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LA BCE E LA SINDROME CINESE

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*Raj Shant, e’ Portfolio Manager
di Newton Investment Management, di Mellon Global Investment. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – La stampa non è quasi mai tenera nei confronti della BCE.
Negli ultimi anni, anche quando ha tagliato i tassi di
interesse europei a un irrisorio 2%, è stata accusata di non
fare abbastanza per sostenere la crescita. I funzionari della
BCE hanno sottolineato che i tassi di interesse reali erano
effettivamente negativi in alcuni paesi periferici ed molto
bassi persino in paesi come la Germania, per cui la colpa
non è della politica monetaria bensì delle rigidità strutturali
nelle economie. Seguire l’esempio della Fed e ridurre
drasticamente i tassi all’1% non determinerebbe
necessariamente un miglioramento della crescita a lungo
termine, ma porterebbe unicamente a un incremento
sconsiderato del debito.

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La massa monetaria e i prestiti
bancari sono aumentati assai rapidamente e la BCE è
rimasta ferma alla politica del suo progenitore, la
Bundesbank, che considerava la massa monetaria come
un segnale anticipatore di futuri rischi inflazionistici. Questo
la fa sembrare anche una “guastafeste” rispetto ad altre
banche centrali che hanno abbandonato questo tipo di
politica; la Fed è andata addirittura oltre e ha smesso di
pubblicare i propri dati sulla massa monetaria M3.

Non è divertente essere l’unica persona sobria a una
festa…

Il dna della Banca Centrale Europea proviene dalla
Bundesbank. La BCE ha ereditato le proprie caratteristiche
attuali in seguito alle storiche battaglie con l’iperinflazione
in Germania. Battaglie che, tra l’altro, hanno portato alla
nascita del nazionalsocialismo. Di conseguenza, la BCE
ora considera la moneta stabile come un fattore positivo
per tutti. Una moneta instabile, anche se positiva nel breve
termine, causa maggiori problemi nel lungo termine.

Ecco perché la BCE è più preoccupata di tutti per
l’incremento dei prezzi degli attivi nell’area euro. Ad
eccezione del settore immobiliare tedesco, la maggior
parte delle valutazioni immobiliari sono aumentate
improvvisamente, così come i corsi azionari unitamente alle
opere d’arte e beni simili. Secondo la BCE questa è l’altra
faccia della medaglia quando si registrano bassi tassi di
interesse per lungo tempo. Può contribuire a dare
maggiore fiducia ai consumatori e quindi a incrementare i
consumi, ma la BCE non desidera stimolare consumi
alimentati dal debito per sostenere la crescita.

Inflazione? Quale inflazione?

Negli Stati Uniti, l’incremento dei tassi di interesse è stato
presentato come una fase di semplice “normalizzazione”
dei tassi da livelli particolarmente bassi. Nel frattempo, gli
aumenti incerti da parte della BCE hanno attirato diverse
critiche a fronte di un rallentamento della crescita in Europa
e del rafforzamento dell’Euro. Le banche centrali parlano
d’inflazione e alcuni adducono come prova i prezzi dell’oro
e di altri prodotti di base che salgono alle stelle. Ma
l’opinione più diffusa è che in realtà non ci sia nessuna
inflazione.

Sin dalla fine degli anni ’90 si ripete che l’impatto della
globalizzazione (soprattutto il ruolo della Cina) e le nuove
tecnologie (soprattutto Internet) implicano che l’inflazione è
morta. Benvenuti nel nuovo mondo fatto di tassi di
interesse e inflazione perennemente su livelli bassi. Un
mondo in cui i tassi di interesse contenuti porterebbero un
cambiamento strategico nel livello di indebitamento che
un’impresa o una famiglia può assumersi con prudenza
(occorre sottolineare che la crescita fulmina dei settori a
capitale di rischio e private equity si basa su questa
semplice premessa).

