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Luca Rubinacci, storia di un gentleman moderno

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Viene da una famiglia di grandi sarti napoletani ed è considerato una vera icona dell’Italian style. Ma non chiamatelo dandy

A cura di Margherita Calabi

Ha nel sangue l’arte degli abbinamenti, anche quelli più estrosi, e sperimenta con colori e fantasie. Figlio e nipote di grandi sarti napoletani, con il suo savoir-faire Luca Rubinacci porta l’azienda di famiglia nel futuro.

Innanzitutto, come si vestirà quando rientrerà in ufficio?
“Sono un amante del doppiopetto, il primo giorno dopo il lockdown ne indosserò uno blu. Sarà come il primo giorno di scuola. Il lunedì mi vesto di tutto punto, sempre con un doppiopetto, per iniziare la settimana con il piede giusto. È un capo formale, classico, serio”.


Luca Rubinacci, direttore creativo di Rubinacci, indossa un abito grigio chiaro di flanella pettinata Inglese con pantaloni iconici Manny. Il tutto firmato Rubinacci

È un’icona dell’Italian style, ma si arrabbia se la chiamano “dandy”. Come si definisce Luca Rubinacci?
“Oggi un dandy sarebbe fuori luogo. Il dandy era una persona che vestiva particolarmente elegante in un contesto già di per sé molto elegante. Io vesto in modo classico, ma sono anche un grande sportivo, amo il surf e lo snowboard. Non posso essere un dandy se in spiaggia vado con un outfit da surfista. Mi considero un gentleman moderno, perché adatto la mia eleganza al contesto in cui mi trovo”.

Indossa braccialetti di corda, metallo e perline colorate, in memoria di momenti speciali, anche con gli abiti sartoriali. Quali sono le sue regole di stile?
“Bisogna conoscere le regole per infrangerle. Nel farlo, però, è fondamentale aver buon sen- so. Da piccolo ero un velista professionista, con i miei compagni indossavamo braccialetti che compravamo nei nostri viaggi, li consideravamo i nostri portafortuna. Poi sono arrivate le fidanzate, che mi hanno sempre regalato braccialetti, e mia mamma che me ne regala uno ogni capodanno. Non li tolgo mai. Sono parte di me, raccontano chi sono e quello che faccio”.

Ha ereditato la sua eleganza dal nonno Gennaro e da suo padre, Mariano Rubinacci, entrambi raffinatissimi gentlemen partenopei. Quali sono stati gli insegnamenti più importanti che le hanno trasmesso questi due grandi uomini?
“Mio padre non mi ha mai detto come dovevo vestirmi. Questo è stato il suo insegnamento più grande. Mi punzecchiava, per farmi capire, sbagliare e imparare con la mia testa. Quando cominciai a lavorare in negozio avevo 20 anni e non volevo mettermi la giacca e la cravatta. Indossavo una camicia e i clienti non volevano avere a che fare con me, chiedevano sempre di mio padre. Così cominciai a mettere la giacca. Dal chiedermi ‘dov’è tuo padre?’ i clienti cominciarono a chiedermi ‘mi fai vedere quel capo?’. Allora decisi di mettermi anche la cra- vatta e cominciai a vestirmi meglio”.


Luca Rubinacci indossa un blazer di hopsack leggero con bottoni argento e un paio di jeans. Entrambi i look sono firmati Rubinacci

Come disegna le sue collezioni?
“Vesto gente internazionale, per capire il loro stile devo tenere gli occhi bene aperti, sennò rischio di essere troppo selettivo. Le mie origi- ni napoletane rimangono il mio DNA, ma la mia prima esperienza di lavoro è stata a Saville Row, a Londra. Sono cresciuto con il dualismo di una sartoria moderna. Oggi il nostro punto di forza è proprio quello di sapersi adattare alle richieste dei nostri clienti”.

Come è cambiata la mentalità di chi compra?
“La mentalità odierna ci spinge a buttare il vecchio per comprare il nuovo perché il vecchio è fuori moda, ma non è così. Bisogna invece comprare il nuovo per preservare il vecchio. Non è l’etichetta che conta, ma il prodotto. Il nostro ready-to-wear ha delle etichette minuscole, spesso i clienti mi chiedono delle etichette più grandi, ma non ne vedo il bisogno, il prodotto parla da solo. La gente ti chiederà di chi è il tuo capo e tu potrai scegliere se dirlo oppure no: il vero lusso è anche quello di non dover dire dove compri i tuoi abiti”.

Nella sede di Rubinacci in via del Gesù a Milano ha realizzato un vero e proprio gentlemen’s club dove accoglie i suoi clienti. Come è nata questa idea?
“Molti clienti stranieri mi dicevano ‘vorrei trovare un posto dove fare i fitting tra amici, un luogo dove poter prendere un caffè e fare due chiacchiere mentre provo un vestito’. Nello spazio di via Gesù ho creato una sala prova che si è trasformata in un grande salotto lussuoso, qui il cliente su misura può provare i capi in tutta tranquillità”.


La boutique Rubinacci in via del Gesù 1 a Milano

Nel film Wall Street, il ‘temibile’ Michael Douglas, nei panni di Gordon Gekko, beve whiskey, fuma sigari e indossa camicie col colletto a contrasto. Come si comporta un businessman moderno?
“Non fuma perché fumare non è più di moda. Beve il buon vino, sia bianco che rosso, e ama i gin tonic [i gin preferiti di Luca Rubinacci sono il Gin Mare, molto profumato, e il Gin di Nordés, del nord della galizia, ndr]. Mi piacciono molto le camicie con le righe e sono un grande amante delle camicie in denim: quando indosso giacche molto particolari l’unico modo per ‘smorzarle’ è indossare una camicia in denim”.

Il vostro bespoke, il su misura senza cartamodello per il quale occorrono 54 ore di lavorazione, piace moltissimo. I vostri atelier sono a Napoli, Londra e Milano, dove volete aprire il prossimo?
“L’ho aperto da poco, è il mio nuovo sito online. In questo modo posso davvero essere presente in tutto il mondo. Oltre ad avere a disposizione i nostri prodotti, la vera ‘chicca’ è una chat dove si può parlare direttamente con uno style consultant… Fra questi ci sono anche io”.


Luca Rubinacci indossa una giaccia di cashmere blu, una camicia in denim e un pantalone di flanella color melanzana

Ha 213 mila followers su Instagram a cui da consigli sul bel vestire. Quale modo migliore per avvicinare i giovani alla grande tradizione sartoriale?
“I giovani vogliono un punto di riferimento e utilizzo il mio profilo personale @luca_rubinacci per parlare con loro. Dopo il mio stage a Saville Row ho avuto come mentore Sergio Loro Piana: sono stato molto fortunato, ho conosciuto gente di rilievo che mi ha insegnato molto, perché quindi non condividere il mio sapere con gli altri?”.

È diventato padre da pochissimo tempo. Quale è la prima cosa che insegnerà a sua figlia?
“Il buon senso, è ciò che mi ha insegnato la mia famiglia. In tutte le cose che faccio, dallo sport più estremo al lavoro, dall’amicizia all’ amore, uso sempre il buon senso. È il mio credo. Per questo sono sempre positivo e felice: tutti i giorni ricordo a me stesso che nella vita poteva andarmi peggio…”.

 

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di maggio del magazine Wall Street Italia.