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ROBIN TAX, SCONTRO DRAGHI-TREMONTI

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(WSI) –
L’aumento dei prezzi ha portato in un anno a una riduzione del 3 per cento del reddito disponibile e frenerà del 2 per cento i consumi entro l’anno. I salari sono infatti tornati ai livelli di 15 anni fa, ma i costi del lavoro per le imprese italiane sono invece cresciuti del 30%. Il quadro tratteggiato dal governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nel suo intervento all’assemblea dell’Abi, è tutt’altro che roseo: pur accogliendo positivamente l’intervento sui tassi attuato dalla Bce, sottolinea che permangono pesanti difficoltà che gravano sulle famiglie e le imprese italiane. Ed è scontro con il ministro dell’economia, Giulio tremonti, sulla Robin tax.

Calano i consumi Stando all’analisi presentata dal numero uno di via Nazionale, l’aumento dei prezzi dalla scorsa estate avrebbe portato “fino ad oggi una minore crescita del reddito disponibile di oltre un punto percentuale, che sale a 3 se si tiene anche conto delle perdite di valore reale della ricchezza finanziaria”. Questo “potrà ridurre i consumi di circa 2 punti entro il prossimo anno”. Il governatore di Bankitalia ha, quindi, spiegato che “le retribuzioni unitarie medie dei lavoratori dipendenti, al netto di imposte e contributi in termini reali, non sono oggi molto al di sopra del livello di 15 anni fa”. Ma “nel frattempo il costo del lavoro per unità di prodotto nell’economia è aumento di oltre il 30%, contro il 20% circa in Francia e di nulla in Germania”.

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Secondo Draghi, “questo divario fra la capacità di spesa dei lavoratori e la capacità competitiva delle imprese riflette la stentata crescita della produttività, la mancata discesa della elevata imposizione fiscale, l’effetto dell’inflazione: è alla base della stagnazione della nostra economia”.

Tra le preoccupazioni di Draghi non manca certo la “bolla inflazionistica” legata al prezzo del greggio. A fronte dei continui rialzi, il governatore invita a non ripetere gli errori di politica economica commessi in risposta ai due choc petroliferi degli anni Settanta, quando la politica monetaria inizialmente espansiva aveva destabilizzato le aspettative di inflazione. “Dovette essere seguita da una forte restrizione – ha spiegato il governatore – ne conseguirono, anche a causa di diffuse indicizzazioni un’inflazione persistentemente alta, enormi oscillazioni nei tassi di interesse reali, gravi ripercussioni sull’attività economica”.

Il prezzo del petrolio in termini reali, ha spiegato Draghi, “ha già superato il precedente massimo storico del 1979-80 e il rincaro ancora prosegue”. All’origine, “il forte aumento della domanda di energia che viene dai Paesi emergenti, cui l’offerta fatica a tenere dietro” anche a causa di una rigidità che nasce dalla crescita “dei costi di scoperta e di sfruttamento dei nuovi giacimenti, per la rigidità nella capacità di raffinazione e trasporto, per irrisolte difficoltà geo-politiche”. Ma sul prezzo del petrolio pesa anche l’attuale situazione del sistema finanziario, in cui vige un eccesso di liquidità.

“La diminuzione dei tassi d’interesse reali dalla scorsa estate – sottolinea Draghi – spiega circa un quarto del rialzo del prezzo mondiale del greggio osservato da allora”. Secondo il governatore, “rispetto a trent’anni fa, l’effetto di uno shock petrolifero sulle economie dei paesi consumatori è minore grazie alla maggiore efficienza energetica e alla maggiore flessibilità dei mercati, ma anche grazie alla credibilità acquistata nel tempo dalle politiche monetarie”.

Secondo il governatore della Banca d’Italia, il maggior onere della Robin Tax sulle banche, che aumenterà il costo della raccolta di 10 punti base, potrebbe essere spostato sui clienti (sia sui rendimenti dei depositi che sui costi dei prestiti) oppure sugli azionisti, attraverso i minori profitti distribuiti. “Il provvedimento riguardante l’indeducibilità parziale degli interessi passivi sulle banche equivale a un maggior costo della raccolta di quasi 10 punti base”, ha detto il numero uno dell’istituto di via Nazionale.

“E’ difficile dire – ha aggiunto il governatore – prevedere come quest’onere si ripartirà: in relazione all’evoluzione delle condizioni di mercato, esso potrà ricadere sulle condizioni offerte a depositanti e prenditori di credito, sui profitti distribuiti o sulle risorse accantonate al patrimonio”. Ma il ministro Tremonti non ci sta e punta il dito contro quella “vecchia dottrina” in base alla quale una nuova imposta, se applicata su una impresa si ripercuote sui clienti. Prima invece si tassavano direttamente gli operai. “In questo senso l’imposta ottima è quella applicata sugli operai, che non possono traslarla su altri – spiega il titolare del dicastero di via XX Settembre – siccome negli anni passati di traslazione non si è parlato, significa che incidenza delle tasse è stata da quella parte”.

Plausi alla mossa della Bce Nei giorni successivi al rialzo dei tassi di interesse da parte della Bce “la tendenza all’aumento delle aspettative di inflazione desunte dai mercati finanziari si è arrestata; sembra avviarsi una loro riduzione”. Draghi ha spiegato come con questa mossa i banchieri centrali intendano “contribuire a evitare il rischio che i rialzi dei prezzi internazionali dell’energia e dei prodotti alimentari diano avvio a una rincorsa salari-prezzi” e “riportare gradualmente l’inflazione su valori coerenti con la stabilità dei prezzi nel medio termine”.

Secondo il governatore di Bankitalia, “politiche monetarie espansive, congiunte a uno stato di forte tensione nel mercato del petrolio, sono all’origine della presente difficile condizione economica e finanziaria internazionale”. “La fragilità dei mercati ha trovato origine in un terreno regolamentare lacunoso e si è ampliata per gli incentivi perversi che hanno alimentato la crescita tumultuosa dell’industria finanziaria. Ma la sua radice, come quella della debolezza del dollaro, sta anche in politiche monetarie troppo accomodanti”, ha aggiunto il numero uno dell’istituto nazionale.

La mossa della Bce è stata tempestiva perché, sebbene l’inflazione di fondo sia “più contenuta, i segnali di allarme si stanno infittendo”. E’, però, essenziale che “non si affermi l’idea che il rialzo dell’inflazione sia permanente”. In questo senso la politica monetaria rialzista delle banche centrali trova giustificazione, perchè contrastando il rialzo dell’inflazione “si difende il reddito disponibile delle famiglie”.

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