Consulente e gestore patrimoniale: quali sono le differenze?

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Consulente e gestore patrimoniale: quali sono le differenze?

di Carla Giorgia Fioccone

La nostra organizzazione sociale cambia a una velocità che sarebbe stata impensabile fino a qualche anno fa. Di conseguenza cambiano la nostra disponibilità di tempo libero, il modo che abbiamo di approcciare le persone e le cose e anche il nostro modo di fissare gli obiettivi. Quello che stiamo vivendo è un cambiamento generale, più ampio, che va di pari passo con quello che riguarda il nostro modo di intendere l’esistenza.
Un’esistenza che io credo vada vissuta con la maggior libertà possibile, considerando libertà la capacità di non subire passivamente delle forze, esterne o interne, che limitano di fatto il nostro livello di consapevolezza.

Anche il mondo della finanza – inutile negarlo – è stato attraversato da questi cambiamenti. E, di riflesso, il modo di “gestire i portafogli” ha seguito percorsi sempre più particolareggiati.
Il risultato? Sono venute a delinearsi due figure professionali, ugualmente valide ma con caratteristiche nettamente diverse: il consulente e il gestore.
Spesso mi sono confrontata con colleghi – provenienti da diversi contesti – in merito alle differenze tra i due ruoli e nella maggior parte dei casi ho ricevuto risposte in cui si ammetteva di non vedere reali differenze, fra i due ruoli, perché entrambi si occupano della gestione di patrimoni.

Io, però, non sono di questo avviso. Credo che le differenze ci siano, e che siano anche tante e importanti.
Voglio partire dai manuali dove imparavo le teorie per relazionarci con i clienti, e più nel dettaglio da una domanda che mi è rimasta impressa: quali sono le entrate che avrai quando andrai in pensione? E quale sarà la vita che vorrai avere?
Oggi, quanti di noi, sedendosi con il proprio assistito, dedicano tempo a questo aspetto? Quanti, invece, si concentrano sui trend di mercati, le caratteristiche dei prodotti, su come, magari, l’asset obbligazionario cinese ha inciso sulla volatilità del portafoglio? Tutti argomenti importanti, ma tipicamente da “gestore”.
Da consulente mi chiedo se all’assistito interessi di più sapere se avrà una determinata garanzia finché sarà in vita e di che entità, o se tra sei mesi bisognerà uscire dall’obbligazionario cinese per posizionarsi su quello in dollari. Probabilmente la prima.
Qui si inserisce un altro importante elemento di differenziazione: il tempo necessario per lavorare sulle esigenze peculiari del nostro assistito. Ne servirà di più – è evidente – per ascoltarlo e realizzare un piano personalizzato, rispetto a quello necessario per un riassetto di un portafoglio che è uguale per tutti.

Ai colleghi che incontro dico sempre che non esiste l’azienda perfetta. Se esistesse saremmo tutti lì. Esiste, però, l’azienda che ti fa diventare quello che tu vuoi diventare e quello che vuoi essere per i tuoi assistiti.
Se condividiamo il principio che la nostra professione si svolge seduta e al fianco all’assistito, in ascolto ma certo pronti a intervenire al bisogno (quando magari riteniamo opportuno fargli iniziare un piano di accantonamento per la sua pensione, o quando è consigliabile optare per una tcm, perché in caso di disgrazia la famiglia in gravi difficoltà), allora forse concluderemo insieme che la nostra professione è quella del consulente. Chi, invece, dovesse prestare più attenzione all’andamento oggettivo dei mercati invece che alle esigenze soggettive del suo assistito, forse dimostra una maggiore vocazione per il ruolo di gestore.

Io il mio tempo ho sempre preferito dedicarlo ad ascoltare i desideri e le urgenze, così come le preoccupazioni e le aspettative specifiche della persona accanto a me.
Ben consapevole che le differenze sostanziali tra i due ruoli stiano nel fatto che il consulente ha come obiettivo quello di mettere a disposizione del suo assistito le conoscenze professionali in grado di aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi specifici, mentre il gestore vede tutto in ottica del prodotto e dei suoi andamenti.
Quale delle due visioni è giusta? Entrambe.
Per questo esistono aziende che formano consulenti, preparandoli oltre che dal punto di vista tecnico anche sotto l’aspetto relazionale, con l’obiettivo di creare rapporti, prima di tutto umani, solidi e durevoli nel tempo e altre aziende orientate alla crescita dei gestori di portafogli.
Ognuno di noi, per proprio conto, potrà stabilire da chi si senta maggiormente attratto.

 

Questo articolo fa parte di una rubrica di Wall Street Italia dedicata ai consulenti finanziari che vogliono raccontare le loro esperienze e iniziative professionali. Se siete interessati a pubblicare una vostra storia scriveteci a: social.brown@triboo.it


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