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UNICREDITO: LEADER IN CRESCITA

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Unicredito è la realtà nata dalla convergenza tra lo storico gruppo nazionale Credito Italiano con una serie di istituti locali e casse di risparmio (Rolo Banca, Cariverona, Cassamarca, Casse di Tornino e Trieste, Caritro) ed è stata una delle società che più e meglio ha saputo cogliere le potenzialità aperte sul mercato italiano dalla fine dell’immobilismo del settore finanziario, generato dall’asfittica regolamentazione che aveva imperversato dal 1936 al 1993 (creando la cosiddetta “foresta pietrificata”).

Grazie alle possibilità aperte dal nuovo TUS le banche hanno scoperto il rischio ma anche le potenzialità insite in un meccanismo basato sulla concorrenza nel quale il cliente si trova come elemento centrale di riferimento. Unicredito ha subito capito che per confrontarsi con la nuova realtà bisognava prima di tutto ottenere una massa critica ragguardevole e ha quindi avviato la crescita dimensionale. Ma questo non si è tradotto nella creazione di un mastodonte inefficiente. Anzi, quell’obiettivo di redditività all’11% annunciato cinque anni fa al suo arrivo dall’attuale amministratore delegato (in un tempo in cui la media era stabilizzata per il Roe tra il 3% e il 4%) non solo è stato raggiunto, ma abbondantemente superato con l’attuale 20,8%.

Grazie anche all’integrazione (come con Pioneer Global Asset Management), quando non alla diretta creazione di nuove realtà (Xelion e UBM), il gruppo è riuscito a fronteggiare con successo le maggiori sfide che la realtà in fase di cambiamento del contesto italiano (ma sempre più europeo) presenta. Questo ha fatto si che, nonostante il rallentamento del mercato (e quindi in parte anche dei risultati del gruppo) e il persistere di inefficienze che le maggiori case di valutazione ancora identificano nel sistema bancario del nostro paese, Unicredito riceva l’approvazione e un giudizio positivo praticamente unanime.

La dimensione unita all’efficienza ne fanno sicuramente uno dei gruppi destinati a primeggiare nello scenario bancario pan-europeo e non a caso i principali report fissano per il titolo prezzi obiettivo superiori all’attuale quotazione nell’ordine medio dell’11% (€6 il target di UBS, Morgan Stanley, JP Morgan, €5,8 quello di Credit Lyonnais); fino al picco massimo del 25% di Euromobiliare, che accompagna il BUY con un prezzo obiettivo di €7,33.

L’elevata redditività del gruppo e i multipli inferiori rispetto alla media di settore ne fanno sicuramente un investimento profittevole di lungo periodo, anche se allo stato attuale non è consigliabile una forte presa di posizione. Le ragioni fondamentali sono in primo luogo il quasi ininterrotto recupero messo a segno dal minimo relativo del 22 marzo per un 19% circa; ma anche il fatto che la scarsa visibilità sull’evoluzione macroeconomica (e quindi di mercato) potrebbe comportare un più lento e difficoltoso recupero dei risultati e quindi aprire la strada a temporanee fasi di debolezza. Eventuali correzioni potrebbero invece rappresentare un’ottima occasione per iniziare ad accumulare il titolo, costruendo una posizione di lungo periodo con prezzi di carico sostenibili e in grado di generare un profittevole risultato futuro.

Unicredito rappresenta il successo di un modello di integrazione regionale tra banche che hanno dato vita al secondo gruppo italiano per dimensione misurata sulla massa amministrata (381 mila miliardi di lire tra raccolta e patrimonio), gruppo che, lungi da generare sacche di inefficienza, si è distinto per la profittabilità e i margini superiori alla media che è stato in grado di produrre. Il gruppo non è solo integrato tra diverse realtà bancarie, ma negli ultimi anni ha avviato un’accorta opera di diversificazione sia a livello di business (nel tentativo di cogliere le potenzialità legate ad attività profittevoli e in fase di espansione come quella del risparmio gestito) che territoriale (con l’aggressivo piano di “conquista” del mercato ad elevati margini e potenzialità di crescita dell’Europa dell’Est). Alla base del successo del gruppo la realizzazione concreta di un business plan focalizzato su tre direttrici di sviluppo: la multicanalità; l’attività di merchant banking (attraverso la struttura appositamente messa appunto di UBM – Unicredito Banca Mobiliare); l’espansione e il trasferimento anche all’estero dell’attività di risparmio gestito (specificamente Francia e Germania: mercati grandi e competitivi ma a soddisfacenti potenzialità).

Nonostante la crescita dimensionale non indifferente al gruppo è però mancato un partner di rilievo in grado di proiettarlo a giusto titolo nell’empireo dei player a livello pan-europeo. Ecco perché dopo il mancato conseguimento dell’obiettivo di rafforzamento in Italia con l’acquisto di una partecipazione significativa in BNL e lo stop della Banca d’Italia al rafforzamento dei legami con BBVA, il mercato è tornato a sperare in una operazione di ampio respiro come quella Uni-Intesa. Ma su questo fronte gli ostacoli sono non pochi: non ultimo la stessa Banca d’Italia; ma anche il raffreddamento tra i due gruppi legato all’avvicendamento al vertice delle Generali e alla battaglia per la Montedison.

