Società

Obama come e peggio di Bush

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NEW YORK (WSI) – Le ultime decisioni prese dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ovvero i bombardamenti a tappeto in Siria di postazioni dei militanti dell’Isis (lo stato islamico) hanno lasciato di stucco gli osservatori internazionali di politica estera.

Nessuno credeva che il vincitore del premio Nobel per la Pace, eletto alla Casa Bianca in base a una piattaforma che implicava la netta presa di distanze rispetto alle due guerre americane in Afghanistan e Iraq sferrate dal predecessore George W. Bush, 6 anni dopo si trovasse esattamente nella stessa identica posizione dove era il vituperato presidente repubblicano dieci anni prima. E Obama fu fautore e realizzatore – appena eletto – del ritiro di quasi tutte le truppe Usa di terra dalle zone di conflitto.

L’ultimo numero di The Economist, in uscita venerdi’ (qui a fianco) raffigura in copertina il disagio di chi e’ rimasto fortemente deluso dalla nuova veste guerrafondaia del Comandante in Capo Usa: “Mission relaunched – Missione rilanciata” strilla il titolo. Mentre il fotomontaggio raffigura un Obama in tuta da pilota di caccia militare, il tutto con riferimento al “Mission accomplished” (Missione compiuta), striscione che il 3 marzo 2003 campeggiava sulla portarei USS Abraham Lincoln dove George W. Bush atterro’, arrivando come co-pilota di un caccia Navy S-3B Viking per celebrare in modo plateale la cacciata di Saddam Hussein e la conquista dell’Iraq.

[ARTICLEIMAGE] Insomma gli Stati Uniti, secondo il settimanale inglese, ripetono sempre gli stessi errori. E il motivo non pare misterioso: la politica estera di Washington continua ad essere dettata dal potente e ricco complesso militar-industriale che fa capo al Pentagono, e non alla Casa Bianca.

Ecco l’articolo di The Economist:

FOR more than three years, Barack Obama has been trying to avoid getting into a fight in Syria. But this week, with great tracts of the Middle East under the jihadist’s knife, he at last faced up to the inevitable.

[ARTICLEIMAGE] On September 23rd America led air strikes in Syria against both the warriors of Islamic State (IS) and a little-known al-Qaeda cell, called the Khorasan group, which it claimed was about to attack the West. A president who has always seen his main mission as nation-building at home is now using military force in six countries—Syria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen and Somalia.

The Syrian operation is an essential counterpart to America’s attacks against IS in Iraq. Preventing the group from carving out a caliphate means, at the very least, ensuring that neither of these two countries affords it a haven (see article).

But more than the future of IS is at stake in the streets of Raqqa and Mosul. Mr Obama’s attempt to deal with the jihadists is also a test of America’s commitment to global security… >>> continua qui