Società

UN DPEF BELLO
E IMPOSSIBILE

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il Governo ha presentato un Documento di programmazione economica e finanziaria bello e impossibile. Bello perché chiaro nei toni, ben argomentato e con molte tesi largamente condivisibili. Impossibile perché molto ambizioso nei saldi, ma troppo parco di particolari sugli strumenti per raggiungere gli obiettivi.

Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
link INSIDER

Prevede nel 2007 ben 35 miliardi di aggiustamento: 20 per riportare i conti sotto i parametri europei e 15 miliardi per lo sviluppo. A legislazione vigente il disavanzo del 2006 è pari al 4,0 per cento, inferiore alla forchetta 4,1-4,6 stimata dalla due diligence a metà giugno. Bisogna riconoscere che il buco di bilancio nel passaggio di legislatura è stato contenuto: 5 miliardi in più rispetto alla Trimestrale di Cassa presentata dal governo precedente. È una buona notizia per il contesto istituzionale e per il ruolo giocato dall´informazione economica nel paese.

Ciò non toglie che la situazione dei nostri conti pubblici sia grave. Basta guardare all´avanzo primario al netto del ciclo e delle misure una tantum. È la misura utilizzata in sede europea per negoziare le manovre di rientro. Il Dpef mostra che dal 6 per cento del 1997 si è azzerato nel 2003, riportandoci alla situazione drammatica del 1992. Oggi siamo allo 0,8 per cento. L´obiettivo del governo di portare questo avanzo corretto al 2,6 nel 2007 e al 5,2 a fine legislatura implica una inversione a U. Saremo capaci di farla? La correzione prevista per il 2007, rispetto al disavanzo tendenziale, è pari a 1,3 per cento del Pil, vale a dire circa 20 miliardi di euro.

Ma potrebbe non essere ancora sufficiente. Basta leggere la stima della spesa tendenziale a legislazione vigente: il governo prevede una riduzione delle retribuzioni in valore assoluto e una crescita dei consumi intermedi di poco più dell´1 per cento. Sono ipotesi troppo ottimistiche. Anche se la stima sulle retribuzioni è concettualmente corretta, in quanto applica il blocco del turnover delle passate Finanziarie e l´indennità per vacatio contrattuale, è evidente che i dipendenti pubblici esigeranno un rinnovo contrattuale adeguato. In Finanziaria sarà necessario trovare altre risorse, che si aggiungeranno ai 20 miliardi da individuare.

Pochi i dettagli su come si raggiungeranno questi obiettivi molto ambiziosi. Nulla o quasi sulle entrate. Qualcosina sulla spesa. Sulla sanità si accenna a un ritorno ai ticket. Sulle pensioni, al perseguimento di equità attuariale, che implica ridurre gli importi delle pensioni per chi dovesse andare in pensione prima dei 65 anni. Avrà il governo il coraggio di imboccare questa strada? Oltre ai 20 miliardi e più per correggere la finanza pubblica, il governo intende reperire altri 15 miliardi per le politiche di sviluppo, principalmente per finanziare il taglio del cuneo fiscale e contributivo. Questo verrà ridotto solo per i contratti a tempo indeterminato senza toccare i contributi previdenziali. Probabilmente si intende percorrere la strada di una riforma dell´Irap, che riduca fortemente il prelievo sul costo del lavoro. Per i contributi sui contratti atipici, si intende aumentare il peso contributivo dei lavoratori a progetto non professionistici. Si tratta di scelte largamente condivisibili.

Se nei conti pubblici siamo tornati al 1992, nella competitività siamo ai livelli del 1994. Il Dpef vuole anche oggi coniugare risanamento e crescita. Tecnicamente, si tratta di un tentativo di utilizzare simultaneamente il freno e l´acceleratore. Non è un compito facile. Il rischio è che le due misure, dal punto di vista della finanza pubblica, si annullino, e che si rimanga fermi e coi conti pubblici dissestati, come puntualmente avvenuto negli ultimi due anni della scorsa legislatura.

Nell´unica esperienza di successo che possiamo vantare nell´uso di freno e acceleratore, quella di metà anni Novanta, le politiche di sviluppo erano attuate attraverso la svalutazione del tasso di cambio e una politica dei redditi. Il taglio del cuneo fiscale può essere il sostituto di una svalutazione, ma, a differenza di questa, peggiora i conti pubblici. Come una svalutazione competitiva, rinvia soltanto i problemi di fondo. Per farcela non bisognerà cedere sulle liberalizzazioni, ma ampliarne il raggio intaccando le rendite dei monopolisti dell´energia, vera palla al piede della nostra economia. Utile anche riformare la contrattazione per quanto spetta al governo: nel pubblico impiego, con salari differenziati in base al costo della vita e legati alla produttività.

La versione integrale dell´articolo è su www. lavoce.info