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A cena con Gatsby

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Atmosfere anni ’20 e un interno che ricorda quello di una nave appena varata. Benvenuti nel nuovo punto di riferimento per i businessmen milanesi

A cura di Margherita Calabi

Un set cinematografico dove va in scena l’alta cucina: si potrebbe definire così The Stage, lussuoso ristorante all’interno del concept store Replay di Piazza Gae Aulenti a Milano. Qui il tempo sembra essersi fermato all’epoca di uomini con la brillantina nei capelli e donne in abiti charleston che fumano sigarette con lunghi bocchini d’avorio. Questo luogo raffinato, con interni di legno pregiato che ricordano un’elegante imbarcazione, oggi ha un nuovo general manager, Edoardo Minervini, professionista di successo con grandi ambizioni.

The Stage è la sua nuova sfida. Da dove si comincia? “Il mio primo obiettivo è farlo conoscere. È un luogo unico, disegnato dallo studio Roman and Williams di New York. Sono stati utilizzati 25 km di legno pregiatissimo, ci sono dettagli ricercati in ottone e oblò che fanno credere di essere su una nave appena varata. Per accettare una sfida devo avere i presupposti giusti, qui li ho trovati fin dall’inizio. Uso una metafora: chi lavora nell’hospitality interpreta la parte di un attore. Il cameriere è l’attore, il cliente è lo spettatore, il ristorante è il luogo dove si va in scena. Questo è il palcoscenico perfetto”.

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Il bancone del fascinoso American bar Octavius

Il locale ha un’atmosfera anni ’20, ci si aspetta di veder arrivare personaggi alla F. Scott Fitzgerald in black tie… A che tipo di clienti puntate? “La mattina serviamo le colazioni ai businessmen nel nostro American Bar con pasticceria e cornetti fatti in casa. Da un pranzo di lavoro al ristorante si passa a un aperitivo all’Octavius bar, seguito da cena e dopo cena. Abbiamo dato una tessera esclusiva a 500 persone di altissimo livello e un giovedì al mese cerchiamo di farle divertire con una serata members only. Questo dev’essere un luogo d’incontro, dove conoscersi, concludere affari, fare networking, bere un Martini”.

In cucina, lo chef Fabrizio Albini che ha anche lavorato per Gualtiero Marchesi (come sous chef da Henri Chenot), Giorgio Armani (per gli ospiti del suo yacht), ma anche presidenti della Repubblica, sultani e principi. Cosa propone il menù? “Piatti della tradizione milanese reinterpretati con un tocco di leggerezza, senza scordarsi della contemporaneità e dell’eleganza nella presentazione. Sul menù si possono trovare gli spaghetti al pomodoro giallo, i tagliolini fatti in casa, il risotto alla milanese e la nostra focaccia, incredibilmente leggera e croccante, servita con mozzarella di bufala e culatello”.

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I lussuosi interni del ristorante d’ispirazione Art Déco

Per un cocktail d’altri tempi c’è l’American bar Octavius, fascinoso e con un tocco di amarcord. Francesco Cione, bar manager, prepara drink classici e alchimie sofisticate. Quali sono le creazioni più famose ? “Il Torino-Milano, chiamato anche il Raffinato, una rivisitazione moderna del Milano-Torino, considerato il padre dei cocktail italiani. Al classico bilanciamento tra bitter e vermouth si aggiunge del barolo chinato, con una nota amaro speziato, e alcune gocce di amaricante agli agrumi. Viene servito con un cubetto di ghiaccio monoblocco, che si scoglie più lentamente e non annacqua il drink, con inciso il nome del cocktail”.

Ci svela il segreto di un buon Martini? “La temperatura del bicchiere è essenziale: deve uscire da un pozzetto refrigeratore che è almeno a -20 gradi. La marca del gin non è da sottovalutare, dipende anche da quanto vermouth si decide di usare. Infine, l’interazione che si crea tra il barman e l’ospite è fondamentale. Ma la vera magia è quando si prepara un Martini, non tanto quando lo si consuma”.
James Bond preferisce, appunto, il Martini, Ernest Hemingway beveva il daiquiri e il mojito. Cosa dice un drink della propria personalità? “Hemingway beveva anche molti Martini al Harry’s Bar di Venezia, aveva il suo tavolo e oggi quello tavolo porta il suo nome. La sua era una personalità abbastanza articolata, non aveva un drink preferito, ma tanti. Credo che esista un accostamento tra cocktail e personalità, si possono capire tante cose semplicemente osservando ciò che una persona ama bere. Chi beve Martini ha un carattere freddo, determinato. Un bravo barman deve saper accompagnare l’ospite nella scelta”.

Qual è il drink più richiesto oggi dai businessmen? “Sempre il Martini. È un cocktail che ricorda la freddezza con cui si concludono gli affari: bisogna berlo velocemente e con determinazione. Spesso ci vuole la stessa velocità per chiudere un deal. E poi il Gin Tonic, sinonimo di affari in corso”.

Ha lavorato per anni al fianco di Arrigo Cipriani, nipote di Giuseppe Cipriani che fondò l’Harry’s Bar di Venezia nel 1931. Qual è l’insegnamento più prezioso che le ha dato? “Lavorare con il dottor Arrigo Cipriani è stato un grande onore, sarò sempre molto grato alla sua famiglia. Mi ha insegnato l’importanza di servire con amore piatti semplici della cucina italiana, l’importanza di far sentire a proprio agio il cliente, di anticipare ogni sua richiesta, facendolo sentire a casa”.

Nella sua carriera ha avuto modo di incontrare star, celebrities e personaggi del mondo dello spettacolo che spesso si ritrovavano da Cipriani. Chi l’ha colpita di più? “Nel 2013 mi capitò di servire Lionel Messi a Ibiza. Era a una tavolata di 12 persone con Cesc Fàbregas e le rispettive famiglie. Ordinarono moltissimi piatti da condividere: pizze, focacce, vitello tonnato, tagliolini. Lui mi aiutò personalmente a sparecchiare tra una portata e l’altra. All’epoca era il calciatore più forte del mondo ma anche una persona molto umile”.

Una star che vorrebbe invitare a cena a The Stage? “Considero tutti i miei clienti delle star, ognuno a modo suo. Non aspetto qualcuno in particolare, ma tanti ospiti da far sentire importanti”.

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Instagram spot realizzato dallo studio DesignByGemini

Nella sala biliardo c’è un’insegna al neon con la scritta “There is one rule: no rules”. Quali saranno le sue “regole” per il locale? “Esigo dal mio staff puntualità, precisione, rispetto delle regole, la condivisione degli obiettivi, dei feedback positivi e di quelli negativi. Tutto quello che può creare un team vincente. Ci vuole anche tanta passione. Giuseppe Cipriani diceva sempre: to service is first to love, servire vuole dire amare. Prendo spunto da lui”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di dicembre del magazine Wall Street Italia.