Società

MERCATI APERTI
ANTICHE PAURE

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*Alberto Alesina insegna ad Harvard, Nathaniel Ropes Professor of Political Economy Chairman, Department of Economics. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Con due cali consecutivi del Pil, l’Italia è entrata ufficialmente in recessione.
Le sue difficoltà congiunturali hanno cause strutturali, tanto da meritargli il poco ambito titolo di « malato d’Europa». Non che le altre due grandi economie continentali, Francia e Germania, scoppino di salute. Tuttavia, nell’ultimo biennio hanno saputo aumentare la produttività dell’industria: + 6,8% la prima e + 9,4% la seconda (0,7% in Italia).

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Quando l’economia non cresce è facile cedere alle tentazioni protezionistiche, di chiusura dei mercati nazionali e difesa dei produttori esistenti (gli insiders) in difficoltà, a scapito di potenziali nuovi attori. Questo tipo di reazione è un boomerang. In passato ha provocato effetti disastrosi: la crisi del 1929 si trasformò nella Grande depressione a causa del ritorno del protezionismo che fece crollare gli scambi internazionali.

Purtroppo la retorica anti liberista serpeggia già e sempre più apertamente nell’Europa che non cresce. In Francia sia chi è a favore del «sì» sia chi propende per il «no» nel referendum del 29 maggio sulla Costituzione europea giustifica la propria posizione come una diga contro il “capitalismo anglosassone”, leggi contro il liberismo. Il presidente Jacques Chirac è il leader dell’anti liberismo europeo: ha guidato la battaglia per impedire di iniettare maggiore concorrenza nei servizi, che sono il nuovo fulcro dello sviluppo nelle economie avanzate.

Il Governo tedesco se la prende con gli investitori internazionali e gli hedge fund come se fossero i responsabili dei problemi economici della Germania, la cui retorica anti liberista fa a gara con quella francese: il presidente della Spd ha di recente paragonato le imprese capitalistiche alle “cavallette” che divorano e distruggono. Nel nostro Paese, la Banca d’Italia è impegnata a difendere le banche italiane dalla concorrenza internazionale, con misure che causano «un danno incalcolabile alla reputazione dell’Italia come serio centro finanziario» (citazione dal ” Financial Times” del 16 maggio). Inoltre, si rimpiangono sempre più apertamente le svalutazioni della lira; analoghe a sussidi alle esportazioni, davano fiato temporaneo a settori industriali non competitivi a scapito dei loro concorrenti europei. Infine, la retorica protezionistica anti cinese è ormai comune.

Tutto ciò non sorprende: alla prima recessione del dopo euro si verifica ciò che i più pessimisti temevano, cioè una reazione di ripiegamento anti europeista. La risposta giusta è l’esatto opposto. Invece di indurre a proteggere imprese e settori in difficoltà, la recessione deve servire da “distruzione creatrice”, cioè a trasformare il sistema economico: i settori e le imprese in declino escono dal mercato per far posto a quelli e a quelle più produttivi e innovativi. Solo così si esce dalla fase negativa del ciclo con un rinnovato vigore. Ciò è esattamente quanto è successo in Usa nei primi anni 80 e nei primi anni 90; quando l’America trovò nuovo slancio nella deregolamentazione reganiana, prima, e, poi, nella rivoluzione dell’information technology che generò una mobilità eccezionale di imprese. Al contrario in Italia il numero dei fallimenti è molto basso, anche in confronto con quello degli altri Paesi europei.

Certo, la “distruzione creatrice” ha costi di aggiustamento. Ma i sistemi di welfare servono appunto ad assecondare i cambiamenti dettati dal mercato riducendone i costi sociali temporanei, come la perdita del posto di lavoro. Se la protezione sociale italiana non è in grado di garantire questa funzione va riformata, e subito. Appellarsi all’inadeguatezza del welfare per proteggere imprese e settori inefficienti impedisce alla produttività di riprendersi, unica strada per uscire dalla recessione durevolmente. Non solo: un welfare inefficace è spesso anche un’autoprotezione degli insiders, nel senso che tutela loro anziché chi ha più bisogno.

Qualche volta è proprio nei momenti di crisi che si genera la capacità politica di fare scelte coraggiose. Nel 1992 di fronte a una crisi finanziaria l’Italia iniziò un processo di aggiustamento dei conti pubblici e di riforma pensionistica. Purtroppo appena la situazione è migliorata un poco, la spinta riformistica si è affievolita. Speriamo che questa recessione dia una spinta in direzione del liberismo, e non verso il protezionismo. Ma nessuno dei due schieramenti politici italiani sembra aver compreso la gravità della malattia italiana e l’urgenza delle cure.

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