Società

TISCALI: UN LEADER…MA DEL FUTURO

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

La società di Renato Soru è ormai così famosa (o famigerata?) che appare davvero difficile restare obiettivi (se non addirittura negativi almeno in parte) davanti a un titolo che ha avuto un esordio del 1889% (massimo storico del 7 marzo 2000). Tuttavia Tiscali viaggia ormai da tempo su una quotazione ridimensionata tra l’80% e il 90%. Praticamente dalla metà di febbario il titolo staziona in un movimento laterale estremamente contenuto (tra i €14 e i €16,5), senza eccessivi sbalzi; e non è da escludere che Tiscali sarà costretta a lungo a vivere una fase di purgatorio: almeno fino a quando non avrà portato a termine la sua strategia di espansione internazionale e non avrà consolidato e ristrutturato le acquisizioni.

Fino ad allora (e potrebbe trattarsi di non meno di un paio di anni, se non di più…) i margini continueranno ad essere sotto pressione, la redditività eccessivamente sacrificata e la quotazione soggetta alle flessioni legate a nuovi aumenti di capitale (tipici della società per finanziare le acquisizioni via carta-contro-carta) e scadenze del vincolo alla rinegoziazione delle azioni (lock-up). In questa fase risulteranno più profittevoli i competitor maggiormente orientati alla creazione del valore nel breve e al consolidamento del business.

Tiscali è attiva nel campo degli ISP (Internet Service Provider) ed è oggi il secondo operatore a livello europeo dopo T-Online (7 mln di clienti attivi contro gli 8 mln dell’ISP tedesco). Ma la società sarda appare difersificata, operando infatti non solo nel business degli accessi ma anche anche nel traffico voce, nel business dei servizi. I concorrenti diretti sono le francesi Wanadoo e Liberty Surf (recentemente acquisita da Tiscali), l’italiana Seat Pagine Gialle (attraverso l’apporto di Tin.it), la spagnola Terra Lycos e l’Americana Aol. La maggior parte di queste società ha ancora un ritorno sul capitale negativo (Tiscali nell’ordine del 3,89%, rispetto a punte negative del –38,95% di Liberty Surf e positive di Seat con +20,33%); ma tra i titoli legati a internet gli ISP sono oggi (ed è prevedibile che saranno domani) quelli a maggiore capitalizzazione, che in media generano profitti più di quanto non brucino risorse e hanno la crescita del giro d’affari maggiore.

La sovraperformance rispetto alle società che offorno servizi, ai content provider, ai titoli delle infrastrutture, del software o dell’e-commerce è garantita dal fatto che stanno ridisegnando più rapidamente e in modo più definito e focalizzato il business, incrementando le vendite a fronte di significative riduzioni dei costi.

In questo scenario Tiscali presenta alcuni vantaggi strategici che potrebbero però nel breve-medio periodo appesantirla e rappresentarne dei limiti, anche in realazione alla strategica variabile “tempo”. Tiscali si è infatti impegnata in un’ampia campagna di acquisizioni in modo da entrare in tutti i mercati europei con un ruolo di leader o co-leader (nei primi tre posti) e questo sicuramente le ha fornito la massa critica necessaria per renderla un player globale; tuttavia la criticità di questo modello di espansione è legato alla razionalizzazione della strutture (con conseguente creazione di sinergie di costo) e alla capacità di generare profittabilità, aggreggando realtà che non siano diluitive in termini di ritorno e utile per azione (EPS). Al momento non è questo il caso di Tiscali, che, come lo stesso caso di Liberty Surf esemplifica, ha inglobato realtà con margini operativi negativi (vedesi le recenti World Online, Serf EU, Viag, On Line, Excite…) che hanno finito con l’appesantirne la struttura di rapporto tra costi e ricavi; e questo proprio in un momento in cui la società aveva invertito in senso virtuoso la propria struttura di bilancio.

Inoltre spesso queste operazioni sono condotte in mercati grandi ma poco interessanti (in Francia i margini di telefonia e accesso per gli ISP sono praticamente negativi, mentre in Germania i prezzi del traffico internet diminuiscono del 50% ogni tre mesi). Nonostante quindi la confermata volontà da parte del management di raggiungere il break even del fatturato (punto di attivo di bilancio) entro la fine dell’anno, proprio le dichiarazioni nel senso del proseguimento della campagna acquisti di questi giorni lasciano nutrire qualche dubbio sul conseguimento degli obiettivi. E in un momento in cui già broker come Lehman mantengono un giudizio SELL sul titolo, il mercato (e quindi la quotazione) non necessitano certo di contraccolpi negativi.