Ecco perché Unicredito ha escluso per il momento di voler continuare a crescere per linee esterne anche in Italia (abbandonati quindi i progetti Popolare di Lodi e Popolare di Novara), mentre punta la sua attenzione verso l’est europeo. Qui gli obiettivi sono l’espansione attraverso l’acquisizione della Zagrebacka in Croazia e della Komercni nella Repubblica Ceca; realtà che si andrebbero ad affiancare alla presenza di rilievo che Unicredito vanta in Polonia con Bank Pekao, in Croazia con Splitska, in Bulgaria con Bulbank e in Slovenia con Pol’nobanka.

Piuttosto a poter rappresentare un problema, se non già una minaccia, il nuovo profilo strategico che potrebbe assumere l’azionista-partner tedesco Allianz, dopo l’acquisizione di Dresdner: questo perché ora la nuova realtà si presenta come un potenziale concorrente anche per i propri partner finanziari privilegiati.

Unicredito ha chiuso in maniera più che positiva il 2000, anche se qualche debolezza tipica del sistema si è evidenziata nella prima trimestrale del 2001. Comunque il rallentamento era perfettamente previsto e scontato dal mercato, per cui non ha prodotto sulla quotazione bruschi contraccolpi. Tra l’altro, nonostante una leggera flessione (e in qualche caso la stabilità) dei risultati, i livelli di efficienza e di redditività di Unicredito si mantengono comunque superiori a quelli della media di settore. In particolare va rilevato che il gruppo è riuscito a mantenere un rapporto tra sofferenze e impieghi ancora inferiore alla media del settore (3,84% contro il 5,68%) e questo nonostante le altre realtà abbiano fatto ricorso a significative operazioni di cartolarizzazione.

In più, sebbene, come tutte le realtà anche solo parzialmente attive nel risparmio gestito, il gruppo abbia subito gli effetti negativi che su quest’area di business sono stati prodotti dal rallentamento del mercato (-10,2% le commissioni nette), ha più che compensato (grazie a UBM per il settore dei derivati per medie e grandi imprese e a TradingLab per i derivati al retail) la contrazione (+78,7% i proventi da operazioni finanziarie). Se nella raccolta diretta la quota di mercato si è mantenuta quasi sostanzialmente stabile (leggera la flessione) sia a livello tendenziale che in rapporto all’intero 2000; nella raccolta indiretta il summenzionato effetto di rallentamento dei mercati ha prodotto un conseguente ristagno sia nell’amministrato che nel gestito. Il contesto di mercato non è stato comunque di ostacolo al proseguimento dei positivi risultati sul fronte della raccolta dei prodotti assicurativi, a conferma del ruolo di leadership che Unicredito si è conquistato in questo settore. La società non ha trascurato l’apporto positivo che internet è in grado di generare sul settore bancario, e oltre ad aver avviato una partnership stabile (con acquisto di quote) con il portale dell’Espresso Kataweb, ha riprogettato lungo tutto il 2000 in chiave di rete web i servizi di finanza personale destinati al retail con la nuova sim multicanale Xelion.

Il 28 maggio Unicredito ha presentato alla comunità finanziaria il suo primo bilancio ambientale e sociale, che dovrebbe rappresentare non solo un veicolo di comunicazione esterna, ma anche uno strumento interno di corporate governance, ma soprattutto di collante per l’identità aziendale di un gruppo così composito. Unicredito sta prestando ormai da tempo sempre maggiore attenzione non solo agli azionisti, ma anche in generale a tutta quella categoria di “portatori di interessi” che vengono identificati con il titolo di stakeholeder. L’operazione, che presenta indubbi vantaggi in termini di immagine e quindi di potenziamento e miglioramento dei rapporti e delle relazioni con la clientela e con gi attori principali del contesto di riferimento, non rischia comunque di rappresentare un momento di “perdita” di valore economico a favore di altri obiettivi: Unicredito è e resta una società orientata al profitto. L’obiettivo è di ottenere questo profitto secondo vie sempre più “politicamente corrette”. Ecco perché dopo essere balzata nel ’99 in testa alla classifica dei finanziamenti all’export di armi (attività che il Credito Italiano ha ereditato dall’azionista Iri), e dopo le polemiche che ne sono seguite, la società ha annunciato il proprio progressivo ritiro da quell’attività. La perdita in tal senso per Unicredito è contenuta (basta confrontare i 1.247 miliardi di lire coinvolti con i 381 mila miliardi complessivi di attività gestite per avere l’ordine corretto di valutazione), ma il ritorno va oltre l’immagine. Unicredito si apre infatti così da “primo entrante” la ricca strada dei fondi etici e di business come quello dei green bond (strumenti di raccolta per finanziare la certificazione ambientale) o dei prodotti come FormulaA (credito agevolato per PMI che vogliono adeguarsi al protocollo di Kyoto). Ma il maggior ritorno sarà proprio quello dei fondi etici USA britannici (67 iniziative presentate pari al 7% della raccolta totale in GB). Le cifre sono sicuramente destinate a crescere non solo perché molti fondi hanno già dichiarato che investiranno solo in società con un rating sociale e ambientale, ma anche visto che entro l’estate partiranno quattro indici etici del FTSE. Non a caso Unicredito è quotata già da un anno al Dow Jones Sustainability Group Index.

*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo
Banca Popolare di Vicenza.