Mercati

India: 350 Pmi italiane in missione

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Dopo Cina, Brasile e Turchia il made in Italy punta forte sull’India. Il secondo gigante asiatico, con oltre un miliardo di abitanti e una crescita annua nell’ordine dell’8-9 per cento è l’obiettivo dichiarato delle imprese e dei Governi occidentali che muovono le proprie truppe per avviare rapporti, stringere accordi, concludere affari. A distanza di due anni dalla missione economico-diplomatica guidata da Carlo Azeglio Ciampi, il sistema-imprese torna a far tappa sul mercato indiano con una mega-missione guidata dal premier, Romano Prodi, a capo di una delegazione di 450 imprenditori in rappresentanza di 350 imprese, soprattutto medie e piccole.
Sul piatto della bilancia c’è un mercato potenziale che vale quasi 100 miliardi di euro nel settore dei beni di consumo (alimentare, arredamento, abbigliamento), destinati a 200-250 milioni di consumatori appartenenti alla classe media. L’Italia ci scommette sopra: lunedì prossimo sbarcherà a Bombay Prodi, accompagnato da una nutrita rappresentanza del Governo (i ministri Emma Bonino, Fabio Mussi, Paolo De Castro e Antonio Di Pietro) e da una folta schiera di imprenditori. Alla missione, che durerà quasi una settimana e toccherà anche Calcutta e si concluderà a Delhi, partecipano i presidenti di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, dell’Ice, Umberto Vattani, e dell’Abi, Corrado Faissola. Obiettivo: creare le condizioni per rendere le nostre Pmi più presenti sul mercato indiano e, allo stesso tempo, sfruttare come traino l’impressionante ritmo di crescita della regione asiatica.
Grazie all’ambizioso programma di riforme economiche iniziato nel 1991 e portato avanti oggi dal governo di Manmohan Singh, l’India registra nell’ultimo decennio tassi di crescita medi superiore al 6 per cento, trasformandosi in una delle economie più dinamiche di tutto il Sud-Est asiatico. Agli occhi dell’Occidente l’India risponde perfettamente a quel profilo-Paese che pur vivendo ancora forte la contraddizione tra boom e povertà può incidere positivamente sulla struttura produttiva nazionale: un mercato insomma in crescita rapida, dove si sta ampliando la fascia di cittadini abbienti e, quindi, più inclini a consumi di qualità.
Un paese che promette affari e progresso e per questo l’operazione made in Italy diventa ambiziosa, quasi decisiva nella gara competitiva globale. Dopo un periodo di stasi, negli ultimi anni le imprese italiane mostrano segnali di risveglio: ultimamente, l’Italia acquisisce il quinto posto fra i Paesi europei investitori, a scapito della Svezia. Se raffrontata al totale degli investimenti stranieri e alla consolidata presenza di alcuni Paesi come Paesi Bassi, Gran Bretagna, Germania e Francia, la quota italiana resta comunque ancora esigua e ben al di sotto delle potenzialità. A cominciare dalla presenza finanziaria, con appena sei banche italiane che hanno un ufficio di rappresentanza: Banco Popolare di Verona e Novara, Unicredit, Intesa-Sanpaolo, Mps, Banca Popolare di Vicenza e Bpu.
Quest’ultimo aspetto sta particolarmente a cuore al Governo italiano, che sollecita una maggiore presenza di istituti di credito nazionali, i più adatti a supportare gli sforzi di un tessuto imprenditoriale di piccole dimensioni (se ne farà portavoce il presidente della Piccola di Confindustria, Giuseppe Morandini, capodelegazione nella tappa di Calcutta) e spesso con forti connotazioni regionali, in avventure all’estero. Le autorità italiane sanno bene però che la finestra di opportunità su questo mercato non durerà troppo a lungo e gli spazi oggi disponibili saranno occupati nel giro di qualche anno. Come già accaduto in occasione di altre analoghe missioni in mercati emergenti, l’intenzione delle autorità italiane (e di Confindustria) è quella di individuare i settori nei quali le imprese nazionali possano trovare interesse a venire a produrre, sfruttando anche i vantaggi comparati derivanti da una eventuale parziale delocalizzazione dei prodotti semilavorati. Le prospettive di cooperazione bilaterale, fanno sapere i tecnici dell’Ice, sono comunque numerose e quasi tutte ancora inesplorate. Il discorso non riguarda soltanto i grandi gruppi: per la struttura stessa del suo sistema economico, ricco come il nostro di Pmi e per il tipo di vantaggio competitivo che offre, l’India si candida a divenire partner preferenziale dei nostri distretti industriali.