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SILVIO: ADESSO PARLO IO

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(WSI) –
Ha appena salutato la figlia Eleonora, in partenza per un periodo di studio. «Ti prende un qualcosa qui», dice Silvio Berlusconi, roteando la mano all’altezza dello stomaco. «Fa sempre uno strano effetto quando una figlia va via e sai che per un bel po’ di tempo non la vedrai. Però, devo dire che è davvero molto brava».

Le avrà fatto le solite raccomandazioni, quelle del perfetto papà. Posso immaginarmele: stai attenta con chi esci, studia, fai la brava, telefona ogni tanto. «Beh, certo che gliel’ho detto. È mia figlia». «Il problema è che tanto fanno sempre quello che vogliono», gli ribatte Vittorio Feltri. Beviamo l’aperitivo prima di sederci a tavola: Berlusconi, Feltri, Bonaiuti e chi scrive. Guarda com’è il caso: Berlusconi che saluta la figlia studentessa e Feltri che prima di entrare nella villa del Cavaliere fa gli auguri alla sua, di figlia. «Oggi ha un esame».

Quando Feltri riaccenderà il telefonino, un messaggino lo farà sorridere: “Ho preso trenta”. «Tutti trenta: seconda laurea, eh…», dice orgoglioso. Gratta gratta, siamo tutti uguali. Anche un ex presidente del Consiglio, anche il direttore più politicamente scorretto, si perdono in un brodo di giuggiole quando parlano delle loro tuse. Il guaio è che mi tocca rovinare il quadretto, perché l’intervista mica la posso scrivere tutta sui figli. Mi piacerebbe, ma il figliol prodigo di cui vorrei parlare si chiama Pierferdinando Casini. Lo ha detto anche a Libero: «Berlusconi non può più essere il candidato presidente del Consiglio». «Accetto anche stavolta il consiglio del direttore Feltri: lavorerò per ricucire. Come ho sempre fatto. Ho avuto tanta pazienza in questi anni: credo che tutti me la debbano riconoscere. Ma non dipende solo da me: l’unità del centrodestra la si costruisce insieme».

Mentre il Cavaliere parla, sul tavolo plana l’ultimo sondaggio prodotto dalla società americana, quella che in campagna elettorale tutti prendevano in giro perché lo dava in costante rimonta. «Silvio dà i numeri», sfottevano a sinistra. La notte del 10 aprile quelle risate sarebbero diventate bocche cucite. Ora nessuno scherza più sui numeri di Euromedia Research. E se sta scritto che il 58,4 per cento degli elettori ha fiducia in lui e che al contrario Prodi ne ha solo il 30 per cento, conviene crederci. E se il centrodestra vola al 52,2 per cento senza l’Udc di Casini (con lui farebbero il 57 per cento) contro il 42,5 del centrosinistra, è meglio ragionarci su. «In questo momento noi dovremmo stare schisci, zitti, fermi. E soprattutto uniti».

Invece Fassino l’altro giorno ha avuto gioco facile nell’infilzarlo laddove il Cavaliere più soffre: le divisioni nella Casa delle Libertà o di quel che resta. «Fuori dal Palazzo, c’è un popolo delle Libertà che ci chiede di stare uniti. I nostri elettori hanno già superato le distinzioni di partito, si sentono uniti nei valori comuni. Sono più avanti dei protagonisti politici, ecco perché dobbiamo dare loro una risposta». Ci tornerà più volte, Berlusconi, su questo Popolo delle Libertà. Ma tra gli scenari futuri e la stretta attualità resta il fatto che il centrodestra è andato alle consultazione del presidente della Repubblica diviso, ognuno con una sua posizione.

E le elezioni le ha chieste solo la Lega. «Non è mica vero: anche Forza Italia ha chiesto al Capo dello Stato elezioni anticipate. Le abbiamo chieste perché ci sembravano e ci sembrano ancora oggi la soluzione più lineare». Allora chi non vuole le elezioni? Feltri gli ricorda la legge dei due anni, sei mesi e un giorno: il tempo di maturare la pensione. Ma quanto è fondata questa cosa? Neanche Berlusconi sa dire se sia vera oppure è leggenda. «Facciamoci spiegare da Schifani, se è vero che la pensione si ma- tura a metà mandato più un giorno». Tocca al capogruppo di Forza Italia al Senato svelarci la verità della cadrega. «La regola dei due anni, sei mesi e un giorno vale soltanto per chi è alla prima legislatura», ci dice Schifani.