E’ indubbio che in un mercato che diventerà sempre più maturo l’effetto di superamento della molteplicità di operatori e della parcellizzazione del business giocherà a favore dei grossi player. Tuttavia non poco dovranno soffrire quelli (come Tiscali) che si avventureranno sulla strada della massa critica e gli investitori che saranno disposti ad accumularne i titoli. Questo non solo perchè Tiscali nello specifico è nel pieno del suo ciclo degli investimenti e il modello di business in fase di riorganizzazione (sia a livello specifico che in generale di mercato), ma anche perchè alcune delle scelte di struttura potrebbero vivere fasi di pressione dei margini.

Tiscali ricava allo stato attuale più della metà delle proprie entrate dai servizi di accesso, la cui remunerazione attraverso le reverse interconnection subirà l’impatto negativo del diffondersi di un modello di tariffazione sempre più impostato sul flat. Altri business, come quello della pubblicità e del traffico voce sono o previsti essere a crescita irrilevante in termini di incidenza sul bilancio o in fase così avanzata e matura da non garantire margini adeguati. La scelta di essere molto selettivi nel B2C (evitando scelte che implichino gestioni fisiche di stock di magazzino) risulta sicuramente premiante, ma gli introiti generali di scarso impatto sulla totalità del risultato. Questo vuol dire soprattutto, tirando le somme che, se il trend dell’EBITDA (margine operativo lordo) non si rivelerà in linea con le attese della stessa società, non risulteranno sostenibili neanche gli attuali livelli di valutazione. In particolare già da questo primo trimestre i ricavi totali sono risultati in flessione, anche se considerati al netto degli arretramenti maggiori (e cioè quello dei servizi business e del traffico voce).

In effetti a livello di bilancio il primo trimestre ha mostrato una netta ripresa dell’EBITDA (da –€139.5 milioni a –€58.1 milioni), ma il risultato è da imputarsi fortemente all’accorta opera di controllo dei costi (specie su World Online), in particolare spese per personale (-53%) e per marketing (ben –61%). Se anche la riduzione degli impiegati fosse proporzionale a una struttura più snella ma senza perdite di efficienza, resta difficile immaginare che la società riesca a portare avanti (come annunciato) una buona penetrazione in nuovi mercati (spesso altamente competitivi) dopo le acquisizioni senza effettuare le debite spese pubblicitarie e di riposizionamento del marchio.

Oggi Tiscali si trova a dover fronteggiare molte sfide, come quella sull’ADSL, che la società intende condurre attraverso accordi di condivisione del network (come dimostrano i contatti in tal senso nel mercato tedesco). Ma le principali sono probabilmente quattro. Prima di tutto la capacità di omogeneizzare le varie attività e le varie realtà acquisite in un unico modello di business, che sia al contempo globale ma abbia la flessibilità dell’adattamento alle specificità delle realtà locali. La possibilità di mettere in piedi una strategia a livello di media (e quindi di portale) che porti crescenti margini in termini di ricavi. Sul fronte del bilancio l’obiettivo più complesso sarà il conseguimento del target del break-even del fatturato senza imporre un eccesso di sacrificio in termini di crescita di EBITDA e ricavi. Ma molto dipenderà anche dalla capacità di passare da un modello gratuito a uno a pagamento nell’accesso, in modo che, tramite la riconversione, si possa monetizzare la massa delle sottoscrizioni.

Poichè la società è cresciuta molto in termini dimensionali come ISP ma non ha effetuato spese consistenti in termini di acquisizione dei contenuti la sfida media appare una delle più difficili e il portale uno degli elementi a rischio. Il fatto di non possedere i contenuti implica anche il mancato diretto possesso degli utenti e quindi inevitabilmente ritorni con margini inferiori per l’impossibilità di applicare una stretegia coerente con il proprio modello di ricarico dei costi.

Tra le scelte discutibili della società c’è sicuramente quella di puntare al break-even spingendo sulla leva dei costi invece di muoversi in linea con i concorrenti che stanno puntando sullo sviluppo di maggiori flussi di margini di ritorno. Non vorremmo che Tiscali mancasse del dovuto tempismo e si presentasse impreparata ad affrontare le nuove sfide. Ma oggi uno dei rischi di breve periodo maggiori è legato alle scedenze del lock-up. Il 27 Maggio ve ne sono due, entrambe relativi a 4,3 milioni di titoli; ma il grosso della massa dovrebbe essere riversato sul mercato a settembre (196.5 milioni di azioni), fino a concludersi con altri 8,6 milioni a gennaio 2002. Per avere un ordine di idee dell’impatto basti pensare che da inizio anno la media di titoli trattati al giorno per Tiscali e di 3 milioni di azioni.

(Vedi anche Tiscali: in vista due anni di purgatorio)

*Donatella Principe è responsabile della ricerca economica presso il centro studi del Gruppo
Banca Popolare di Vicenza.