in cui è discusso di collaborazione tra i servizi europei la realtà tragicamente dimostra che neppure belgi e francesi riescono a cooperare tra di loro”.
Gli apparati di sicurezza brancolano nel buio. Le autorità sono state – ed è destinato a succedere ancora – colte impreparate più volte, non riescono a interpretare “cosa ci sia intorno, cosa si muova davvero tra Raqqa e Mosul, dentro al Medio Oriente e verso l’Europa”. Tutto ciò rimane avvolto nel mistero. Non c’è niente di più falso, pertanto, di “dare l’impressione confortante che la tecnologia occidentale è di una spietata precisione”.
“Adesso si comincerà a dire che l’Europa è in guerra. Ma le potenze europee sono già in guerra da anni, basti pensare a Afghanistan, Iraq, Libia: anzi proprio ora servirà una seria riflessione su questi conflitti e domandarsi se la famosa “guerra al terrorismo” lanciata dagli americani dopo l’attacco di Al Qaeda l’11 settembre 2001, ci abbia resi più o meno sicuri. La risposta è evidentemente negativa. Prima c’era Al Qaeda, poi è si è formato l’Isis, forse tra un po’ di tempo avremo altre organizzazioni”.
Militarizzare le città e blindare la società, non è la risposta, secondo l’esperto di questioni internazionali dell’ISPI Arturo Varvelli, che al Fatto Quotidiano dice di ritenere che “l’arma della cultura e dell’inclusione” sia ancora “il più efficace antidoto al radicalismo”. “E’ una scommessa che riguarda tutta l’Europa, particolarmente l’Italia”.
Una delle soluzioni per indebolire l’ISIS, secondo molti politologi, sarebbe quella ovvia di rivedere l’alleanza con l’Arabia Saudita, che sostiene, anche finanziariamente, il Califfato, con l’obiettivo di tenere i movimenti radicali e i guai lontani dai propri confini. Ma per farlo l’Occidente deve essere pronto a fare delle rinunce, economiche prima ancora che diplomatiche.
La via da seguire, in questo gli analisti sono unanimi, non è quella della guerra al terrorismo in Medioriente. Se si interviene in Siria, come si è fatto per esempio in Afghanistan dopo l’11 Settembre, poi si finirà per dover intervenire ovunque, in Nigeria, Iraq, Yemen, etc.. Un’alternativa è quella di promuovere stati pluralisti senza esportare la democrazia con le baionette.
“Se guardiamo le mappe degli stati falliti e in via di fallimento e quelli che non controllano il loro territorio e la mappa delle insorgenze terroristiche si sovrappongono completamente“, sottolinea Varvelli. Nelle ricostruzioni post-belliche “più ci sono parti escluse e più avremo possibilità di avere formazioni terroristiche. Il terrorismo di Isis, per dire, si alimenta dell’esclusione dei sunniti nel Medio Oriente, sostanzialmente Isis si è fatto paladino dell’islam sunnita”.
Il regno saudita, che insieme al governo turco ha contribuito all’espansione dell’ISIS in Siria, secondo Negri ha finito per fomentare “la diffusione nel mondo musulmano di un messaggio arretrato, retrogrado, persecutore”.
“La monarchia saudita, così come le altre attorno, è familiare, priva di qualunque democrazia, e appoggia i movimenti radicali per tenerli, per l’appunto, fuori da casa propria. Sciogliere questo nodo così intricato è estremamente difficile, alla luce di tutti gli interessi economici e finanziari che ci sono con l’occidente. Per poterlo sciogliere bisognerà rinunciare a qualcosa, anche dal punto di vista economico”.
Fonti: Il Fatto Quotidiano, Il Sole 24 Ore