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FUGA DAL SUD

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Via dal Mezzogiorno, ma ora ad andarsene sono i giovani laureati, anche a costo di lavori precari e di invertire il rapporto con le famiglie, destinate a sostenere il giovane emigrato anziche’ beneficiare del suo sostegno come avveniva in passato.

Sono le conclusioni cui arriva uno studio della Banca d’Italia sui flussi migratori interni: tra il 1990 e il 2005 sono emigrate verso il Centro Nord quasi 2 milioni di persone.

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Roma, 12 gen. (Apcom) – “2000-2005: fuga dal Mezzogiorno”

Potrebbe essere sintetizzato così, parafrasando il titolo di un celebre film di John Carpenter, il risultato più significativo di uno studio realizzato da due economisti della Banca d’Italia (Sauro Mocetti e Carmine Porello) sulla mobilità del lavoro in Italia. Una ricerca secondo cui “l’elemento che ha maggiormente contraddistinto i flussi migratori degli ultimi anni è stato la ‘fuga’ dal Mezzogiorno delle persone con un più elevato titolo di studio. Tra il 2000 e il 2005 sono emigrati oltre 80mila laureati, pari in media annua a 1,2 ogni 100 residenti con un analogo titolo di studio”.

“Il Mezzogiorno – sottolineano i ricercatori in questo ‘occasional paper’ pubblicato da Palazzo Koch – diventa sempre meno capace di trattenere il proprio capitale umano, impoverendosi della dotazione di uno dei fattori chiave per la crescita socio-economica regionale”.

Dal punto di vista del Sud, “l’emigrazione dei lavoratori, e in particolare di quelli con qualifiche più elevate, può comportare un impoverimento di capitale umano che, a sua volta, potrebbe riflettersi nella persistenza dei differenziali territoriali in termini di produttività, competitività e, in ultima analisi, di crescita economica”.

“In questo contesto – affermano i due economisti di Via Nazionale – l’intervento delle autorità di politica economica deve essere teso, piuttosto che a frenare l’emigrazione, a rimuoverne le determinanti, che hanno come comune denominatore la quantità e la qualità della crescita economica nel Mezzogiorno”.

Nel 2005, spiegano gli economisti di Bankitalia, i trasferimenti di residenza tra comuni italiani sono stati oltre un milione e 300mila, il valore più elevato degli ultimi 15 anni. Le iscrizioni anagrafiche nel Centro-nord sono aumentate in tutto questo periodo, mentre sono diminuite nel Mezzogiorno. Al Sud, in particolare, “è diminuita la già modesta mobilità di breve raggio, mentre rimane consistente il flusso migratorio unidirezionale verso le regioni più sviluppate del paese”.

Tra il 1990 e il 2005 – evidenzia la ricerca – sono emigrate verso il Centro-nord quasi 2 milioni di persone. L’intensità dell’emigrazione dal Mezzogiorno “non è stata costante: ha ripreso vigore nella seconda metà degli anni Novanta, interrompendo un trend decrescente che durava dai primi anni Settanta; all’inizio del decennio in corso il deflusso si è nuovamente attenuato”.

Negli ultimi anni, inoltre, è aumentato anche un altro tipo di mobilità che non è registrato dalle anagrafi, definita “pendolarismo di lungo raggio”. Sono quegli occupati che lavorano in una località lontana da quella di residenza, così lontana da rendere improbabile rientri frequenti nel tempo. Nel 2007, circa 140mila residenti nel Mezzogiorno (pari al 2,3% degli occupati dell’area) lavoravano al Centro-nord; sono spesso giovani che non hanno ancora raggiunto la stabilità dal punto di vista familiare nè occupazionale.

L’emigrazione dal Sud, sottolineano i due ricercatori, “è trainata dalle maggiori prospettive occupazionali presenti al Centro-nord. Il fenomeno quindi continua a essere un sintomo evidente del disagio, della mancanza di lavoro e del ritardo di sviluppo di quest’area rispetto alle altre”. Alla ripresa dell’emigrazione nella seconda metà degli anni Novanta “potrebbe aver inoltre contribuito il contenimento dell’occupazione nel settore pubblico avviato dopo il 1992 e il restringimento del divario sui prezzi delle case tra le due aree del paese”. In questo decennio, al contrario, “il forte aumento dei prezzi delle abitazioni al Centro-nord ha contribuito per circa un terzo al rallentamento dei flussi migratori”.

A questi fattori, “se ne sono aggiunti di nuovi, come i mutati rapporti di lavoro, che hanno cambiato il quadro di riferimento per l’analisi della mobilità del lavoro. La diffusione dei lavori a tempo determinato, che ha coinvolto quasi unicamente i giovani nel loro ingresso nel mercato del lavoro, ha scoraggiato almeno nell’immediato i trasferimenti di residenza (che prefigurano spostamenti duraturi) e fatto aumentare un tipo di mobilità temporanea che sfugge ai registri delle anagrafi”.

“Anche la presenza degli stranieri – conclude il paper di Via Nazionale – ha impattato sulle scelte migratorie degli italiani: ha influenzato positivamente l’afflusso dei nativi laureati e negativamente quello dei meno scolarizzati. In particolare, la concentrazione degli stranieri nel Centro-nord avrebbe incontrato una domanda di lavoro che in passato veniva soddisfatta dai lavoratori del Mezzogiorno”.