FIAT: CON L’AMICO AMERICANO NIENTE COME PRIMA

di Redazione Wall Street Italia
13 Marzo 2000 21:47

Re Gianni non è più solo sul trono dell’impero Fiat: con l’accordo siglato oggi con General Motors, in base al quale il 20% di Fiat Auto viene ceduto in cambio del 5,1% del gigante di Detroit, l’Avvocato ha accettato di regnare in condominio. Per ora. Già nell’intesa stretta con gli americani è infatti previsto che entro cinque anni Torino potrà decidere di trasferire l’intero controllo di Fiat Auto al nuovo alleato.

Oggi è ufficialmente finita un’era. E’ finita l’era del capitalismo familiare italiano. E’ finita l’era di Cipputi (che non a caso si interroga sul suo destino). E’ finita l’era della città fabbrica: perché è vero che nell’arco di venti anni Torino ha pian piano cambiato faccia, con l’aumento costante di addetti ai lavori atipici e invisibili e la diminuzione (da 115 mila a 40 mila) dei lavoratori impiegati negli stabilimenti tradizionali; ma è anche vero che nell’immaginario di ognuno di noi il capoluogo piemontese è sempre stato finora la capitale dell’auto.

E bisogna dire che non tanto il quadro, quanto le prospettive sono ben diverse da quando in Fiat entrarono i capitali libici: era evidente a tutti, allora, che quell’alleanza era a termine, dettata da esigenze contingenti. Oggi l’amico americano di Gianni Agnelli entra per rimanere. Qualcuno teme che sia entrato anche per sovvertire tutto.

A guardar bene, non poteva essere diversamente. Da anni ormai si andava ripetendo che nel ventunesimo secolo la concorrenza in un mercato saturo come quello dell’auto avrebbe fatto polpette di un mucchio di produttori; si sapeva insomma che a governare il settore sarebbe stato un pugno di big, e basta. Fiat, per quanto grande, anzi addirittura sovrastimata rispetto al Paese in cui è sorta e opera, è pur sempre un’azienda di medie dimensioni se confrontata ad altre Case nello scenario mondiale. Il fatto poi che in questo ultimo periodo si siano moltiplicate alleanze internazionali, ha dato l’accelerazione fino al risultato che abbiamo sotto gli occhi.

In altre occasioni Fiat si era confrontata con gli americani: a metà degli anni Ottanta, per esempio, corse (e vinse) contro la Ford per accaparrarsi l’Alfa Romeo dismessa dall’Iri. E già in precedenza aveva sondato il terreno per un’alleanza con un partner straniero. Ogni tentativo andò però fallito sulla questione di chi avrebbe comandato. Per Agnelli e il management di Corso Marconi prima e del Lingotto adesso si trattava di una questione vitale.

“Finchè vivrò io la Fiat non si venderà”, ha sempre ripetuto Gianni Agnelli. Oggi non si può dire che abbia venduto, ma certamente è dovuto scendere a patti di fronte alla globalizzazione dei mercati che rende imperativo allearsi con qualcuno. Ora l’Avvocato dice: “abbiamo rispettato due obiettivi, che sono un alleato forte e il rispetto della nostra autonomia”; e il presidente Paolo Fresco di rimando: “possiamo controllare il nostro destino”.

Evidentemente è stato proprio questo il fattore che ha fatto propendere per General Motors a sfavore di DaimlerChrysler: con i tedesco-americani Fiat non sarebbe stata certa della propria autonomia e poi, dopo il recente accordo di Daimler con i giapponesi di Mitsubishi, avrebbe rischiato di rimanere isolata. Nonostante tutto, però, almeno per ora resta l’incertezza su cosa comporterà effettivamente la cessione del 20% della Fiat Auto: per esempio, chi deciderà la strategia della produzione, chi farà la politica commerciale internazionale, chi la ricerca scientifica?

Ma attenzione: Fiat non è rimasta a corto di cose da dire. Al gigante di Detroit porta in dote le sue utilitarie, il design, la progettazione, la presenza (più o meno forte) nei mercati emergenti come la Russia, la Polonia, l’India, in prospettiva anche la Cina (con cui sono da tempo stati siglati degli accordi), il Brasile. In cambio, riceverà la password per condividere enormi risorse finanziarie per competere con gli altri big sul terreno europeo. A detta di molti, sarà proprio l’Europa, infatti, il campo di battaglia su cui si misureranno le nuove alleanze.

