
NEW YORK (WSI) – In Argentina chi mette in discussione i dati ufficiali sull’inflazione, che sono valsi al paese minacce di censura da parte del Fondo Monetario Internazionale, rischia il carcere.
La gente che dovesse pubblicare cifre indipendenti sui prezzi al consumo verrà indagata penalmente. La novità arriva in concomitanza con l’avvio dei lavori al Congresso di Buenos Aires sul budget fiscale.
Problema: all’assamblea il dibattito sarà fondato sulle premesse che l’economia andrà bene l’anno prossimo. Le previsioni sono per una crescita annuale del 6,2%, un’inflazione del 10,4% e un peso in calo di appena il 10% sul dollaro.
Gli economisti indipendenti ritengono che i numeri siano esageratamente ottimisti e che l’inflazione è in realtà almeno due volte più alta di quella riportata dal governo della Presidenta Cristina Kirchner.
A rischiare le manette sono quattro società di consulenza economica che hanno osato contraddire i numeri ufficiali. Tra questi l’analista Orlando Ferreres, che ha stimato un’inflazione in crescita al 23,8% l’anno.
Anche gli economisti dei gruppi M&S, Buenos Aires City e Finsoport SA rischiano di essere indagati. Se incriminati e condannati per “speculazione” rischiano due anni dietro le sbarre.
DATI FALSIFICATI ED ECONOMIA IN GINOCCHIO
La storia di successo del Paese, ripresosi dopo la grave crisi del debito dell’inizio degli Anni 2000, sta svanendo. Il Paese deve fare i conti con una fuga di capitali e – accusato di falsificare i dati macro su inflazione e bilancio – rischia di subire la censura dal Fmi.
Non ci sono molti elementi che stimolano l’interesse degli investitori stranieri: il debito cresce, i prezzi al consumo salgono esponenzialmente e l’economia e’ in fil di vita.
Come recita il romanzo piu’ conosciuto di Mario Vargas Llosa, “Conversación en La Catedral”, e’ difficile determinare il momento preciso in cui le cose hanno incominciato ad andare male.
Un punto di svolta potrebbe essere stato il licenziamento dei dipendenti pubblici dall’Istat argentino (Indec) a inizio 2007. E’ da quel momento che Buenos Aires e’ accusato di manipolare i dati sull’indice dei prezzi al consumo, per evitare di gettare nel panico economisti e popolazione.
Dal nascondere il pericolo di una iper inflazione (il dato ufficiale e’ sotto il 10% l’anno, ma quella reale si aggira intorno al 20-25%) il Dipartimento di Statistica e’ passato a falsificare i dati del Pil.
A prescindere dalla data in cui tutto e’ iniziato, la questione rimane. La propaganda ha preso il posto del realismo e la storia di successo rischia di trasformarsi in un nuovo caos economico.
Ad alimentare la corsa dei prezzi sono state le politiche espansive monetarie, fiscali e sul versante dei salari. Invece di moderare il ritmo della domanda aggregata, il governo ha fatto affidamento sempre di piu’ sui tassi di cambio, usandoli come àncora per tenere sotto controllo i prezzi.
La strategia, particolarmente intensa nel 2010 e 2011, si e’ rivelata controproducente. In quei due anni i prezzi interni sono saliti del 54%, mentre il tasso di cambio nominale solo del 12%. Come risultato il tasso di cambio reale e’ salito di prezzo in maniera significativa, compromettendo la congiuntura economica.
In un contesto del genere, l’occupazione nel settore privato, gli stipendi, il Pil e gli investimenti hanno subito un calo notevole. A fine 2011 l’economia e’ rimasta intrappolata in una fase di stagnazione e ancora non ne e’ uscita.
Gran parte degli analisti ritengono che l’Argentina abbia ormai sprecato un’opportunita’ unica per cavalcare la crescita a tassi sostenuti registrata nei primi anni successivi alla crisi del debito che ha portato al default delle finanze statali.
Come il mago di uno dei racconti di “Finzioni”, dello scrittore argentino Jorge Luis Borges, che plasma un figlio nella materia dei sogni, per poi scoprire di essere lui a sua volta un sogno, l’Argentina, dopo aver manipolato i dati economici e illuso il suo popolo, rischia presto di doversi svegliare e fare i conti con la realta’.
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