La sindrome cinese

Ma anche le tendenze più consolidate alla fine perdono il
loro vigore. Certamente, la Cina sta investendo molto per
produrre merci a buon mercato e poi esportarle verso gli
ingrati mercati occidentali. La Cina possiede molta forza
lavoro conveniente, ma non possiede petrolio, carbone,
gas, sostanze plastiche, metalli ferrosi, alluminio, rame,
ferroleghe, silicio, e così via. Il punto è che un numero
crescente di quei prodotti che sono noti per essere “made
in China” stanno in effetti diventando più cari. L’incremento
dei costi alla fine dovrà essere trasferito sui prezzi. Sarà un
vero e proprio choc per chi di noi è stato abituato ad
assistere a un progressivo decremento dei prezzi,
dall’abbigliamento all’elettronica.

Questa “sindrome cinese” potrebbe evolversi da costante
fattore deflazionistico a fattore leggermente inflazionistico,
catalizzando eventualmente l’incremento dei tassi di
interesse nel mondo. Naturalmente, con un Dollaro debole l’effetto sarebbe più evidente negli Stati Uniti rispetto a
Europa o Inghilterra.

Attenzione ai desideri che esprimete…

L’ultimo comunicato del G7 chiedeva direttamente una
rivalutazione delle valute asiatiche, in linea con la forte
eccedenza della loro bilancia commerciale.
Nel lungo termine certamente ciò sarà necessario per
ribilanciare i livelli odierni del commercio mondiale. Ma nel
breve termine è una politica che presenta molti rischi.
Con l’incremento delle valute asiatiche, i beni che questi
paesi esportano verso l’Occidente diventano
necessariamente più cari. In aggiunta ai forti incrementi nei
costi delle risorse, a livello di commercio al dettaglio in
Europa (ma anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti) si
potrebbe verificare un incremento dei prezzi al consumo.

L’attività delle banche centrali si fa nuovamente
interessante?

L’incremento dell’inflazione porrebbe le banche centrali di
fronte a un dilemma interessante. Ovvero, quanto possono
aumentare i tassi di interesse senza causare danni
collaterali alle economie più indebitate e quanto possono
aumentare i prezzi al dettaglio prima che inizino ad
aumentare le richieste salariali? Finora la costante
diminuzione dei prezzi dei beni di consumo ha attutito gli
effetti del taglio dei costi da parte delle imprese e della
continua diminuzione dei salari in rapporto al PIL. Per cui ci
si chiede se assisteremo a una svolta nella tendenza a
lungo termine.
La BCE sa che dovrà verosimilmente affrontare temi molto
complessi nei prossimi 12 mesi. Probabilmente
incrementerà i tassi più rapidamente del previsto in risposta
ai segnali di un riemergere dell’inflazione. In caso contrario,
i controllori del mercato obbligazionario potrebbero tornare
una volta influenti potrebbero tornare in azione.

… e i mercati azionari?

Se la vostra strategia azionaria si è basata su una
riduzione della parte azionaria o un incremento del debito,
allora potreste perdere tutto. In questo contesto, le storie di
rendimento senza una logica di investimento operativa
dovranno confrontarsi con la liquidità e le obbligazioni a più
alto rendimento.

Le imprese al consumo che hanno dovuto affrontare
l’inflazione nei costi delle risorse, ma che non sono state in
grado di riversare tali costi sui prezzi, potrebbero trovare
più favorevole il nuovo contesto. Di conseguenza, i
comparti di Newton dell’Europa continentale hanno una
posizione sovrappesata sia sui rivenditori al dettaglio che
sul settore alimentare.

E naturalmente per i titoli a bassa capitalizzazione che
hanno prosperato in un contesto di elevata liquidità le
valutazioni particolarmente elevate (rispetto ai titoli
concorrenti di prim’ordine) potrebbero essere assai esposte
in tale situazione.

La BCE perseguirà una politica monetaria stabile; la Cina
farà ciò che è necessario per sostenere il suo processo di
industrializzazione a lungo termine. Queste due verità
implicano che gli investitori in titoli azionari europei
dovranno passare da un’era di capitale abbondante e a
buon mercato ad un’era in cui il capitale ha un costo
effettivo. In tale contesto le politiche di investimento solide
avranno nuovamente il sopravvento sulle strategie basate
sulla momentanea crescita economica.

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