Soldi, soldi e ancora soldi. Servono quelli anche ai grandi Gruppi come Fiat. Oggi, a guardare in retrospettiva, ci sarebbe da fare un bilancio anche sul ruolo che ha avuto Mediobanca nella gestione degli interessi delle grandi famiglie del capitalismo italiano. Qualche osservatore nota infatti il limite di una certa ingegneria finanziaria che ha caratterizzato il nostro panorama dal dopoguerra a oggi e parla di protezionismo proprietario. La Fiat è stata, sì, al riparo da scalate e incursioni nemiche, ma sarebbe stata privata di quella agilità finanziaria che l’avrebbe forse messa in condizioni di andare lei a comprare e non di essere comprata. Questo detto brutalmente. Ma e’ la sacrosanta verita’, per chi segue i mercati finanziari.

Qual è oggi la situazione dell’impero degli Agnelli? Gli eredi di quel Giovanni senatore, che nel 1899 fondò la Fabbrica Italiana Automobili Torino, sono 143, dei quali 75 appartengono al ramo diretto Agnelli e 68 a quello dei cugini Nasi. Il cuore di tutto sta nella Accomandita Giovanni Agnelli e C., la cassaforte di famiglia creata proprio per evitare tentazioni verso spinte centrifughe nell’ipotesi di grandi alleanze internazionali e quindi di nuovi assetti di potere.

Da due anni l’Accomandita, di cui Giovanni Agnelli è presidente e il fratello Umberto vice, detiene il 100% delle azioni ordinarie dell’Ifi, finanziaria di famiglia che controlla direttamente e indirettamente circa il 30% della Fiat. Nelle riunioni di famiglia che tradizionalmente si svolgono a Villar Perosa (Torino), residenza dell’Avvocato, da mesi la strada era tracciata. L’importante, come detto, era mantenere le redini. Non a caso nel giugno scorso venne data disdetta al patto di sindacato che stava in piedi da circa sei anni.

Con la disdetta di quel patto che legava Ifi, Ifil, Mediobanca, Generali e Deutsche Bank, è stato costituito invece un patto di consultazione del quale non fa più parte l’istituto di Enrico Cuccia. Ora della Fiat l’Ifi detiene direttamente il 17,75%, mentre il 12,25% e’ nelle mani dell’Ifil, l’altra finanziaria di famiglia presieduta da Umberto, con amministratore delegato Gabriele Galateri.

L’Ifil si caratterizza con la diversificazione. Ha in portafoglio numerose partecipazioni che consentono agli Agnelli di essere presenti nella grande distribuzione con la Rinascente e, attraverso la francese Worms, in tre settori: lo zucchero (Saint Louis Sucre), la carta (Arjo Wiggins Appleton) e la finanza (Permal Group). Ha anche un 4,2% nella Danone. Inoltre Ifil è ben piazzata nel mondo del turismo: in Italia, con Alpitour (che detiene anche Francorosso); in Francia, con Club Med (Ifil ne possiede direttamente il 4,7% ma un altro 19% è in mano al Gruppo Agnelli attraverso l’Exor). Ifil è presente inoltre nel settore bancario (con l’Ifi ha complessivamente circa il 5% del gruppo San Paolo Imi) e recentemente si è lanciata nella New Economy con Ciao Holding che in Internet gestisce il portale CiaoWeb (50% Ifil e 50% Fiat).

E se negli anni Ottanta la parola d’ordine lanciata (anzi: rilanciata) dall’allora amministratore delegato Cesare Romiti era “qualità totale”, sulla scia di quanto già da decenni ispirava il Giappone, oggi per dirla con Paolo Fresco, il presidente venuto (guarda un po’) dall’America, l’imperativo è “best in class”. Il nostro impegno, ha detto recentemente Fresco spiegando la sua filosofia industriale, “sta nel porre tutti i settori in condizione di raggiungere posizioni di eccellenza competitiva, intesa come leadership nei mercati serviti, nella soddisfazione ai clienti e nella creazione di crescente valore per gli azionisti”.

Sotto la regia di Fresco, Fiat ha portato a termine, tra il ’98 e il ’99 più di 30 importanti operazioni, impegnando 12 mila miliardi di lire. Fino a oggi la cessione più grossa era stata quella della Snia Bpd, poi sono stati ceduti pezzi di attività della Magneti Marelli, della Teksid, della Comau, e dismesse o ridotte le partecipazioni in Impregilo, Fisia, Sinport, Gemina, mentre sono in corso trattattive per cedere la maggioranza di Fiat Ferroviaria alla Gec-Alsthom.

Ma questo 20% di Fiat Auto ceduto oggi agli americani di Detorit pesa più di tutto. Da oggi, nel bene o nel male, poche cose saranno più come prima.