Cambia il codice della crisi d’impresa: cinque cose da sapere

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Articolo di Davide Roffredo, private banker di Alessandria

Tra le situazioni che un buon consulente deve saper affrontare c’è anche quella della crisi aziendale, che a volte sfocia nel fallimento. Si tratta di un termine che genera resistenza, ma che va assolutamente considerato nell’ambito di una sana strategia fiscale per l’impresa. Ad esempio, se il titolare intende far ripartire un business in crisi, quella di dichiarare fallimento e mettere in liquidazione la struttura societaria per poi ripartire con una nuova attività – la cosiddetta newco – può rivelarsi una scelta efficiente anche nell’ottica di una migliore protezione dei dipendenti.

Dal 1° settembre del 2021, però, l’imprenditore che si trovasse a dover fronteggiare una situazione di questo tipo dovrà attenersi a quanto previsto dal nuovo codice della crisi d’impresa, che sostituisce integralmente la legge fallimentare, così come stabilito dal decreto legislativo n.14 del 12 gennaio 2019. Inizialmente l’entrata in vigore del codice era prevista per il 15 agosto del 2020, ma l’emergenza sanitaria ha fatto sì che la data venisse posticipata appunto al 1° settembre di quest’anno.

Il nuovo codice include le disposizioni generali che disciplinano gli istituti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, i soggetti che vi prendono parte, le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi e le procedure di regolazione della stessa crisi aziendale. Inoltre, nel testo sono previste le regole sulla liquidazione giudiziale, sull’insolvenza dei gruppi di imprese e sulla liquidazione coatta amministrativa, oltre alle nuove disposizioni penali e a quelle che riguardano il diritto del lavoro.

Con la nuova normativa non si parlerà più di “fallimento”, ma il termine verrà sostituito dall’espressione “liquidazione giudiziale”.

In generale, l’obiettivo è puntare per quanto possibile a salvare le imprese e a garantire la continuità dell’attività, ricorrendo allo strumento della liquidazione – cioè a quello che oggi si definisce ancora fallimento – solo in assenza di alternative concrete. Il nuovo codice punta infatti a individuare tempestivamente quello che viene chiamato “lo stato di insolvenza futuro” di un’impresa, per poter mettere in atto interventi risolutivi. Questo grazie a un sistema di segnalazione delle situazioni di difficoltà e all’adozione di un modello per l’accertamento dello stato di crisi, da attuare con la massima celerità.

Su questo argomento, ecco cinque considerazioni fondamentali che è bene conoscere se sei un imprenditore:

  • Gli strumenti di allerta: la legge prevede la costituzione di un organismo di monitoraggio ad hoc rispetto ai segnali che indicano l’avvicinarsi della crisi. I dettagli relativi ai cosiddetti “strumenti di allerta”, diversi da categoria a categoria, sono stati da poco individuati e messi a disposizione dalle autorità preposte.
  • Il piano d’azione:  è essenziale che chi ha un’impresa prenda in considerazione per tempo l’eventualità di una crisi: l’obiettivo è costituire un piano d’azione, una strategia che si possa implementare adeguatamente nel momento in cui dovesse presentarsene la necessità, e che deve far sì che le conseguenze legali e patrimoniali della crisi aziendale non vadano a ripercuotersi sugli amministratori, sui controllori e sulle loro famiglie.
  • Prevenire è meglio che curare: nell’ottica della prevenzione è opportuno che l’impresa si attrezzi con l’adozione di strumenti di protezione del patrimonio finanziario, da parte dell’amministratore e dei componenti degli organi di controllo, come il collegio sindacale.
  • Agire quando le cose vanno bene e non quando vanno male: è importante attivare questi strumenti di protezione quando molto probabilmente sembrano inutili:  adottare la strategia di protezione quando l’azienda è in bonis, per usare un termine caro ai giuristi, è il modo giusto per far sì che il piano si riveli efficace all’occorrenza.
  • Affidarsi ad un consulente di fiducia: una caratteristica dei popoli “latini” è percepire un problema come proprio solo quando è urgente da risolvere. Per questo la mia raccomandazione è di dare fiducia al consulente quando approccia la questione, senza cadere nella trappola psicologica in base alla quale il cliente è portato a pensare: “a me oggi questa cosa non serve, l’unico che ne ha un tornaconto è lui”.

Il mio motto è “pre-occupiamoci del futuro per non farci preoccupare dal presente!”