Società

VIVA D’ ALEMA
L’ ARISTOBAFFO

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(WSI) – Le premesse sono sempre noiose, ma stavolta devo mettere le mani avanti: a me D’Alema piace. Mi piacciono le sue scarpe costose (Della Valle), le sue vele al carbonio. Mi piace coi baffi, ma mi garberebbe anche senza. Detto questo, la sua intervista “in veste da camera” a Vanity Fair mi sembra un fatale errore. Non avrebbe mai dovuto, a nessun costo, abbandonare i temi politici per avventurarsi nel campo insidioso dell’auto-analisi.

Non serve l’acume del dottor Sigismondo (Freud) per capire che il lider Maximo non si conosce veramente; crede in buona fede di essere “uno di noi”, ma si comporta da aristocratico feudatario. E lo dice pure, con un tocco di candore: sono un uomo dell’Ottocento. E difatti preferisce frequentare lo Yacht Club piuttosto che la bocciofila dei ferrovieri. Anche perché lo Yacht Club è contiguo ai poteri forti e ai banchieri che contano. Chi non ha almeno un Tre-Alberi non è nessuno.

La reporter israeliana Manuela Dviri, che aveva già incontrato D’Alema a Tel Aviv, si stupisce che non porti l’orologio e sia privo di telefonino. «E il computer?» lo incalza. D’Alema risponde che non ha neanche quello, a casa lo usa solo per giocarci e fare il solitario. La signora Dviri, che ha 56 anni ed è coetanea di D’Alema, prova l’affondo: «Ma scusi, come fa di questi tempi a vivere senza cellulare, computer o palmare?». Imperturbabile, don Massimo risponde che cerca di vivere come un uomo all’antica, facendosi aiutare, cercando comunque di non sprecare tempo quando lo si può usare per riflettere o fare cose più importanti.

Perfida, la Dviri non perde l’occasione di colpire D’Alema sotto la cintura, con questo commento femminista: «Trovai la sua idea molto interessante, e tornata a casa comunicai a mio marito che essendo io a un certo livello, e dovendo pensare a cose molto importanti, i piatti di casa d’ora in poi se li sarebbe lavati lui». Io non so chi lavi i piatti a casa D’Alema, se don Massimo o lady Linda, o i figli Giulia e Francesco. Ma una cosa emerge chiara da questa intervista: D’Alema non si conosce a fondo. Ha uno specchio per farsi la barba, ma non per scrutare la propria anima.

Altrimenti non direbbe a un certo punto della confessione: «Fin da piccolo ero motivato, comunista figlio di comunisti e fiero di esserlo, orgoglioso di stare dalla parte degli oppressi, fazzoletto rosso al collo». E allora verrebbe da chiedergli: ma lei con gli oppressi divide solo “Bandiera rossa” e “Bella ciao”, o è disposto a spartire anche le scarpe, le giacche di tweed e le vele al carbonio?

Anche Luchino Visconti, marxista con il tavolo fisso al Circolo della Caccia, mostrava le più nobili attenzioni verso i poveri e i cafoni dei campi, e difatti gli regalava una livrea coi bottoni d’oro e li faceva servire a tavola e potare le rose in giardino. C’è però un aspetto, nella recente metamorfosi di D’Alema, che non può suscitare altro che tenerezza: ha smesso di duellare con Veltroni, scansa le beghe delle fazioni di partito e dirige una Fondazione Culturale. Insomma, si sente ormai un Agnelli o uno Spadolini della Sinistra.

E così c’è chi sostiene che è diventato “buono”: sepolto è il barricadiero dei vent’anni, quando lanciava bombe molotov sui poliziotti e i compagni lo chiamavano “Spezzaferro”. Il miele del benessere lo ha addolcito; hai quasi il sospetto che sogni il titolo di baronetto, per “special merits”, assegnato dalla Regina Elisabetta in persona. Sir Max D’Alemax: sentite come suona bene? Oltretutto ha anche un cane alla moda, un Labrador.

E tuttavia tradirei l’onesto lettore se non ammettessi che in qualche sprazzo della conversazione si ritrova pure il D’Alema doc, quel suo sarcasmo plebeo che me lo fa preferire all’untuoso Prodi. C’è una pagina del suo libro – “A Mosca l’ultima volta” – dove ricorda la imbarazzante etichetta sovietica per i funerali del segretario dell’URSS Andropov: «Fui colto, lì, sulla soglia della camera ardente, da un singulto di riso. Lo dominai mordendomi le guance». Così è, se vi pare, l’aristocratico postcomunista D’Alema.

A diciott’anni somigliava all’infame Franti di “Cuore”, ma ora è diventato pio, e con la “lanterna etica” va a caccia della verità. Riuscirà mai a scoprirla? E, soprattutto, a decifrare la sua vera natura mentre è al timone di Icarus, o quando commenta con Biscardi la Coppa America dai microfoni de La 7?

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