Società

Svizzera, verso salario minimo da capogiro. Oltre 3.000 euro al mese

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ROMA (WSI) – Sembra di scrivere dal Paese di Bengodi: qui in Svizzera domenica si voterà un referendum per introdurre un salario minimo garantito di 4 mila franchi al mese, pari circa a 3.300 euro.

Avete letto bene: 4 mila franchi, 3.300 euro, al mese: e per tutte le categorie di lavoratori. Se poi aggiungiamo che questo è il Paese con la più bassa disoccupazione d’Europa (3,2%), noi italiani possiamo crepare d’invidia.

Certo anche i numeri vanno interpretati. Dunque, per correttezza: i tremilatrecento euro sono lordi, e non netti. Da quella cifra va tolto un 15 per cento di tasse e contributi vari. Poi bisogna togliere anche la Cassa malattia, che non è trattenuta in busta paga, e che ciascuno si deve fare per conto proprio.

Altra precisazione: in Svizzera la vita costa ben di più che in Italia: in quella francese e tedesca il 30-40 per cento in più, nel Canton Ticino il 20 per cento.

Però, però: nonostante queste precisazioni, vista dall’Italia è tutta manna che cade dal cielo. Infatti complessivamente, cioè compresa la Cassa malattia, il carico fiscale della Svizzera è circa del 30 per cento, quasi la metà che da noi. E quanto al costo della vita, la legge che si voterà domenica prevede che ogni singolo Cantone potrà adeguare il proprio salario minimo garantito, ovviamente alzandolo. In ogni caso, se passasse il referendum di domenica la Svizzera avrebbe il salario minimo più alto del mondo: 22 franchi all’ora, pari a circa 18 euro, contro – per stare in Europa – gli 8 della Francia e gli 8,5 della Germania.

I Socialisti e i Verdi, che hanno proposto il referendum insieme con l’Unione sindacale svizzera, dicono che quattromila franchi al mese non devono fare scandalo perché «siamo uno dei Paesi più ricchi del mondo». Ma i padroni (qui in Svizzera li chiamano tutti ancora così, «i padroni») sono furenti. Quattromila euro al mese è pari al 64 per cento del salario medio svizzero: insomma è uno stipendio pesante, per essere considerato come una soglia minima. E, per giunta, riguarderebbe non pochi lavoratori: quelli che attualmente non raggiungono i quattromila franchi al mese sono il 9 per cento di tutti gli occupati. Ma forse fa più effetto dare i numeri, invece delle percentuali: a prendere il salario minimo garantito sarebbero 330.000 persone in tutta la Svizzera, cioè in un Paese che ha otto milioni e centomila residenti, compresi gli stranieri che sono il 25 per cento.
«Sì, i padroni sono furenti», mi conferma Giancarlo Dillena, direttore del Corriere del Ticino, il più diffuso quotidiano della Svizzera italiana: «Dicono che si rischia di immettere sul mercato una regola che sconvolge equilibri storici. E poi qui in Ticino ci sarebbe qualche problema in più. Intanto perché gli stipendi in media sono più bassi, e si introdurrebbe un minimo uguale per tutta la Confederazione. E poi qui abbiamo sessantamila frontalieri italiani, che avrebbero pure loro diritto ai quattromila franchi». Il rischio, dicono quelli del fronte del «no», è che molte imprese, visto l’andazzo, portino la produzione all’estero. Per questo anche alcuni sindacati, come i cristiano-sociali, vanno molto cauti, e non fanno campagna.

Decisi, invece, quelli dell’Unia, una specie di Cgil elvetica. «In Svizzera – mi dice da Berna la responsabile nazionale, Vania Alleva – solo la metà dei lavoratori è tutelata da contratti collettivi. Gli altri percepiscono un salario deciso dal proprio datore di lavoro, e uno su dieci prende meno di ventidue franchi all’ora, cioè quattromila franchi al mese per chi è occupato a tempo pieno. Mi rendo conto che in Italia quattromila franchi possono sembrare tanti, ma in Svizzera non è così: se non arrivi a quella cifra, qui da noi vivi malissimo, vicino alla soglia di povertà». Spiega che il referendum è stato praticamente un’ultima spiaggia: «Gli imprenditori si lamentano, ma se non si fossero sempre rifiutati di negoziare contratti collettivi, non sarebbe stato necessario arrivare a proporre questa legge. Che, tra l’altro, avrà un impatto minore che in Germania, dove il salario minimo garantito sarà sì più basso, ma riguarderà il sedici per cento dei lavoratori. In Svizzera, ripeto, solo uno su dieci».

Comunque troppi, secondo Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio e dell’Industria del Canton Ticino. «Siamo contrari», mi dice, «per due motivi. Il primo è che sarebbe un’imposizione dello Stato poco conforme alle nostre abitudini: sarebbe la fine di un patto sociale che in Svizzera ha una lunga tradizione. Secondo, quattromila franchi sono tanti, e metterebbero in difficoltà molti imprenditori. È vero che da noi tutto costa caro, ma ci sono già diverse esenzioni e sovvenzioni, per cui alla fine ciascuno può contare su un livello di vita dignitoso».

Vedremo domenica. I sondaggi dicono che è in vantaggio il «no». Comunque beati loro che vanno a votare su questioni del genere.

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