Quello è il termine minimo per maturare la pensione, che comunque non potrebbe essere percepita prima dei 65 anni. Ci prendiamo gusto e domandiamo a Schifani: quanto prendono? «Tremila e cento euro lordi al mese, netti fanno duemila e duecento». E qual è la percentuale delle matricole al Senato? «Il 36, 5 per cento». Sono questi che bloccano il voto anticipato, allora. E che sostengono trasversalmente Prodi in qualche modo. «No, il nodo è politico». È la legge elettorale, il “porcellum”? «Sfatiamo anche quest’altro falso mito. Non è vero che se andassimo a votare con la legge attuale, anche il centrodestra sarebbe nelle stesse condizioni del centrosinistra. Noi ora, dopo la cattiva prova del governo della sinistra i voti ce li abbiamo e quindi avremmo una maggioranza ben più consistente. Anche al Senato, certo».

Allora se va bene così com’è, perché tanto affanno per cambiare la legge? Il dubbio che sia una polpetta avvelenata del centrosinistra, che con la scusa di riformare questo e quest’altro alla fine vivacchia, è grande. «Basterebbe poco per migliorare l’attuale legge. Basterebbe riportare il premio di maggioranza anche al Senato, com’era nel progetto originale, su scala nazionale anziché regionale, come invece accade ora, e aggiungere un quorum del 4 o del 5 per cento. Quanto al dialogo sulle riforme, vi garantisco che nessuno ha intenzione di regalare tempo al governo Prodi». Le aperture sulle maggioranze variabili sembrano non interessare il Cavaliere. «No, no. Oggi non ci sono le condizioni per fare governi tecnici o di larghe intese. Per quel che ci riguarda, la via maestra resta il voto». Se volere è potere, gli facciamo notare che basterebbe inchiodarli sul rifinanziamento delle missioni militari: perché regalare ossigeno a Prodi? «Quel voto lo dobbiamo per senso di responsabilità verso i militari. So che i nostri elettori sono perplessi perché questa sarebbe una grossa occasione per mandarli a casa, ma come si fa?».

Vox populi: li mandiamo a casa e subito dopo facciamo un decreto che rifinanzia le missioni. Il senso politico che noi diamo alle missioni non ha niente a che vedere con la puzza sotto il naso della sinistra radicale verso i militari. Tutti dicono: Berlusconi telefona a Bush, glielo spiega e Prodi va a casa. «Se ci fosse l’accordo di tutta la coalizione su una strategia del genere, molti di noi sarebbero disposti a prenderla in considerazione». L’Udc non ci starà di sicuro. «L’opposizione non può essere efficace se non ritrova la sua unità».

C’è però un’altra soluzione: il centrodestra vota sì al decreto ma prima di farlo va dal Presidente Napolitano e fa presente che se quei voti fossero necessari per la sopravvivenza del governo, dev’essere lui a prendere in mano la situazione. «Non mi sembra sia una strada praticabile». Allora teniamoci questa sinistra… E il centrodestra dovrebbe cominciare a pensare a una strategia di più lungo periodo. Quanto può durare? «Nessuno può dirlo. È persino inutile ribadire che sono divisi su ogni punto: è lì, sotto gli occhi di tutti. È però grave che un esecutivo privo di una politica estera condivisa unanimemente possa governare. Non basta però per azzardare stime sulla durata. Il loro unico cemento è dato dall’esercizio del potere e dal favore dei mezzi d’informazione. Nella sinistra resta forte l’idea di dominio politico della società da parte dei poteri pubblici, l’asservimento dei cittadini al potere e allo Stato, l’uso dello Stato come mezzo di omologazione politica».

Gli faccio notare che Maroni con questa sinistra intende dialogarci per fare la riforma elettorale e il federalismo. «Lì per lì, mi ha sorpreso, non lo nego. C’è stato evidentemente un equivoco che si è subito chiarito». Il Cavaliere non intende regalare la Lega alla sinistra. «Il mio rapporto con Bossi si fonda sull’amicizia e sulla lealtà. L’ha confermato lui stesso in una recente in-tervista al Messaggero. In privato poi mi ha rinnovato la sua fiducia proprio l’altro giorno». L’amicizia con Bossi però si scontra con il referendum. «È un non problema, perché ho dato la mia parola a Bossi che sulla legge elet- torale avremmo deciso insieme. Così faremo. Sono stati alleati leali nei cinque anni di governo e io sarò leale con Umberto. Vi dico anche un’altra cosa: sono convinto che questo referendum non si farà».

