Società

Boeri: “abbattere costo del lavoro l’unica strada”

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ROMA (WSI) – «La proposta di Luca Ricolfi va nella nella direzione giusta: bisogna ridurre le tasse sul lavoro più di quanto non sia già stato fatto con il bonus Irpef da 80 euro».

Tito Boeri, docente alla Bocconi, ha dedicato gran parte della sua attività di economista ai temi legati al lavoro.

Professor Boeri, condivide l’impostazione dello sconto fiscale?

«Condivido il principio. Certo, come tutte le proposte, dobbiamo poi valutare bene cosa succederebbe applicandola. Ci sono dei costi e non sono
poca cosa: bisognerebbe
perfezionarla cercando di vedere
in che misura si potranno
trovare le coperture».
Lei dice: bisogna fare più di
quanto non si sia fatto con il
bonus Irpef.

Perché?

«Ho l’impressione che l’effetto
del bonus sia stato limitato
perché gli italiani l’hanno ritenuta
temporanea. C’è anche il
timore che si finisca col coprirla
con altre tasse. Anche su
questo bisogna essere molto
netti: devono arrivare più soldi
nelle tasche delle famiglie».

Lo stesso Ricolfi avverte che l’incentivo deve essere stabile, se no non funziona. Questo convincerebbe le imprese adassumere?

«Penso di sì. Il problema successivo
è evitare che si scateni
un effetto di sostituzione: i datori
di lavoro potrebbero licenziare
dipendenti assunti con il
contratto vecchio per avere lo
sconto su quello nuovo. Vero
che Ricolfi parla di assunzioni
aggiuntive, ma scrivere una
norma del genere potrebbe
non essere facile».

La ricerca dice che, anche con il taglio dei contributi, lo Stato ci guadagnerebbe: crescerebbero le altre entrate fiscali grazie al denaro che gira.

«Un taglio robusto dei contributi
si traduce in pensioni più
basse. Per compensare, bisognerebbe
fiscalizzare il meccanismo:
stabilire che una parte
di entrate diverse dai contributi
va nel sistema previdenziale.
La questione va approfondita.
Certo, rispetto ai sussidi
alla conversione dei contratti
a tempo determinato in
tempo determinato, che rimediano
agli errori del decreto
con cui Poletti ha reso più conveniente il lavoro precario,
questa è un’operazione meno
distorsiva, si rischia meno di
buttare dei soldi».

Il Parlamento ha approvatola
delega per la riforma del lavoro: davvero l’Italia sta cam-
biando passo?

«La legge delega apre la possibilità
di una riforma seria: tocca
assunzioni, contratti, ammortizzatori
e tutele. Introduce
l’idea del salario minimo e il
demansionamento. Tutto sta a
vedere se sarà esercitata bene».

Ha dubbi?

«Non essendo un giurista, non
so giudicare quanto sia esercitabile
una delega così generica
su materie tanto delicate. Il rischio
è che al momento di scrivere
i i decreti attuativi si apra
da capo il contenzioso evitato
con la delega. In quel caso le
imprese resterebbero ancora
nel limbo per chissà quanto
tempo: molti deciderebbero di
attendere».

Qual è il nodo da risolvere?

«Quello del costo del lavoro
per unità di prodotto. Un rapporto
che si può migliorare abbassando
il costo o alzando la
produttività. Questa seconda
cosa non si può fare dall’oggi al
domani, e l’Italia non ha tempo.
Non resta che abbassare il
costo. In modo incisivo».

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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