Borse da record: prima regola, non shortare mai

Non speculare mai al ribasso quando i listini azionari hanno appena raggiunto un nuovo massimo storico e non comprare quando le Borse hanno toccato il fondo: dovrebbe essere la regola d’oro di ogni investitore.

A ricordarlo è Nicholas Colas, confondatore di DataTrek Research, citando il confronto avuto sul tema con Stevie Cohen presso SAC Capital. La logica dietro a un simile comportamento è la seguente: “c’è sempre qualcuno là fuori che ne sa più di te su un dato titolo o sul mercato in generale”.

Se quel “qualcuno” decide di accumulare posizioni in un titolo vincente e continuare a comprare, l’ultima cosa che bisognerebbe fare è andare contro. Ci vuole molta convinzione per continuare ad acquistare dopo un record assoluto e quindi sembrerebbe una scelta sbagliata andare controcorrente in tale contesto. Certo, quel “qualcuno” potrebbe sbagliarsi (come nel caso dei massimi toccati da Facebook prima della pubblicazione della trimestrale deludente), ma di solito non è così.

Una gestione del rischio prudente insegna che è meglio aspettare che il titolo o l’indice non inanelli più record su record prima di vendere o ancora peggio shortare quell’asset. Lo stesso vale anche per i casi di minimi record.

Un altro aspetto da prendere in considerazione, scrive Colas, riguarda il fatto che in questi casi è sempre bene fare un’esamina approfondita di fondamentali e tutto quanto sia utile in ottica investimenti. Quando le Borse realizzano nuovi record assoluti, infatti, è d’obbligo fare un ‘reality check.

Questo non significa che gli analisti di DataTrek Research siano ribassisti, anzi, consigliano persino di andare lunghi sulle azioni a maggiore capitalizzazione quotate in Usa. Ma vale la pena analizzare lo stato attuale delle cose:

1) i prezzi delle Borse appaiono ancora ragionevoli, specie in Usa, se si considera che i tassi di interesse a lungo termine dovrebbero attestarsi al 3%. Secondo gli ultimi dati di FactSet, il rapporto P/E dell’S&P 500 è di 16,6 volte mentre quello delle azioni a grande capitalizzazione è di 16,3. Con i tassi dei Treasuries Usa al 3% sono livelli accettabili.

2) I tecnologici sono ancora in testa alla lista dei desideri degli investitori, con l’health care che segue a ruota tra i settori che più hanno contribuito ai rialzi sin qui nel 2018. Le Large Cap dell’universo tech sono in progresso del 17,2% da inizio anno il che si traduce in un 54% del guadagno messo a segno dall’S&P 500 (+8,4%) quest’anno.

Le blue chip del mondo health care sono in rialzo dell’11,5%, pari a un 19% del ritorno da investimento garantito dal paniere allargato. In breve se ai guadagni dei tecnologici si sommano quelli del comparto di assistenza sanitaria e di Amazon (che tecnicamente è ritenuto un gruppo di beni al consumi discrezionali) si ottengono il 93% dei rialzi dell’S&P 500.

3) Se si guarda alla media a 12 mesi delle stime sugli utili, si nota una dispersione generalizzata di valutazioni per settore; solo due gruppi sono più convenienti dell’S&P 500 in termini di rapporto P/E (16,6 volte per l’indice allargato. Si tratta dei finanziari (12,7) e dei servizi tlc (10,2).

4) Lo scenario più positivo per l’indice S&P 500 sarebbe quello di un ulteriore progresso dell’8,7% da qui alla fine dell’anno. Si tratta dell’obiettivo di prezzo medio fissato dagli analisti di Wall Street. Siccome sono da considerare un gruppo di strategist solitamente ottimista, il caso sopra descritto viene descritto come la migliore conclusione d’anno possibile per Wall Street.

Con la nuova rottura al rialzo contemporanea di S&P 500, Nasdaq e Russell 2000, il mercato azionario Usa è essenzialmente “inshortabile”. Se a questo si aggiunge il fatto che i volumi saranno sottili prima della pausa del Labor Day, che in Usa non cade a maggio bensì a settembre, “è facile che assisteremo a una nuova serie di massimi nelle prossime sedute”.