RIFLESSIONI SULLA TEORIA DEL MERCATO EFFICIENTE

di Redazione Wall Street Italia
15 Marzo 2000 03:36

Come vi sentireste se una schiera di stimati professori universitari
sostenesse che le vostre sudate competenze professionali non valgono più di
quelle di una scimmia, per giunta bendata? Be’, questo è esattamente ciò che
è accaduto ai manager dei fondi di investimento nei primi anni Ottanta,
quando la Teoria del Mercato Efficiente ha raggiunto la sua massima
popolarità accademica.

Le furibonde polemiche generate da tale teoria hanno
scosso Wall Street fino alle fondamenta e i suoi strascichi sono ancora oggi
tutt’altro che sopiti. Comprendere i termini di questa diatriba e formarsi
un’opinione in merito è importante per ogni investitore razionale.

La Teoria del Mercato Efficiente sostiene che tutta l’informazione
disponibile su una certa societa’ è già incorporata nel suo prezzo di
mercato. Questa conclusione, in apparenza innocente, ha in realtà delle
conseguenze devastanti e viene raggiunta a partire da tre importanti
premesse.

In primo luogo si ipotizza che, per ogni titolo quotato sul
mercato, esista un prezzo “giusto”, detto valore intrinseco. Il valore
intrinseco può essere calcolato con strumenti analitici sulla base delle
informazioni disponibili (tra cui i “fondamentali” della compagnia in
questione), che vengono tradotte in una previsione dei profitti futuri.

La
seconda premessa della Teoria del Mercato Efficiente è che l’informazione
viaggi nei mercati moderni in maniera estremamente rapida e “democratica”.
La terza premessa consiste nell’assumere che tutti gli investitori adottino
una strategia perfettamente logica e razionale.

Queste premesse sono tutt’altro che scontate. Prima di entrare nel merito
della loro validità, però, consideriamone le implicazioni. Nel mondo ideale
e un po’ panglossiano della Teoria, il prezzo di mercato di un’azione non
potrà che essere uguale al suo valore intrinseco.

Se infatti se ne
distaccasse, gli investitori (razionali, ben informati e assetati di
profitto) coglierebbero al volo l’opportunità di comprare (se il prezzo
fosse inferiore al valore intrinseco) o di vendere (se fosse maggiore).
Così, in men che non si dica il prezzo dell’azione convergerebbe al suo
valore intrinseco.

Cosa determina allora le variazioni dei prezzi? Be’,
secondo la Teoria, ciò che davvero muove i prezzi è l’immissione sul mercato
di nuove informazioni non disponibili in precedenza. Poiché le informazioni
future hanno la stessa probabilità di essere buone o cattive, non è
possibile prevedere il futuro sulla base dell’andamento passato.

Tutto ciò
implica che non c’è modo di selezionare un titolo particolarmente
promettente. Tali promesse, infatti, ne avranno già fatto salire il prezzo
fino a renderne il rendimento aspettato non superiore a quello degli altri
titoli con simili caratteristiche di rischio.

Eccoci dunque al paradosso
della scimmia bendata che tira dardi sul listino azionario. Se le
considerazioni precedenti sono valide, il primate ha le stesse probabilità
di successo del miglior manager in circolazione.

Con quale favore questa
teoria sia stata accolta dai professionisti del mercato (categoria non
particolarmente rinomata per le sue virtù evangeliche) è facile immaginare.

Quali strumenti rimangono secondo la Teoria del Mercato Efficiente? L’unica
strategia attuabile consiste nella diversificazione del portafoglio, che
consente di ridurre al minimo (ma non a zero) il rischio associato
all’investimento. La Teoria prevede anche che sia possibile ottenere dei
rendimenti superiori a quelli della media del mercato, ma solo a costo di
assumere rischi superiori.

Cosa spiega allora il successo di manager come
Peter Linch, che ottenne risultati eccezionali alla guida del Magellan Fund
nel periodo 1981-1985? Be’, la risposta dei seguaci del Mercato Efficiente è
estremamente semplice: trattasi di fortuna.

A partire dai tardi anni Ottanta la Teoria del Mercato Efficiente è stata
sottoposta a critiche feroci provenienti non solo dal mondo dei
professionisti della finanza, ma anche dal mondo accademico. Come può una
teoria basata sull’aderenza dei prezzi al valore intrinseco spiegare
fenomeni quale il crollo del Dow Jones nell’ottobre 1987 o nell’agosto 1998?
E’ possibile che le informazioni disponibili cambino tanto rapidamente da
giustificare la volatilità che sempre più caratterizza i mercati?

Il punto
debole della Teoria del Mercato Efficiente risiede nella dubbia validità
delle premesse che abbiamo esaminato. L’esistenza di un valore intrinseco è
tutt’altro che scontata. La valutazione di tale entità si basa infatti sulla
previsione dei guadagni di una societa’ e tale previsione è quanto mai
aleatoria.

E’ ben noto che i giudizi dei maggiori analisti su un certo
titolo raramente concordano tra loro, per quanto siano basati sulle stesse
informazioni. Altrettanto importante è l’osservazione che gli investitori,
lungi dal comportarsi in maniera freddamente razionale, sono fortemente
influenzati da fattori emozionali. La psicologia di massa è, secondo molti,
uno dei determinanti dell’andamento dei mercati.

Mentre oggi pochi studiosi sarebbero disposti a sostenere la Teoria del
Mercato Efficiente nella sua intransigente forma originaria, è forse
prematuro intonare il De Profundis per l’ efficienza dei mercati in ogni sua
forma. Una formulazione ben più debole e realistica della Teoria potrebbe
suonare come segue: per quanto il mercato sia tutt’altro che efficiente nel
breve termine, esso tende ad esserlo inesorabilmente nel lungo periodo.

Così, se i guadagni aspettati per una certa compagnia od un certo settore
alla moda non si materializzano entro un certo numero di anni, si può esser
certi che prima o poi i prezzi si arrenderanno all’evidenza.

Un altro merito
della discussione sull’efficienza del mercato è di aver posto sul banco
degli imputati le prestazioni dei manager dei grandi fondi d’investimento.
Alcune ricerche forniscono risultati inquietanti. Nel periodo 1973-1998, ad
esempio, due terzi dei fondi di investimento offerti al pubblico americano
hanno reso meno della media del mercato su cui operavano (quantificata dallo
Standard and Poor’s 500-Stock Index). Se al mercato capita di non essere
efficiente, riteniamo che i pagatissimi professionisti del settore non
possano permettersi questo lusso.

Enrico Bracci e’ Ricercatore alla University of Birmingham (UK).