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«L’ EURO NON CADRA’ SOTTO QUOTA 1,20»

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(WSI) – IL VALZER DELLE VALUTE La crisi politica dell’euro iniziò lo scorso marzo con la riforma del Patto di Stabilità. Una riforma «necessaria e opportuna» per i sostenitori e «devastante» per gli oppositori. Buona o cattiva che fosse, la riforma ha coinciso con il picco della moneta unica a circa 1,35 dollari. Poi, la lenta discesa. A ridosso del referendum francese, il cambio era già scivolato a 1,26. Ma la situazione si è aggravata dopo il «no» transalpino e quello olandese alla nuova Carta costituzionale. Subito dopo la bocciatura, l’euro ha ceduto di schianto (fino a 1,22), anche per l’aperta ostilità del governo italiano alla valuta comune (come ha confermato il ministro Roberto Maroni) e soprattutto per le voci che danno la Germania pronta a uscire dall’Unione monetaria. Anche se in chiusura di settimana, il dato peggiore delle attese sulla crescita dell’occupazione americana (78mila nuovi posti di lavoro a maggio, contro i 274mila in aprile e i 175mila attesi) ha riportato il cambio sopra quota 1,23.

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VOCE AL MERCATO. Secondo gli esperti interpellati da B&F, la fase acuta della correzione potrebbe essere alle spalle, e il cambio ha buone probabilità di stabilizzarsi tra quota 1,20 e 1,30. La pensa così Stephen Jen, di Morgan Stanley: «Tre mesi fa – spiega – nessuno voleva sentire parlare di dollaro. Adesso gli investitori capiscono che anche l’euro è strutturalmente malato. E lo vendono. Forse nel breve si scenderà sotto 1,20 a causa delle turbolenze politiche nel Vecchio Continente, ma poi si tornerà tra 1,20 e 1,25». L’opinione per cui dollaro e euro sono entrambe monete malate, sia pure di malattie diverse, è condivisa da molti cambisti.

Il biglietto verde vive sotto la spada di Damocle di un deficit commerciale che l’Ocse stima al 6,7% per il 2006, cioè una cifra senza precedenti. Eurolandia, d’altra parte, procede a scartamento ridotto: Italia in recessione, Germania e Francia mortificate da una disoccupazione esagerata, e il disamore per le istituzioni comunitarie monta ovunque. «È vero – conferma Paul Kasriel, capo economista della banca americana Northern Trust – in giro non ci sono valute veramente forti. Inoltre, il dollaro è stato aiutato negli ultimi mesi da due fattori specifici che stanno per svanire. Primo: la Federal Reserve ha aiutato la moneta alzando i tassi a breve. Tuttavia, sembra che dopo un altro paio di strette nel corso dell’estate ci sarà una pausa. Perciò questa spinta si attenuerà presto. Secondo: la moneta Usa ha trovato supporto in una legge federale (Homeland Investment Act) che consente per il solo 2005 di riportare in patria i profitti accumulati all’estero, pagando all’erario solo il 5,75% invece del 36% ordinario. Chiaramente si tratta di un incentivo fiscale che può mettere le ali al trasferimento di fondi verso l’America, ma è destinato a esaurirsi entro l’anno».

A sentire gli esperti, la tendenza sarà quella di un indebolimento del biglietto verde verso le valute asiatiche che va di pari passo con la sostanziale stabilità nei confronti dell’euro: «L’economia Usa mostra segni di rallentamento – argomenta il responsabile valutario di Merrill Lynch, Alex Patelis – e Alan Greenspan ne terrà conto, sospendendo presto la politica restrittiva. Perciò credo che il dollaro non salirà più verso l’euro. Mi aspetto invece che perda terreno rispetto alle divise asiatiche, assai sottovalutate. Pechino dovrebbe rivalutare presto, anche se non si sa bene di quanto».

Simile il ragionamento di Robert Sinche di Bank of America, secondo cui «le divise del Far East andranno su, mentre l’euro rimarrà azzoppato dall’anemico andamento congiunturale del Continente». Infine, e al contrario, un certo numero di analisti continua a scommettere sulla ripresa dell’euro. Di questo parere sono per esempio Carsten Fritsch di Commerzbank e Bob McKee di Independent Strategy per i quali lo squilibrio commerciale americano è troppo grande e causerà inevitabilmente una svalutazione del dollaro anche nei confronti dell’euro.

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