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L’ ITALIA VA (CON UN PO’ DI FIATONE)

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(WSI) –
Dopo cinque anni di crescita tumultuosa del prodotto interno lordo mondiale, il nostro Paese ha finalmente cominciato a partecipare al banchetto. Per diversi anni abbiamo ascoltato la musica degli «zero assoluto» (0,3% medio di crescita del Pil nel periodo 2000-05). Oggi possiamo con piacere commentare un’economia che torna a crescere a un tasso del 2 per cento.

Ma i dati resi pubblici ieri dall’Istat non devono indurre ad un facile ottimismo. I problemi strutturali della nostra economia sono ancora tutti lì. Lo dimostra il ritardo con cui saliamo sul treno della crescita della domanda mondiale. L’Economist due anni fa si chiedeva, con una certa dose di scaramanzia, quando sarebbero finite le buone notizie che continuavano ad arrivare sull’economia mondiale. Da allora il prodotto interno lordo del nostro pianeta ha continuato a crescere del 5 per cento ogni anno. Mancavamo solo noi. Ci arriviamo, col fiatone, solo adesso.

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Anche se cresce il reddito degli italiani, continuiamo ad accumulare un ritardo rispetto agli altri Paesi dell’area Ocse. La crescita negli Stati Uniti nel 2006 dovrebbe raggiungere il 3,4 per cento. In Germania e Regno Unito si viaggia al 2,7 per cento, nell’Unione Europea al 3 per cento. Dopo aver visto scendere il nostro reddito pro capite al di sotto del livello medio della Ue nel 1999, oggi temiamo il sorpasso della Spagna, avviata a concludere l’anno con una crescita del 3,5 per cento, una velocità quasi doppia rispetto alla nostra.

Questi ritardi e questa maggiore lentezza rispetto anche agli altri Paesi europei si spiegano con i problemi strutturali della nostra economia, ancora largamente irrisolti. Per affrontarli dovremo riuscire ad ampliare i mercati e ad utilizzare la nostra arma in più, le grandi riserve di capitale umano inutilizzato che si celano fra le donne, i giovani e gli anziani che oggi non partecipano al mercato del lavoro. Da noi si va in pensione prima (a 57 anni contro i 62 nella media Ocse), ci sono molte meno donne al lavoro (il divario qui è di quasi 15 punti percentuali) e la disoccupazione giovanile continua ad essere doppia rispetto alla media Ocse.

Per tornare a correre come gli altri dovremo anche ridurre il fardello fatto cadere sulle nostre imprese da costi dell’energia e dei trasporti più alti che negli altri Paesi con cui le nostre imprese competono sui mercati internazionali. Le mancate liberalizzazioni in questi settori sono una tassa sulle nostre esportazioni. Mentre la forte tassazione sui redditi da lavoro e di impresa (doppia rispetto a quella dei Nuovi Stati Membri dell’Unione) scoraggia l’arrivo in Italia di cervelli e i flussi di investimenti esteri diretti verso il nostro Paese. Per tutti questi motivi il governo non può attribuire alle proprie politiche questo risultato. E farebbe molto male a sentirsi appagato. I meriti della crescita non sono suoi. Le parziali liberalizzazioni avviate da poco cominceranno a dare qualche frutto in termini di crescita del Pil fra qualche anno e i settori davvero strategici, come trasporti ed energia, non sono stati ancora toccati dalle riforme. Semmai la crescita ha aiutato il governo nel riprendere il controllo dei conti pubblici.

Alla luce dei dati diffusi ieri, circa un terzo dei forti incrementi di gettito registrati nel 2007 potrebbe essere attribuito alla più forte crescita della nostra economia. Queste risorse devono oggi essere investite per rendere la crescita duratura, per completare le riforme. Si potranno compensare coloro che perdono posizioni di rendita con le liberalizzazioni, accelerando questi processi che offrono nuovo dinamismo alla nostra economia. Si potranno anche creare condizioni di contesto favorevoli al cambiamento della nostra specializzazione produttiva.

Ci sono segnali che durante la stagnazione in cui è caduta la nostra economia nel Nuovo Millennio le imprese hanno avviato importanti ristrutturazioni. I forti cali occupazionali nei settori tradizionali del Nord-Est segnalano uno spostamento di risorse verso settori tecnologicamente più avanzati nell’industria e nei servizi. Perché questo processo che ci può riportare ad essere protagonisti nell’economia mondiale continui, perché si acceleri, è fondamentale dotarsi di un moderno sistema di ammortizzatori sociali.

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