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Alieni: svelato mistero dei cerchi nel grano a Robella

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ROMA (WSI) – Da quando sono apparsi quei cerchi di grano tracciati alla perfezione nella notte del 29 giugno, nel piccolo Comune astigiano di Robella (cinquecento abitanti), si sono riversati oltre seimila turisti, arrivati un po’ da tutta Italia (e qualcuno anche da Francia e Inghilterra): tutti volevano toccare con mano la presenza degli alieni e, magari, valutarne anche lo strano estro creativo.

Il cerchio, disteso su una grande collina, è grande 130 metri. Adagiato nel grano reso biondo dal sole, assomiglia a un animale stanco più che a un simbolo dell’equilibrio cosmico. Ma la processione di curiosi e «fedeli» ha sfidato, in religioso silenzio, il caldo torrido d’inizio luglio, snodandosi tra quei solchi armonici disegnati da una mano che, finora, era rimasta ignota. Un rituale, questo, che si ripete ogni volta che un campo si trasforma «misteriosamente» in opera d’arte. È successo anche in occasione di uno degli ultimi «episodi famosi», a Poirino, nel 2011.

Ora l’autore è uscito allo scoperto, ridando ai cerchi la veste poco extra e molto terrestre che in pochi volevano fargli indossare. Lui è Francesco Grassi, nato a Taranto 47 anni fa, ingegnere elettronico laureato all’Università di Pavia e direttore tecnico di un’azienda informatica di Milano che si occupa di sviluppo di progetti software e gestione dati. Grassi non si può esattamente definire un allievo di Margherita Hack, dato che fin da ragazzo si è interessato ai fenomeni paranormali, ma nonostante questa simpatia per l’ignoto sui «circle crops» non ha dubbi.

«Tutti i cerchi di grano sono realizzati da esseri umani – spiega -: gli alieni non c’entrano». E, se qualcuno volesse combattere l’insonnia dedicandosi a questo originale passatempo notturno, l’ingegnere svela gli strumenti e le tecniche. «Servono – dice – metri a nastro di qualità, come le cosiddette “rotelle metriche”, perché consentono di essere riavvolte facilmente dopo l’uso. La lunghezza massima dev’essere considerata in base alle misure della formazione e si disegna prima su carta. Per creare un cerchio di 20 metri di raggio, una rotella di 10 non sarà quindi sufficiente».

Altro «step». Individuare i sistemi di marcatura dei punti chiave sul terreno. «Tutte le formazioni, anche quelle meno complesse, devono avere punti che siano facilmente individuabili di notte». Vanno bene dei paletti molto fini con una bandierina sulla sommità e un numero scritto a caratteri grandi, in nero su sfondo bianco. Quando i paletti (si deve sempre trovare un compromesso tra solidità e dimensione del diametro) verranno rimossi, si dovrà stare bene attenti a non lasciare traccia dei piccoli fori creati nel terreno.

Poi, si prendono le tavole di legno già preparate in precedenza: devono avere una corda fissata ai due bordi in modo da poterle tenere sotto il piede, man mano che si procede con la fase di appiattimento del grano. «Quanto più lunga è la tavola tanto più ampia sarà la fascia di vegetazione che si può appiattire, permettendo così di stringere i tempi – sottolinea l’ingegnere -. Bisogna trovare – aggiunge – il giusto compromesso tra trasportabilità ed efficacia dello strumento. In genere si possono utilizzare tavole lunghe intorno al metro».

Ma anche la larghezza è importante. Se sono troppo larghe, risultano ingombranti. Se non lo sono abbastanza, rischiano di danneggiare la vegetazione, alterando il risultato finale. «Le tavole larghe sui 16 centimetri possono andare bene».

Una volta sul campo, la matita sarà sostituita dai piedi. Per disegnare dei bordi perfetti è importante usarli «a passo laterale», vale a dire non di punta. «Un team di 5 “circlemaker”, che non sia alle prime armi, può realizzare benissimo un’opera grande e complessa come quella di Robella in una sola notte, dall’imbrunire all’alba». Poi, a dare all’opera un’aura di magia, non possono mai mancare i richiami simbolici. Secondo alcuni, per esempio, il cerchio di Robella conterrebbe una formula relativa all’energia. «E, infatti, c’è chi va sempre alla ricerca di messaggi occulti e, per ogni realizzazione, su Internet si trovano specifiche interpretazioni». Si va dalle formule di una reazione nucleare a bassa energia a quelle relative a presunti orologi al trizio.

«Difficile dire se queste interpretazioni equivalgano davvero alle intenzioni di chi ha creato il progetto – dice Grassi -. È molto più probabile che il tutto sia il frutto della volontà di voler vedere a tutti i costi cose che non ci sono». E allora che cosa spinge un ingegnere di software a realizzare opere «misteriche», destinate ad attrarre migliaia di persone, e poi a tenerne segreta (com’era successo finora) la paternità? «L’unico modo per condurre un valido esperimento scientifico era quello di creare una formazione in segreto, annotando tutte le reazioni della comunità». Insomma, creare il mistero e «stare a vedere l’effetto che fa», per dirla con Jannacci.

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