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«MATTONE USA? FRENATA SI’,
CROLLO NO»

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) –
Il futuro prossimo dei mercati, da qui al 2007, si gioca sull’immobiliare statunitense. È stato il forte apprezzamento dei valori residenziali a consentire agli americani di spendere, sostenendo i consumi, ben più di quanto la crescita dei redditi personali avrebbe permesso. Una molla che ha messo le ali all’economia e agli investimenti e, attraverso il meccanismo delle importazioni, ha attivato una richiesta di beni e servizi anche in Europa e in Asia.

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Perciò una dinamica di boom-crollo del mattone sarebbe gravida di conseguenze nefaste. Primo, perché la ricchezza immobiliare è quattro volte quella azionaria. Secondo, perché i consumi sono stati alimentati dal rifinanziamento dei mutui. Terzo, perché un gran numero di nuovi posti di lavoro ruota attorno all’edilizia. Borsa & Finanza ne ha discusso con David Berson, vicepresidente e capo economista di Fannie Mae, indiscusso gigante dei mutui ipotecari negli Stati Uniti. Un manager che occupa un ruolo chiave nel settore.

C’è grande apprensione per il futuro dei valori residenziali. Qual è la prospettiva in America?
Su base nazionale ci aspettiamo una contrazione.
Di che entità?
Se dovessi indicare una cifra, direi che il volume delle vendite di abitazioni ha una buona probabilità di calare del 10% quest’anno.

E cosa ve lo fa pensare?
Ci sono diverse ragioni: primo, l’acquisto della casa si è fatto più ostico sia per effetto del rincaro dei tassi sui mutui, sia, e soprattutto, per effetto dell’aumento dei prezzi di vendita. Secondo, l’economia è in rallentamento. Ciò vuol dire un minor impeto nella creazione di posti di lavoro e minore esuberanza da parte delle famiglie. Terzo, la richiesta di appartamenti e seconde case per finalità d’investimento ha già superato l’apice ed è destinata ad assottigliarsi.

Quali sono le regioni più a rischio?
Direi quelle in cui gli acquisti per finalità d’investimento hanno esercitato un ruolo cruciale nello spingere in alto i prezzi. Diverse città in Florida, e alcune in California, Arizona e Nevada.

Lei ha affermato di aspettarsi una contrazione nel volume di abitazioni vendute. Che cosa è in grado di dirci invece sul fronte delle quotazioni?
L’apprezzamento del mattone è stato connotato da tassi di sviluppo a due cifre negli ultimi anni. Questa tendenza è insostenibile nel lungo termine se l’inflazione rimane sotto controllo. E se i trend sono insostenibili alla fine si esauriscono. Noi pensiamo che il 2006 sia l’anno nel quale il trend si esaurirà.

Sta affermando che dobbiamo aspettarci un ripiegamento delle valutazioni?
Non è proprio così. L’esperienza storica americana suggerisce che quando gli immobili crescono troppo per un certo numero di anni, l’aggiustamento successivo prende la forma di un rallentamento, e non di una caduta dei prezzi. Insomma, se l’ascesa naturale dei valori immobiliari è negli Stati Uniti del 4-5% l’anno, la rettifica degli eccessi dovrebbe aver luogo con un rialzo inferiore alla media, diciamo nell’ordine del 2-3% l’anno.

Insomma, niente crollo?
Ci possono essere dei casi di boom-crollo a livello regionale, ma non a livello nazionale. Solo durante la Grande Depressione degli anni ’30, i prezzi calarono un po’ dappertutto. Ma sarebbe assurdo tirare un parallelo fra la Grande Depressione e i giorni nostri.

Quali sono le metropoli più a rischio?
Quelle nelle quali si è costruito troppo in risposta all’accresciuta domanda di appartamenti per investimento.

Nomi?
Non voglio entrare nel dettaglio per non influenzare i mercati, ma in termini generali ho già dato delle indicazioni.

In queste località si aspetta delle discese di prezzo?
Sì, discese nell’ordine del 5-15% in alcuni lustri. Per certi versi potrebbe essere la ripetizione di quanto sperimentato nei primi anni ’90. E come allora, non si tratterà di un dramma nazionale.

Gli esperti fanno notare come le scorte di case siano in rapida accumulazione (cioè case pronte, ma in attesa di passare di mano). Per smaltire quelle già costruite occorrono ora sei mesi e mezzo, mentre in passato ne bastavo quattro o cinque. È un segno grave?
Non ancora. Di solito livelli più elevati, diciamo di otto o nove mesi, sono da considerarsi gravi. L’invenduto è riconducibile soprattutto agli alloggi in condominio, dove, come dicevo, si è addensata la domanda speculativa e per investimento. È lì il nocciolo del problema.

Finora gli americani hanno fatto leva sulla rivalutazione degli immobili per finanziare i consumi. Esiste la possibilità che il meccanismo si inceppi, bloccando la congiuntura?
Una dolce frenata dei consumi è nelle cose. In tale ipotesi io prevedo una decelerazione della congiuntura con la prospettiva di arrivare a un’espansione del Pil al 2-2,5%, in luogo del 3-4% sperimentato negli ultimi anni.

A maggio i mercati finanziari sono finiti sull’ottovolante spaventati dalla stretta monetaria messa in atto dalla Federal Reserve. La paura era alimentata dall’eventualità che saggi eccessivi spingessero in recessione la locomotiva Usa. Lei che ne pensa?
Nessuno ha le idee chiare su questo punto, neppure la Federal Reserve. E la ragione è che i modelli non sono sufficientemente puntuali per determinare con precisione il tasso critico oltre il quale l’edilizia e l’attività produttiva entrerebbero in crisi.

Se ci fosse una recessione nel 2007, il settore delle costruzioni sarebbe in grado di sopportarne le conseguenze?
Dipende dal tipo di recessione. Se parliamo di una contrazione modesta come è accaduto nel 2001, allora, sia pure con qualche scossone, il comparto ha radici abbastanza forti per tenersi in piedi. Nel 2001, la perdita di posti di lavoro fu blanda e non mise in crisi le famiglie. La Federal Reserve, come allora, taglierebbe il costo del denaro con vigore, ridando fiato agli affari e rilanciando gli impieghi finanziari.

Qual è lo scenario peggiore?
Lo scenario peggiore è quello in cui il rallentamento scivola in una brutta recessione per effetto di un qualche shock esterno. Per esempio un’impennata del petrolio a 100 dollari al barile in una manciata di mesi, oppure una mutazione dell’influenza aviaria in forma umana. In un contesto simile sia i lavori edili che il mercato dei mutui patirebbero guai seri.

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