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TFR, SOLO DISINFORMAZIONE

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero di Asterisco, Associazione Tutela
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(WSI) –
La controriforma della previdenza complementare costerà molto cara a coloro che daranno retta agli esperti cialtroni, economisti e finanzieri, chiamati dalle grandi testate giornalistiche ad informare i giovani e vecchi lavoratori che, entro giugno, dovranno decidere se destinare il trattamento di fine rapporto ai fondi oppure trattenerlo in azienda o presso l’INPS.

Non c’è distinzione politica, tutti sono d’accordo, sindacati confederali compresi. Ai giovani lavoratori, assunti dopo il 1993, conviene trasferire interamente (non è stata data altra possibilità) il TFR ai fondi pensioni o assicurativi. La discussione verte solo su un’interpretazione della legge, inaspettata, che danneggerebbe grandemente i futuri aderenti alle pensioni complementari. Il problema riguarderebbe coloro che non esercitano l’opzione. Quelli che se ne stanno zitti. La legge prevede il silenzio assenso. Vale a dire, che il TFR di costoro, nonostante il silenzio, finirà in un Fondo complementare, probabilmente di categoria, nella peggiore delle ipotesi (secondo loro), gestito dall’INPS.

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Quello, che secondo i commentatori non va, è una sorta di discriminazione di cui sarebbero vittime i non optanti. Il TFR di costoro dovrebbe finire in una linea di gestione che, ahimè, garantisca almeno la restituzione dei contributi versati, e che sia tale,da consentire in un orizzonte pluriennale almeno la rivalutazione di legge, cioè il 75% dell’inflazione più l’1,5% annuale. Gli esperti di turno scrivono sul Corriere Economia, inserto del Corriere della Sera dell’8 gennaio 2007. Concludono il discorso sostenendo che i non optanti dovrebbero in seguito spostarsi inevitabilmente su linee più rischiose, facendo sottendere che è meglio praticarle subito.

In altri giornali si legge, che un Fondo complementare, non ha la possibilità di garantire linee che assicurino il rendimento di legge previsto attualmente per il TFR, per una questione di costi e che quindi l’unico modo per garantirsi una pensione complementare decente è l’investimento del TFR in una linea rischiosa, che naturalmente, essendo a rischio, non può assolutamente garantire la restituzione dei contributi versati. E’ lo stesso concetto ribadito dal Corriere Economia.

Riepiloghiamo: lasciare il TFR in azienda o non esercitare la scelta sarebbero i comportamenti peggiori perché il rendimento dei contributi versati sarebbe effimero; molto meglio invece investire in una linea a rischio perché, anche se la restituzione del capitale versato non è garantita, il rendimento sarebbe maggiore. Nel ragionamento c’è qualcosa che non Va. Com’è possibile che con rendimenti più alti non si garantisca la restituzione dei contributi versati?
Solo dei cialtroni interessati possono sostenere spudoratamente una simile tesi.

La verità è un’altra. La legge sui fondi complementari è stata fatta esclusivamente in favore dei mercati internazionali, assetati di soldi perché pieni di debiti. I quasi 20 miliardi di euro che si prevede finiscano nei mercati finanziari costituiscono certamente una boccata d’ossigeno, però si deve evitare ad ogni costo la restituzione totale di questo finanziamento. L’unico mezzo è la gestione a rischio.

Vi siete mai chiesti come mai si misuri solo il debito pubblico? Perché centrodestra e centrosinistra litighino per attribuirsi i meriti della sua diminuzione? Perché non si parla mai di debito privato? Perché il debito privato non ha limiti? E sì che è dimostrato che il fallimento dei mercati finanziari può causare danni irreparabili all’economia e sfociare perfino in guerre mondiali. Però non si possono prendere provvedimenti. I mercati finanziari sono intoccabili. Vanno fatti crescere all’infinito.

La sola esperienza italiana trentennale di Fondi è quella dei cosiddetti Fondi Lussemburghesi, sorti intorno agli anni 70. Bisognerebbe chiedere ai sottoscrittori di quei fondi che fine hanno fatto i loro soldi. Per saperlo basta poco. Confrontate i titoli di un listino della borsa italiana degli anni 70 con il listino attuale. Che fine ha fatto gran parte dei titoli considerati allora i più sicuri? Guarda caso sono spariti. Italsider, Terni, Finsider , i big dell’acciaio, Carlo Erba e altri big farmaceutici, Chatillon, Snia, Rossari e Varzi e altri tessili, per non parlare degli ex colossi della chimica (Montedison, Anic, ecc.) o di quelli immobiliari (Immobiliare Roma per esempio). Tutti spariti dai listini per perdite colossali, senza però influenzare gli indici generali.

Per finire un consiglio disinteressato da chi si è sempre interessato di mercati finanziari. Tenetevi stretto il TFR tra i denti, altrimenti oltre ai danni di una controriforma delle pensioni che ai giovani eroga solo un terzo dell’ultimo stipendio, anche la beffa di vedersi ritornare (forse) una piccola parte del TFR versato. E soprattutto, attenti perché fra poco sarete investiti da un branco di lupi famelici che farà squillare i vostri telefoni e verrà a bussare alla vostra porta per convincervi che fate sempre in tempo a versare il TFR nei loro fondi, che sono i più sicuri e migliori del mondo.

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