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IRAQ, IL VIETNAM DI GEORGE BUSH

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Nella nostra società aperta è essenziale essere in grado di distinguere un acceso dibattito, fondato su rispettabili differenze di opinioni, dall´uso reiterato di argomentazioni false e fuorvianti al fine di persuadere il popolo americano. L´integrità è la linfa vitale della democrazia. L´inganno è un veleno che scorre nelle sue vene.

Principio fondamentale di ogni democrazia rappresentativa è che il popolo abbia fiducia nel proprio governo. Se i nostri leader tradiscono questa fiducia, tutte le nostre parole di speranza e di ottimismo e tutte le nostre promesse di progresso e di giustizia non potranno che suonare come falsità alle orecchie della nostra gente e del mondo intero, e i nostri obiettivi non potranno mai essere raggiunti.

Questa Amministrazione è tristemente venuta meno al rispetto delle regole basilari che garantiscono un dibattito politico chiaro e limpido. Su ogni questione dice una cosa al popolo americano e ne fa un´altra. Inventa ripetutamente «fatti» per poter più legittimamente attuare i programmi predeterminati nella sua agenda. Questo schema è stato seguito sin dai primi giorni del presidente Bush alla Casa Bianca, e il risultato è che si è venuto a creare il maggior deficit di credibilità dai tempi di Richard Nixon.

Negli ultimi mesi è divenuto sempre più chiaro che l´amministrazione Bush ha mentito sulla minaccia rappresentata per la nazione dal regime iracheno. A un anno dall´inizio della guerra gli americani continuano a chiedersi perché l´Amministrazione abbia deciso di intervenire in Iraq, sebbene questo Paese non costituisse un pericolo reale, sebbene non possedesse armi nucleari, chimiche o biologiche, sebbene non avesse concreti legami con Al Qaeda né collegamenti con gli attacchi terroristici dell´11 settembre.

Tragicamente, prendendo la decisione di entrare in guerra, l´amministrazione Bush si è aggrappata alla sua ostinata ideologia per occultare la fredda e dura evidenza: l´Iraq non rappresentava una minaccia immediata. Ha ingannato il Congresso e il popolo americano, poiché era conscia del fatto che non avrebbe ottenuto l´autorizzazione alla guerra da parte del Congresso qualora fosse stato a conoscenza della reale situazione.

Con la guerra in Iraq, fondata dunque su un inconsistente pretesto, il presidente Bush ha trascurato la vera guerra al terrorismo, concedendo ad Al Qaeda due anni, ben due anni, per riorganizzarsi e riassestarsi nelle regioni di confine dell´Afghanistan. Come dimostrano gli attentati di Madrid e altri recenti eventi, Al Qaeda si è servita di questo tempo per dislocare cellule in tutto il mondo e creare legami con numerosi gruppi terroristici di altri Paesi.

Con la guerra in Iraq abbiamo inoltre deteriorato i rapporti con i nostri alleati storici in tutto il mondo, non considerando che il loro aiuto è per noi di fondamentale eurgente importanza sia sotto il profilo militare, sia per quanto concerne l´intelligence e più in generale il rispetto della legalità. Abbiamo accresciuto l´odio nei confronti dell´America e contribuito a rendere la guerra al terrorismo ancora più difficile da vincere.

La nostra politica estera versa in una crisi strutturale, molto pericolosa. Abbiamo perso il rispetto delle altre nazioni del mondo. Come possiamo ricostruirlo? Come possiamo riprendere a lavorare con gli altri Stati per vincere la guerra al terrorismo e far prevalere gli ideali che condividiamo? Possiamo forse aspettarci che lo faccia il presidente Bush? Lui è il problema, non certo la soluzione. L´Iraq è il Vietnam di George W. Bush e questo Paese ha bisogno di un nuovo Presidente.

E´ chiaro che la prima vittima della guerra è stata la verità. Ma l´atteggiamento equivoco e mellifluo di questa Amministrazione non si limita alle questioni di guerra e pace. E´ stato ampiamente dimostrato come sia parte integrante di tutta l´azione politica del Presidente, sia interna sia estera. In questa Amministrazione, la verità è la prima vittima della politica.

Questa tattica è una delle arti apprese dall´odierna Casa Bianca dalle battaglie politiche dei primi Anni Novanta. Il popolo americano nell´ultimo decennio non ha mai dato fiducia ai programmi dell´estrema destra repubblicana quando essi sono stati esposti in modo chiaro e diretto. Persino molti di coloro che avevano contribuito al trionfo di Newt Gingrich nel 1994 guardarono con costernazione al modo in cui il crudo estremismo della leadership repubblicana al Congresso intimoriva e respingeva gli elettori.

Sfortunatamente gli strateghi repubblicani non hanno imparato ciò che avrebbero dovuto da quell´esperienza. Durante la campagna del 2000 l´America ha conosciuto un candidato presidente che ha promesso che la politica estera statunitense sarebbe stata quella di una «umile nazione», non di una «nazione arrogante». Si è presentato come un conservatore, ma ha promesso che sarebbe stato un «conservatore compassionevole». Ha promesso di venire incontro alle pressanti richieste degli anziani volte ad ottenere il rimborso delle spese mediche tramite il Medicare.

Che fine hanno fatto tutte queste promesse? Una volta giunto alla Casa Bianca, George Bush in politica estera si è dimostrato arrogante, tutt´altro che umile; in politica interna si è rivelato conservatore, tutt´altro che compassionevole. Ormai è chiaro, il linguaggio rassicurante della campagna elettorale del 2000 non era altro che un cavallo di Troia cinicamente costruito per portare l´estrema destra repubblicana alla Casa Bianca.

Gran parte del dibattito di queste ultime settimane è stato incentrato sugli inganni del Presidente sull’Iraq e sulla guerra al terrorismo. Richard Clarke ha svelato la verità sulle gravi leggerezze dell´Amministrazione che pure era a conoscenza della terribile e crescente minaccia terroristica prima dell´11 settembre.

E´ stata inoltre fatta chiarezza sulle errate valutazioni del Presidente sull’Iraq. La scriteriata guerra irachena ci ha fatto perdere di vista la vera guerra che dobbiamo vincere, e anzi la ha resa maggiormente insidiosa, lasciando l´America sempre più isolata nel mondo.

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