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America latina: Materie prime, shopping cinese

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La Cina, “affamata” di materie prime, punta ogni giorno di più alle risorse naturali dell’America Latina, dove ormai da tempo compra di tutto: dalla soia al legname, dal petrolio e il rame ai minerali di ferro e di alluminio. L’aggressiva presenza degli uomini d’affari cinesi nel continente sudamericano è al centro di uno studio reso noto a Buenos Aires, in cui si ricorda come tra il 1980 e il 2004 gli scambi Cina-America Latina si moltiplicano per 39, raggiungendo un valore annuo pari a 33 miliardi di dollari. Una crescita da capogiro, in particolare negli ultimi cinque anni, periodo nel quale l’export latinoamericano a Pechino cresce di sei volte, rileva il documento pubblicato dalla Corporacion andina de fomento. Le esportazioni dei Paesi “latinos” nel colosso asiatico non sono diversificate: anzi, il 62 per cento del totale è concentrato in tre settori, cioè minerali, alimenti e oli vegetali. Sulla base dei dati del 2005, aiutati dalle quotazioni che in molti casi sono alle stelle, il Venezuela vende in Cina greggio per 20 miliardi di dollari, il Messico per 18 miliardi, mentre il Cile piazza rame per 5 miliardi e il Brasile vende oli vegetali per 4 miliardi. In questo contesto, per la Cina il Paese chiave è senza dubbio il Brasile che, ricorda il rapporto, “è il principale fornitore di tre prodotti, soia, alluminio e ferro, dei quali Pechino è nel contempo il primo importatore mondiale”. Per una serie di altri prodotti, fra i quali il petrolio e il legname, sono l’Argentina, il Venezuela e il Messico ad avere un ruolo fondamentale nelle forniture a Pechino. A conferma dell’espansione dell’economia cinese, il documento fa notare che “l’export latinoamericano a Pechino non è andato a spese delle vendite in altri Paesi, ma è invece il risultato dell’apertura commerciale della Cina, che ha provocato un aumento netto di tale esportazioni”. Se dal commercio si passa agli investimenti, il ruolo di Pechino, fa notare il rapporto, per ora è molto più limitato, visto che quelli cinesi non superano il 3 per cento del totale degli investimenti esteri che arrivano nel continente. Anche su questo fronte, il Paese centrale nella strategia cinese è il Brasile, dove Pechino scommette soprattutto sulle telecomunicazioni. Il documento esamina inoltre quanto sta accadendo nei Paesi latinoamericani sul fronte del tessile-abbigliamento, dove il “made in China” provoca, proprio come in Italia e in altri Paesi dell’unione europea, il calo dell’export e la perdita di molti posti di lavoro. La competitività cinese è tale che Pechino riesce a sostituire nei mercati statunitensi i prodotti provenienti dai Paesi centroamericani e dal Messico. “Nel tessile, i costi di produzione di un Paese come il Perù sono addirittura il 50 per cento superiori a quelli cinesi”, fatto dovuto a una serie di fattori, fra i quali “il costo della mano d’opera, dell’elaborazione dei filati e dei servizi di base”, si legge ancora: tutti a vantaggio, conclude il rapporto, del colosso asiatico.