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Maurizio Galimberti. Photography revolution

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L’artista dell’istante, che con la sua macchina fotografica ha ritratto i grandi personaggi dei nostri giorni, da Johnny Depp a Robert De Niro, si racconta

A cura di Margherita Calabi

Con la macchina fotografica istantanea racchiusa nel suo collector, una specie di scatola, si avvicina al soggetto e gliela accosta al viso. Poi scatta. Maurizio Galimberti, il fotografo delle star, che ancora oggi rimane affascinato dal quadratino bianco che esce dalle polaroid, si racconta.  

Autoritratto di Maurizio Galimberti

Lo scorso luglio ha presentato il libro Il mosaico del mondo – la mia vita messa a fuoco, in cui ripercorre la sua vita a partire dalle grate delle finestre di quell’orfanotrofio che ha segnato la sua infanzia…
“Ho raccontato la mia storia a quattro mani con Denis Curti, questo libro dimostra che se si ha un sogno lo si può realizzare con tenacia, forza di volontà e progettualità. Italo Calvino diceva ‘La fantasia è una marmellata che va spalmata sul pane solido per evitare il molle del banale’. Il pane solido è la cultura da cui ho attinto: ho guardato il mondo non solo con i miei occhi, ma con gli occhi di quelli che mi hanno preceduto sviluppando così la mia visione”. 

Fino a 35 anni ha fatto il geometra nell’impresa di famiglia. Come si passa da questo a essere un fotografo di fama internazionale?
“Ho iniziato a collaborare con Polaroid Italia nel 1989, nel 1991 l’allora direttore mi chiamò dicendo che riceveva moltissimi fax di fotografi che si lamentavano perché Polaroid faceva lavorare un geometra e non i fotografi. Peccato che il geometra era creativo e i fotografi invece no. Così, ho cominciato a dedicarmi interamente alla fotografia. Nel 1995 abbiamo pubblicato il libro Polaroid Pro Art, un manuale creativo con le tecniche che avevo affinato, come il Mosaico e la Manipolazione. È stato ricevuto con grande succeso, da lì hanno cominciato a chiamarmi Maestro”. 

È stato definito un ‘Instant Artist’, ma è anche conosciuto come ‘il ritrattista delle star’. Lei come si definisce?
“Ho iniziato a usare le Polaroid perché non mi piaceva aspettare. L’istinto/istante è il momento più bello della vita perché tiri fuori tutto e subito. È come un bel calcio di rigore: o lo fai o non lo fai. La definizione di ‘Instant Artist’ me l’ha data la direttrice di Polaroid, Denise Aliprandi, che aveva bisogno di un nome per un concorso che voleva lanciare. Il concorso non ha mai avuto luogo, ma io sono rimasto un Instant Artist. Mi definisco un mangiatore di fotografie: è quando prendi la scena, la porti nella pancia, la digerisci e quello che ne esce è la tua foto, con tutta la filosofia che ti appartiene”. 

Non tutti sanno che da sempre teme il buio, non riesce infatti a rimanere nella camera oscura più di tanto…
“Sì, è colpa di alcune suore che in orfanotrofio ci chiudevano in cantina. Il buio non mi è mai piaciuto: un fotografo ha bisogno di luce. Il buio è qualcosa che mi ha sempre portato negatività, Dante si è smarrito nella selva oscura, l’oscuro non fa stare bene l’uomo. Ricordo che quando andavo alle elementari mi chiudevano in un ripostiglio perché ero troppo agitato”.  

Johnny Depp, 2003, Mosaic Polaroid Image by Maurizio Galimberti

Nel 2003 ha conosciuto Johnny Depp al Festival del Cinema di Venezia: il ritratto nato da quell’incontro ha fatto il giro del mondo. C’è un aneddoto di questa vicenda che non ha ancora raccontato?
“Una volta finito il ritratto ci siamo incamminati verso il Palazzo del Cinem, lui lo teneva in mano, era gasato, lo guardava. Quando la gente ha capito che dietro a quel mosaico c’era Johnny Depp è stato travolto. Non ho mai visto così tanti reggiseni volare nell’aria. A un certo punto è arrivata la Digos, lo ha caricato in macchina e lo ha portato al Palazzo del Cinema. Io sono rimasto a piedi ma non ho ricevuto nessun reggiseno, solo la delusione di dover fare la strada da solo…”.  

Tra i suoi progetti ci sono anche i ritratti fatti a Lady Gaga, Robert De Niro e Monica Bellucci. Quale personaggio l’ha colpita di più?
“Ho appena fotografato a Venezia per Cartier Anne Parillaud, l’attrice del film Nikita (1990). Mi ha stupito la sua capacità di mettersi in scena. Come attore direi sicuramente Robert De Niro, mentre le persone che mi hanno trasmesso grandi emozioni sono stati gli scrittori, parlo di Roberto Bobbio, Mario Luzzi, Dario Fo e la sua incredibile personalità, Lalla Romano e l’ultracentenario Gillo Dorfles, personaggi di grande cultura”. 

Robert De Niro, 2010, Mosaic Polaroid Image by Maurizio Galimberti

Se fosse chiamato a Buckingham Palace per il ritratto di Carlo III d’Inghilterra?
“Qualche anno fa alcuni miei ritratti sono arrivati all’ufficio stampa della Regina Elisabetta. Erano piaciuti molto, ma per protocollo il ritratto ufficiale deve essere fatto da un fotografo inglese. Se mi chiamassero, partirei anche a piedi, andrei a Londra facendo l’autostop. Pensi che bello: ‘Galimberti dove sta andando? A fare il ritratto al Re’. L’ho conosciuto qualche anno fa in Toscana, mi è piaciuto molto, anche se mi dispiace che l’inno sia cambiato da God Save the Queen a God Save the King. Nel mio immaginario la Regina è inarrivabile, è un personaggio quasi incredibile”.  

Nella sua carriera si è cimentato anche nel nudo. Cosa vuole dire per lei la parola sensualità?
“Ho fatto un bellissimo progetto con una modella, Arianna Grimoldi, che ha avuto un percorso di vita molto complicato. Tirava fuori le sue sofferenze nelle immagini. Per me il nudo è sempre stato una palestra per confrontarmi con la storia, Man Ray e tutti i fotografi surrealisti mi hanno sempre affascinato. Ho sempre ricercato la Juliette di Man Ray, la sua ultima musa, bella, ironica, drammatica, delicata”.

Studio Agave N°1… Ari, 2013, by Maurizio Galimberti

Quali sono stati i suoi maestri?
“I miei lavori guardano molto al Nudo che scende le scale n.2 di Marcel Duchamp. Poi le avanguardie storiche partendo da André Kertész, Man Ray, la scuola del Bahaus, le Corbusier, Mackintosh e il Dadaismo. Il fotografo cecoslovacco Josef Sudek era un poeta dell’immagine, così come Mario Giacomelli. Mi piace la fotografia fragile, non quella post-prodotta che diventa finta. Ho sempre ammirato Giovani Chiaromonte, Gianni Berengo Gardin, Olivo Barbieri, Franco Fontana. Infine, la potenza di Helmut Newton: lui ha sempre detto che la polaroid era la sua opera finale, ed è uno dei motivi per cui ho sempre considerato la polaroid la mia opera”. 

La sua mamma Eleonora è venuta a mancare negli scorsi giorni. Come la ricorda? (L’intervista è stata fatta mentre Galimberti era in ospedale a Desio per starle vicino).
“L’insegnamento più bello è sempre stato questo: che la vita continua, di guardare sempre avanti, coltivare l’amore per i propri figli e di non fermarsi mai”.