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GOVERNATORE, SIAMO AL CAPOLINEA

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(WSI) – Da una parte Lamberto Cardia, che a tutte le opa apre la via. Dall’altra Antonio Fazio, che di tutte le opa ha fatto strazio. Il virtuale contenzioso tra la Consob e la Banca d’Italia sul triangolo Abn-Lodi-Antonveneta è figlio alla lontana di quella babele nella vigilanza cui ai tempi dello scandalo Parmalat l’allora ministro dell’Economia voleva rimediare. Proponendo, se non ricordiamo male, un’autorità unica sul modello inglese invece delle cinque che attualmente mettono becco sul mercato e i suoi tanti attori. E che diventano sei considerando il Tar del Lazio e il suo ruolo quasi sempre salvifico per chi in ultima ratio vi ricorre.

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La proposta di Giulio Tremonti naufragò sotto i colpi della strenua opposizione del governatore, sostenuta da una poderosa lobby trasversale dentro e fuori il Parlamento, e questo fu uno dei motivi che lo costrinsero a dimettersi. A suggello della vittoria del suo arcinemico, più di recente ci fu un pranzo a Palazzo Chigi (forse uno di quelli di cui Silvio Berlusconi si è maggiormente pentito) da cui Fazio uscì molto rinfrancato. Ma quando olandesi e spagnoli hanno scatenato la loro offensiva su Antonveneta e Bnl, il premier si è affrettato a dichiarare la propria neutralità: che sia il mercato a scegliere, non il dirigismo di qualcuno. Segno che quel patto non era stato scritto col sangue.

Adesso che, dopo la decisione della Consob di obbligare Lodi all’opa, ci si avvia verso un lungo contenzioso fra protagonisti l’un contro l’altro armati, forse urge qualche riflessione sull’operato di questo governatore. Che in una moderna democrazia capitalista si debbano fare i conti con le legittime aspirazioni di chi detiene il potere a conservarlo, e possibilmente accrescerlo, è cosa lecita. Meno che per salvare una poltrona si rischi di sfasciare tutto, mandando a monte la credibilità di un intero sistema.

Il peccato originale risale al 1999, quando Fazio disse no a due offerte di matrimonio (una, quella del Sanpaolo sulla Banca di Roma, per la verità piuttosto maldestra) senza dare alcuna plausibile motivazione. Da allora il cattolicissimo governatore ha molto peccato in parole, opere e omissioni. Ha detto cose che non doveva dire, sconfinando in ambiti del tutto estranei a quelli di sua competenza. Ha patrocinato aggregazioni ambigue, privilegiando interlocutori riconducibili a una strategia che in ultima istanza ne salvaguardava il ruolo di dominus. Non si è mosso là dove invece doveva intervenire, per esempio quando era evidente che nelle vicende di Cirio e Parmalat le banche una qualche responsabilità nella tosatura dei risparmiatori l’avevano.

Ma quello che più colpisce oggi, e dovrebbe indurre il governatore a riflettere, è il silenzio di coloro che sin qui lo hanno sempre sostenuto, eccezion fatta per qualche irriducibile ma oramai folcloristica amicizia di ex bancari prestati alla politica. Tacciono i grandi istituti, Intesa, Unicredito e Sanpaolo, che hanno circondato il movimentismo della Lodi e del suo sponsor con una cortina di gelo, bollando come iperboliche le valutazioni con cui contende agli olandesi il controllo della popolare padovana. Tace la Capitalia, ennesima riprova che nulla è rimasto del granitico legame tra il suo presidente e il governatore.

Tace anche l’esecutivo, ed è il silenzio più eloquente, segno che del buon Sciacchetrà con cui è stato innaffiato il pranzo di Palazzo Chigi non v’è nemmeno ricordo. Così via Nazionale assomiglia sempre più a un fortino assediato, e dentro il suo comandante che resiste a oltranza muovendo sulla carta i suoi eserciti immaginari. In un barlume di ragionevolezza, dovrebbe capire che non c’è via di uscita e arrendersi. Nessuno gli negherebbe l’onore delle armi, magari dopo avergli spiegato le ragioni della sua sconfitta.

Che non nasce dall’aver voluto difendere l’italianità del sistema creditizio, ma dal modo in cui lo ha sin qui gestito. Fazio insomma non perde perché un’euroburocrazia cattiva ha deciso di umiliare le sue prerogative, ma perché non ha saputo costruire aggregazioni bancarie competitive almeno quanto quelle che ora vengono a invaderci la scena.

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