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Italicum incostituzionale: perché la Consulta lo ha bocciato

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Mercoledì 25 gennaio la Corte Costituzionale ha finalmente sciolto i dubbi sulla conformità alla Carta della tanto contestata legge elettorale Italicum, che avrebbe dovuto completare idealmente lo schema di riforma istituzionale rigettato dal referendum dello scorso 4 dicembre.

Secondo la decisione della Consulta, citiamo testualmente, “le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio” sono state accolte, “dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono”. Incostituzionale, oltre al secondo turno previsto dall’Italicum, è anche la “disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione“.

Le parti incostituzionali dell’Italicum

Sono due, dunque, i “pezzi” che la Corte Costituzionale ha rimosso dalla legge elettorale fortemente voluta dall’ex premier Matteo Renzi: l’Italicum. Come sempre la decisione della Consulta precede la diffusione ufficiale delle motivazioni, ragione per cui è possibile solo formulare ipotesi più o meno ragionevoli su quali siano state le ragioni della decisione. Va precisato, comunque, che la Corte non ha dichiarato incostituzionale la legge nella sua totalità, e nelle suo “procedimento di formazione”: tanto è vero che, modificate le due componenti bloccate dalla Consulta, “la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”.

Il ballottaggio incostituzionale

Le elezioni a doppio turno non sono di per sé una novità per l’ordinamento giuridico italiano. L’elezione del presidente di Regione e dei sindaci dei comuni con almeno 15mila abitanti ricorre a una seconda votazione di “spareggio” fra due soli nomi, quelli dei candidati che al primo turno avevano raccolto più voti senza raggiungere la maggioranza assoluta (50% +1). Anche le elezioni presidenziali in Francia prevedono un ballottaggio analogo. Allo stesso tempo va notato che questo genere di duello diretto avviene, in tutti i casi sopra citati, fra due candidati a una carica direttamente eletta e non fra partiti. Diverso era, invece, il caso dell’Italicum che, nel caso in cui nessun partito (o lista, ma non coalizione) avesse raggiunto il 40% dei consensi, si sarebbe assegnato attraverso un secondo turno di votazione il premio di maggioranza in palio: 340 seggi, pari al 54% della Camera dei Deputati. Ricordiamo che nell’ordinamento italiano il presidente del Consiglio non è direttamente eletto dai cittadini, ma è nominato dal Presidente della Repubblica; successivamente il governo deve incassare il voto di fiducia delle due camere per entrare nel pieno dei suoi poteri. E’ possibile che la Consulta abbia ritenuto il meccanismo dell’Italicum eccessivamente distorsivo, (pur ammettendo la legittimità del premio di maggioranza oltre la soglia del 40%). Un’altra ipotesi è che la Corte non abbia ritenuto il ballottaggio compatibile con l’elezione non già di una carica diretta (un presidente, un sindaco), bensì di un premio di maggioranza in grado di alterare in senso maggioritario la composizione del parlamento (da cui dipende, a sua volta, la fiducia al governo) a beneficio di una sola lista.

I capilista “bloccati”

Un altro punto chiave della bocciatura della Consulta riguarda la discrezionalità con la quale i capilista “bloccati” (non votati direttamente con le preferenze, dunque) avrebbero potuto decidere a loro discrezione il collegio in cui farsi eleggere. Con l’Italicum aggiornato dalla Corte non sarà un problema presentare lo stesso nome in più collegi, ma, nel caso di molteplici “liste vincenti” toccherà a un sorteggio decidere quello d’elezione. La ragione della scelta, qui, appare più chiara. Lasciare discrezionalità su questo tema avrebbe potuto manipolare indirettamente gli eletti attraverso le preferenze, con la possibilità di favorire alcuni a discapito di altri gestendo i collegi d’elezione dei capilista “bloccati”.