Legge elettorale a parte, con il Senatur li divide il partito unico o la federazione. Quella federazione che invece un altro alleato, Gianfranco Fini, sollecita. «Che fare? Ben prima delle elezioni, la fondazione Liberal di Ferdinando Adornato aveva lavorato per un manifesto del partito unitario del centrodestra e tutti gli avevano dato la loro disponibilità di massima. Anche alcuni esponenti della Lega sembravano essere interessati. Con l’avvicinarsi della campagna elettorale sono cominciati i distinguo che conoscete, fino ad arrivare alla strategia delle tre punte. Una strategia che, lo ricordo, io ho subìto.Perchè alla fine non ci ha dato la vittoria, un po’ per colpa dei nostri alleati e un po’ anche per quel che è successo quella notte che ho definito degli spogli e dei brogli. Quanto agli errori, ne sono stati commessi dieci “capitali”: dalla mancata abolizione della par condicio alle alleanze non perfezionate per impuntature ora di questo ora di quello. Un errore in meno e avremmo vinto le elezioni, come meritavano i nostri elettori».

Torniamo al partito delle Libertà: si fa o no? «Figuratevi se io non voglio dare una risposta a quel Popolo delle Libertà che il due dicembre ha riempito Roma, dando prova di entusiasmo politico e compostezza di comportamento. È a loro che lo dobbiamo: quel giorno quando sono passato nei punti di ritrovo della Lega o di Alleanza nazionale sono stato salutato con un affetto indescrivibile. Ecco perché continuo a lavorare per superare la coalizione e avviarla verso la federazione. La federazione compatta maggiormente: le decisioni verrebbero prese a maggioranza e nel caso di decisioni delicate a maggioranza dei due terzi».

Uniscono tutti? Bossi l’ha definita una “tonnara” da cui sarebbe impossibile uscire, Casini non ne vuole sentire parlare e anzi lavora per il centro… «Cosa volete che vi dica: raccolgo l’invito di Feltri e continuerò a lavorare con estrema pazienza, confidando nel fatto che tra Forza Italia, An, Lega e Udc c’è un “idem sentire”». E se un giorno Berlusconi si stufasse di tutto questo e iniziasse a godersi la famiglia, le ville e le barche? La prende col sorriso. «A volte uno è tentato. Non faccio proprio una vita da ricco, anzi come ricco sono proprio un disastro: inizio a lavorare alle sette e mezzo del mattino e finisco alle due, due e mezzo, talvolta alle tre di notte. Spengo le luci lasciate accese perché sono stato abituato da piccolo a fare così e poi vado a letto al culmine della stanchezza. Il giorno dopo si ricomincia. Non c’è più teatro, né mostre, né concerti, né cene con gli amici, l’ultimo film che ho visto al cinema è stato Il Gladiatore alcuni anni fa. Mi resta il Milan che però quest’anno è stato ingiustamente penalizzato e che molte soddisfazioni non le dà».

Cosa vedrebbe Sua Emittenza: Shooting Silvio? «Non ho visto Il Caimano di Moretti e non vedrò neppure quest’ultimo capolavoro». Mi sembra chiaro che il leader di Forza Italia non abbia nessuna intenzione di pensare alla sua successione. «Quando mi domandano: chi te lo fa fare? Rispondo che ho un impegno morale con gli elettori, con la metà del paese che ci ha votati, che si fida di me e di noi. Non posso e non voglio deludere il Popolo delle Libertà».

Insomma non c’è spazio per i dibattiti sulle successioni a Berlusconi. «Ho sempre detto: tiratemi fuori un’alternativa che metta d’accordo tutti e io mi faccio da parte e mi limito a fare il padre nobile di Forza Italia. Avverto però che la cosa, stando all’oggi, non è possibile: non ci sono le condizioni. Al contrario c’è l’esigenza di lavorare per non trovarci impreparati nel caso, più che probabile, di elezioni anticipate. Il dubbio sui risultati delle elezioni politiche, il cambio degli equilibri (il partito dei Pensionati di Fatuzzo, per esempio, che non è più nello schieramento del centrosinistra come ai tempi delle elezioni ma è ritornato con noi), la cattiva prova di governo del centrosinistra e soprattutto il fatto che la maggioranza reale del paese è dalla nostra parte, sono ragioni sufficienti perché alla prossima crisi si vada a nuove elezioni».

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